A norma dell’art. 1321 c.c. il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale. Il contratto può essere analizzato in una prospettiva statica, ossia come atto e struttura, o in una prospettiva dinamica, cioè come fase, cronologicamente antecedente a quella statica, che conduce all’accordo. Di regola, infatti, la conclusione di un contratto è preceduta da una fase in cui le parti discutono del futuro ed eventuale regolamento negoziale, cercando un punto di convergenza tra le diverse posizioni. Assumono rilievo centrale le trattative, intese come insieme di comportamenti che precedono la stipulazione del contratto. Le parti, durante le trattative, hanno l’obbligo ex art. 1337 c.c. di comportarsi secondo buona fede, ossia di trattare correttamente. È pacifico che la buona fede, qui, è intesa in senso oggettivo, come regola di condotta o canone di comportamento.
La trattativa è esercizio di autonomia privata. Le parti non hanno l’obbligo di trattare, ma quando decidono, liberamente, di farlo, sono tenute a comportarsi secondo buona fede. Più precisamente, le parti, hanno l’obbligo di collaborare, ossia di tenere in considerazione l’interesse della controparte nel mirare alla massimizzazione dell’interesse personale.
La buona fede precontrattuale costituisce una clausola generale, espressione del principio di solidarietà, che si pone quale valvola di sicurezza del sistema, nell’ottica, per ciascuno, di attivarsi anche per la salvaguardia dell’utilità della controparte, nei limiti di un apprezzabile sacrificio. Dal punto di vista strutturale l’obbligo di buona fede è a geometria variabile e si caratterizza, quindi, per la sua elasticità. Da esso è possibile trarre una serie di obblighi ulteriori, adattabili in base alle circostanze del singolo caso concreto, tra cui obblighi di chiarezza, di segretezza e, soprattutto, di informazione. L’informazione è un elemento determinante nel processo di formazione della volontà contrattuale, per cui su ciascuna parte grava l’obbligo di comunicare all’altra le circostanze rilevanti ai fini della conclusione dell’affare. Uno specifico obbligo di informazione è disciplinato dall’art. 1338 c.c.. Un limite al dovere di informazione risiede, invece, in virtù del principio di autoresponsabilità, nell’onere di informazione che grava su ciascun soggetto che avvia una trattativa.
Nella fase precedente alla stipulazione del contratto, in presenza del comportamento scorretto di una parte, ai danni dell’altra, viene in rilievo la responsabilità precontrattuale.
La responsabilità precontrattuale deriva, appunto, dalla lesione della libertà negoziale altrui, mediante un comportamento doloso o colposo ovvero la violazione dell’obbligo di buona fede.
La ratio di tale responsabilità risiede nella tutela della libertà negoziale delle parti nella fase di formazione ed esplicazione della loro volontà contrattuale, al fine di evitare comportamenti scorretti che possono generare affidamenti legittimi e danni ingiusti.
Nel codice civile si rinvengono due sole ipotesi di responsabilità precontrattuale.
In primo luogo, viene in rilievo l’art. 1337 c.c. che, richiamando la clausola generale di buona fede, fa riferimento al caso di ingiustificata interruzione della trattativa, che lede l’affidamento legittimo della controparte ed impedisce la stipulazione del contratto, e lo riconduce al modello di responsabilità precontrattuale da mancata stipulazione.
L’art. 1338 c.c. costituisce, invece, una declinazione legale dell’obbligo di buona fede di cui alla disposizione precedente. Trattasi dell’obbligo di informare la controparte circa l’esistenza di una causa di invalidità del contratto. In tal caso la stipulazione non è mancata, ma è invalida o, secondo l’impostazione più estensiva della giurisprudenza, inefficace. Si parla, in proposito, di responsabilità precontrattuale da stipulazione inutile, cioè da un contratto che non è idoneo a realizzare l’assetto degli interessi delle parti. La responsabilità deriva dalla conclusione del contratto, non dal difetto di informazione.
Negli ultimi anni si è posto il problema della rilevanza precontrattuale dei c.d. vizi incompleti, o quasi vizi, del contratto, ossia di quelle deficienze dello stesso che non sono in grado di provocarne l’annullabilità, e la conseguente riconoscibilità di un terzo modello di responsabilità precontrattuale, nella specie da contratto valido ed efficace. In particolare, il dibattito ha preso le mosse dalla tradizionale distinzione tra regole di comportamento e regole di validità del contratto. Le regole di comportamento attengono al contegno che le parti devono avere nella fase delle trattative e la loro violazione può comportare soltanto una forma di responsabilità, ma mai la nullità, strutturale o virtuale, del contratto. Le regole di validità, al contrario, riguardano il contratto inteso come atto, attengono alla struttura, al contenuto o alla stessa possibilità di conclusione dello stesso, e la relativa violazione determina l’invalidità del contratto.
La buona fede è una regola di condotta dalla quale sorge, come detto, l’obbligo informativo atipico, la cui violazione è fonte di responsabilità. Di regola, quindi, le regole di condotta sono regole di responsabilità, salvo che il legislatore le qualifichi espressamente come regole di validità. I quasi vizi sono comportamenti scorretti che si sostanziano nella violazione di regole di condotta precontrattuale, non disciplinate dal legislatore quali regole di validità. È il caso del dolo non invalidante, ossia del dolo ex art. 1440 c.c. (dolo incidens) che ha inciso sul processo di formazione della volontà nel contratto, ma non l’ha determinato. La parte avrebbe stipulato ugualmente il contratto, ma il comportamento doloso della controparte ha inciso sul processo di formazione della volontà contrattuale. La norma prescrive quale conseguenza di tale comportamento scorretto la responsabilità e il risarcimento del danno. Secondo l’impostazione tradizionale della giurisprudenza una responsabilità precontrattuale da contratto valido poteva essere riconosciuta solo in casi espressamente previsti dalla legge, come quello di cui all’art. 1440 c.c.. Oggi, al contrario, la giurisprudenza di legittimità ammette la fattispecie della responsabilità precontrattuale per conclusione di un contratto valido ed efficace, ma tuttavia sconveniente. In tal modo, l’art. 1440 c.c. viene inteso come applicazione di un principio generale, destinato ad operare anche in situazioni diverse da quella tipizzata, e non come norma eccezionale.
Quanto ai danni risarcibili, occorre distinguere. In caso di responsabilità precontrattuale per mancata conclusione del contratto o per conclusione di un contratto invalido o inefficace il danno risarcibile è soltanto l’interesse negativo, cioè l’interesse a non essere coinvolto in trattative inutili o a non stipulare contratti invalidi o inefficaci. Quando viene in rilievo una forma di responsabilità precontrattuale da contratto valido, invece, c’è un programma negoziale, un regolamento di interessi, per cui l’interesse positivo risulta individuabile e attuabile. In siffatta ipotesi si applica una particolare tecnica risarcitoria che commisura il danno risarcibile al c.d. interesse positivo differenziale, ossia la differenza tra ciò che il contratto è e ciò che sarebbe stato in assenza della violazione della regola di condotta precontrattuale.
Da sempre discussa è la natura giuridica della responsabilità precontrattuale. La questione non è meramente teorica, ma incide profondamente sul regime giuridico applicabile.
La tesi tradizionale, a lungo seguita dalla costante giurisprudenza di legittimità, qualifica la responsabilità precontrattuale come aquiliana ex art. 2043 c.c., sulla base del fatto che si tratta di un fatto illecito dannoso caratterizzato dall’essere commesso nell’ambito delle trattative. Questa impostazione trova fondamento nella classica distinzione tra contratto e torto, per cui la responsabilità contrattuale sorge in presenza di un contratto, come conseguenza alla violazione di una regola contrattuale, mentre la responsabilità aquiliana si configura in assenza di un contratto, come reazione ad un torto. Altra tesi, diffusa in dottrina e sposata dalla giurisprudenza in una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione[1], ritiene, invece, che la responsabilità precontrattuale ha natura contrattuale da contatto sociale o, più precisamente, da inadempimento ex art. 1218 c.c.. In particolare, l’obbligo di buona fede costituirebbe una obbligazione ex lege, nascente dal contatto sociale che si instaura tra le parti con l’avvio delle trattative, ossia da un fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c.. La trattativa, infatti, è un contatto sociale qualificato. Trattasi di un contatto tra soggetti determinati, finalizzato all’esercizio dell’attività negoziale e alla stipulazione del contratto, qualificato dall’affidamento che una parte ripone nella correttezza, nella diligenza e nella buona fede della controparte. Dalla trattativa sorgono obblighi di informazione, obblighi di protezione ed obblighi di prestazioni secondarie necessarie a proteggere, la cui violazione costituisce inadempimento di un’obbligazione.
La qualificazione della responsabilità precontrattuale in termini di responsabilità contrattuale ha importanti conseguenze applicative in tema di onere della prova, che risulta alleggerito per la parte lesa nelle trattative, di prescrizione e di quantificazione del danno.
Oggi la giurisprudenza ammette anche la configurabilità di una responsabilità precontrattuale della P.A., riconoscendo quindi la sua soggezione ai principi di correttezza e buona fede sia nel corso delle trattative contrattuali che nell’ambito delle procedure di gara. In passato, fino agli anni sessanta, questa conclusione trovava diversi ostacoli, tra cui, primo fra tutti, la presunzione di correttezza del comportamento tenuto dai soggetti pubblici.
In una prospettiva panprivatistica, si fa riferimento alla violazione da parte della P.A. della regola di buona fede precontrattuale, che lede la libertà negoziale del privato. Al contrario, in una prospettiva pubblicistica, attiene al caso in cui la P.A., nell’ambito della gara, ne viola le relative regole o la interrompe legittimamente, adottando un provvedimento illegittimo.
Nell’ambito della gara sono ravvisabili due diverse forme di responsabilità precontrattuale, pura e spuria, che corrispondono alle due diverse dimensioni della gara stessa, privata e pubblica. Quella spuria è una responsabilità precontrattuale soltanto in senso cronologico, che si configura come responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.. La fonte della responsabilità dell’amministrazione è il provvedimento illegittimo adottato, ossia un fatto illecito, che cagiona un danno ingiusto. Guardando alla gara nella prospettiva privatistica, come trattativa, viene in rilievo una forma di responsabilità precontrattuale pura, per violazione dei doveri di correttezza e buona fede, pur in presenza di un provvedimento legittimo. Non si tratta di una responsabilità da provvedimento, ma da comportamento lesivo del legittimo affidamento del privato. Un tipico esempio è l’ipotesi di revoca in autotutela degli atti di gara, quando, in particolare, l’amministrazione per mancanza di fondi decide di revocare l’aggiudicazione o rifiuta di stipulare il contratto dopo l’aggiudicazione. Questa forma di responsabilità può rispondere sia al modello di responsabilità precontrattuale da mancata stipulazione, che da contratto invalido o inefficace. Nell’ipotesi di responsabilità da contratto invalido o inefficace, cioè da stipulazione inutile, ex art. 1338 c.c. la dimensione pubblicistica si interseca con quella privatistica. Qui la responsabilità si caratterizza per il fatto di trovare la sua fonte nella violazione di una regola pubblicistica. Quanto alla legittimità dell’affidamento del privato circa l’efficacia di un contratto stipulato in violazione delle regole pubblicistiche della gara, occorre chiarire come vengono qualificate tali regole. L’orientamento più recente considera le regole della gara come norme di azione, non imperative. Pertanto, l’amministrazione che conosce o dovrebbe conoscere tali norme e che non informa il privato, controparte, incorre nella responsabilità ex art. 1338 c.c., ledendo il suo legittimo affidamento sul rispetto delle stesse.
Oggi, dopo il riconoscimento da parte della giurisprudenza di legittimità della natura contrattuale della responsabilità precontrattuale, appare ancora più rilevante la distinzione tra le diverse forme di responsabilità precontrattuale della P.A..
La responsabilità precontrattuale spuria, da provvedimento illegittimo, continua ad essere una responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., rispondente al modello della responsabilità soggettiva presunta, per cui il privato leso risulta sollevato dall’onere di provare la colpa dell’amministrazione. La responsabilità precontrattuale pura, la cui fonte risiede nella violazione della regola di buona fede, in precedenza, veniva ricondotta anch’essa nell’alveo della responsabilità aquiliana, rispondente, tuttavia, al modello della responsabilità soggettiva pura, con la conseguenza che gravava sul danneggiato l’onere della culpa in contrahendo.
A seguito della recente pronuncia della Corte di Cassazione la responsabilità precontrattuale pura diventa una responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c., da contatto sociale, che comporta l’esonero per il danneggiato dall’onere della prova circa la sussistenza dell’elemento soggettivo.
Quanto al riparto della giurisdizione, per quanto riguarda la responsabilità precontrattuale spuria la causa petendi è la lesione dell’interesse legittimo del privato e la giurisdizione spetta al G.A., mentre nel caso della responsabilità precontrattuale pura la causa petendi è la lesione del diritto soggettivo del privato e la giurisdizione, di regola, dovrebbe spettare al G.O.. Tuttavia, è la legge stessa, all’art. 133, c. 1, lett. e), n. 1 c.p.a., a riconoscere al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva in materia di procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti tenuti al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica. Infine, sotto il profilo del danno risarcibile, mentre nella responsabilità precontrattuale pura questo è determinato soltanto dall’interesse negativo, nella responsabilità precontrattuale spuria si commisura in relazione all’interesse positivo, poiché il bene della vita è la partecipazione alla gara al fine di ottenere l’aggiudicazione, la stipulazione del contratto e il conseguente guadagno.
[1] Cass. civ., sez. I, 12 luglio 2016, n° 14188: “La responsabilità precontrattuale (nel caso di specie della P.A.) deve essere configurata come responsabilità contrattuale, ai sensi degli artt. 1337 e 1338 c.c., inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni, ai sensi dell’art. 1173 c.c. e dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi dell’art. 1174 c.c., bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., con conseguente applicabilità del termine decennale di prescrizione ex art. 2946 c.c.”.
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