L’obbligo dell’Amministrazione sull’istanza ricevuta sussiste non solo quando la legge regola la presentazione della relativa istanza da parte del privato, così riconoscendogli la titolarità di una situazione qualificata e differenziata, ma anche in tutte le fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongono l’adozione di un provvedimento e, quindi, tutte le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorge per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell’Amministrazione pubblica.
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Indice
1. L’obbligo di provvedere
La sentenza in commento è dirimente su due questioni specifiche, particolarmente rilevanti nella prassi dei rapporti tra soggetto istante (cittadino quanto impresa) e pubblica amministrazione.
Il primo aspetto è il cd. “obbligo di provvedere“, il secondo è il danno da ritardo (art 2 2 2bis della legge 241/90) nell’adempimento.
Intanto va chiarito che in caso di inadempimento l’istante – decorso il ragionevole termine della durata del procedimento, stabilito dalla legge – possa adire il giudice amministrativo perché condanni la PA ad adempiere.
Presupposti per l’attivazione del rito ex artt. 31 e 117 Cod. proc. amm. avverso il silenzio inadempimento della P.A. sono l’esistenza di uno specifico obbligo di provvedere in capo all’amministrazione e la natura provvedimentale dell’attività oggetto di sollecitazione, rappresentando come detto sul piano processuale lo strumento rimediale per la violazione della regola dell’obbligo di agire in via provvedimentale sancita dall’art. 2 della L. 241/1990.
Come stabilito in principio dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede di appello, l’obbligo dell’Amministrazione sull’istanza ricevuta sussiste non solo quando la legge regola la presentazione della relativa istanza da parte del privato, così riconoscendogli la titolarità di una situazione qualificata e differenziata, ma anche in tutte le fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongono l’adozione di un provvedimento e, quindi, tutte le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorge per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell’Amministrazione pubblica.
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Le responsabilità delle pubbliche amministrazioni
<p>Il lavoro ha come oggetto la disciplina giuridica tra le pubbliche amministrazioni e i privati cittadini in ordine alla responsabilità extracontrattuale ex art. 2042 c.c., la responsabilità contrattuale, la responsabilità precontrattuale e la responsabilità amministrativa.<br /><br />Una particolare attenzione è stata riservata alle posizioni soggettive dei privati per la loro tutela giurisdizionale in armonia con i dettati costituzionali e con la giurisprudenza della Corte dei conti e della Cassazione mettendo in evidenza le contraddizioni che si sono sviluppate al loro interno.<br /><br />Nel presente lavoro è stato affrontato il tema del mutamento della responsabilità erariale dopo il d.l. n. 76 del 16 luglio 2020 e il d.lgs. n. 36 del 31 marzo 2023.<br /><br /><strong>Guido Sechi<br /></strong>Già Segretario generale di Comuni e Province<strong><br /></strong></p>
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2. La sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa Siciliana
Affinché possa configurarsi il silenzio-inadempimento contestabile ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 della l. 7 agosto 1990, n. 241, 31 e 117 del Codice del processo amministrativo, occorre che sussista un obbligo di provvedere e che, decorso il termine di conclusione del relativo procedimento, l’Amministrazione non abbia adottato alcun provvedimento espresso.
Per costante giurisprudenza, l’obbligo di provvedere sussiste ogniqualvolta la realizzazione della pretesa sostanziale del privato dipenda dall’intermediazione del potere pubblico, ciò che rende l’Amministrazione tenuta ad assumere una decisione espressa sulla sua istanza anche quando non vi siano i presupposti per il suo accoglimento.
Ne è conferma l’attuale formulazione dell’art. 2 comma 1 della l. 241/1990 del 1990, che impone l’adozione di un provvedimento espresso pure in caso di “manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità … della domanda”, consentendo in tali ipotesi soltanto la sua redazione in forma semplificata: la condotta meramente inerte dell’Amministrazione non è quindi mai giustificata.
Di contro, non vi è silenzio inadempimento in presenza, tra altro di posizioni giuridiche di diritto soggettivo, ove cioè l’utilità giuridica, in quanto attribuita direttamente da una norma di legge, non necessiti dell’intermediazione amministrativa per essere acquisita al patrimonio giuridico individuale del privato.
In altre parole, l’azione avverso il silenzio “presuppone la sussistenza di posizioni di interesse legittimo (Cons. Stato, IV, 27 marzo 2018, n. 1904), in quanto “la fattispecie del silenzio-inadempimento riguarda le ipotesi in cui, di fronte alla formale richiesta di un provvedimento da parte di un privato, costituente atto iniziale di una procedura amministrativa normativamente prevista per l’emanazione di una determinazione autoritativa su istanza di parte, l’amministrazione, titolare della relativa competenza, omette di provvedere entro i termini stabiliti dalla legge; di conseguenza, l’omissione dell’adozione del provvedimento finale assume il valore di silenzio-inadempimento (o rifiuto) solo nel caso in cui sussisteva un obbligo giuridico di provvedere, cioè di esercitare una pubblica funzione attribuita normativamente alla competenza dell’organo amministrativo destinatario della richiesta, attivando un procedimento amministrativo in funzione dell’adozione di un atto tipizzato nella sfera autoritativa del diritto pubblico; presupposto per l’azione avverso il silenzio è, dunque, l’esistenza di uno specifico obbligo (e non di una generica facoltà o di una mera potestà) in capo all’amministrazione di adottare un provvedimento amministrativo esplicito, volto ad incidere, positivamente o negativamente, sulla posizione giuridica e differenziata del ricorrente” (Cons. Stato, IV, 31 luglio 2019, n. 5417).
I presupposti per l’attivazione del rito ex artt. 31 e 117 Cod. proc. amm. sono pertanto l’esistenza di uno specifico obbligo di provvedere in capo all’amministrazione e la natura provvedimentale dell’attività oggetto di sollecitazione, esso rappresentando sul piano processuale lo strumento rimediale per la violazione della regola dell’obbligo di agire in via provvedimentale sancita dall’art. 2 della l. 241/1990 (Cons. Stato, III, 1° luglio 2020, n. 4204).
Sempre per consolidata giurisprudenza, l’obbligo di provvedere sussiste non solo quando la legge regola la presentazione della relativa istanza da parte del privato, così riconoscendogli la titolarità di una situazione qualificata e differenziata, ma anche in tutte le fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongono l’adozione di un provvedimento e, quindi, tutte le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorge per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell’Amministrazione pubblica (CGARS, Sez. giur., 30 dicembre 2021, n.1113; Cons. Stato, VI, 1° ottobre 2021, n. 6569; 27 aprile 2021, n. 3430; VI, 18 maggio 2020, n. 3120; IV, 12 settembre 2018, n. 5344; V, 22 gennaio 2015, n. 273; III, 14 novembre 2014, n. 5601; 3 giugno 2010, n. 3487; 11 maggio 2007, n. 2318; IV, 14 dicembre 2004, n. 7975; V, 21 ottobre 2003, n. 6531).
Ex art. 2-bis l. 241/1990, secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa, il risarcimento del danno c.d. “da ritardo” o da inerzia dell’Amministrazione, a fronte di un interesse legittimo pretensivo, è subordinato alla dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento sia destinata a un esito favorevole, e quindi alla prova della spettanza definitiva del bene della vita collegato a tale interesse (tra tante, da ultimo, Cons. Stato, IV, 13 settembre 2023, n. 8303; 17 agosto 2023, n. 7797).
3. Rimedi contro l’inflazione del ricorso alla giustizia amministrativa
I principi appaiono chiari, per altro non innovativi in termini di diritto, al punto che nelle sue motivazioni il Consiglio richiama spesso il concetto espresso nella perifrasi “per consolidata giurisprudenza”.
Ciò lascia ulteriormente perplessi in ordine al dato oggettivo quantitativo delle volte in cui l’istante o rinunzia al proprio diritto, o per vedere l’intervento provvedimentale in concreto debba ricorrere alla giustizia amministrativa.
E ciò anche quanto il suo diritto – ad un provvedimento espresso ed al rispetto dei tempi procedimentali di cui all’articolo 2 della legge 241/90 – è non solo previsto dalla legge (e ciò già basterebbe) ma è anche sostenuto da “consolidata giurisprudenza”.
Ancora una volta tale inflazione in sede di giustizia è da ricondurre alla mancanza del rimedio interno: non vi è alcuna penalizzazione in carriera o in remunerazione per il dirigente omittente o per l’ufficio inadempiente, né in alcun modo o forma le spese di giustizia e i danni da ritardo sono imputati a chi – persona fisica – ha di fatto danneggiato in una sola azione-decisione omissiva sia l’istante che la pubblica amministrazione.
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