Chi “sperava” nella depenalizzazione di alcuni generi di reati, in particolare quello di ingiuria, per essere al riparo da eventuali comportamenti non proprio ortodossi, rimarrà probabilmente “deluso” dalla recente sentenza della Corte di Cassazione, la quale ha statuito che configurano il più grave reato di diffamazione le offese rivolte allo stesso, contenute in una missiva indirizzata ad una pluralità di persone.
Come è noto, Infatti, l’art. 1, comma I, del D.Lgs. 15.01.2016, n. 7, entrato in vigore il 6 febbraio 2016, ha cancellato – tra l’altro – la fattispecie penale dell’ingiuria trasformandola in un illecito civile.
Da quella data in poi, pertanto, l’autore di siffatto illecito, potrà essere oggetto solo di una sanzione pecuniaria dell’importo, variabile, da 100 a 8.000 euro, atteso che l’art. 4 del predetto D.Lgs. 7/2016 prevede come: “Soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila: a) chi offende l’onore o il decoro di una persona presente, ovvero mediante comunicazione telegrafica, telefonica, informatica o telematica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa; …”.
Fermo restando l’eventuale risarcimento del danno che l’autore dell’illecito, ora civile, sarà tenuto a corrispondere al soggetto passivo, ex art. 3 D.Lgs. 7/2016.
Come detto, tuttavia, le offese rivolte all’amministratore, nella fattispecie concreta definito “mentecatto”, se contenute in uno scritto indirizzato a più soggetti, tra cui il medesimo amministratore, configurano il reato di diffamazione, e non quello di ingiuria ovvero di ingiuria aggravata, ora depenalizzato, con decorrenza dal 6.02.2016.
La vicenda giudiziaria oggi in commento vede una persona “alla sbarra” per il reato di diffamazione, per aver questi inviato una missiva all’amministratore del condominio, e ad altri soggetti, definendo l’intervento dello stesso nel corso di riunione assembleare “appare quantomeno assurda e da mentecatto la precisazione dell’amministratore del residence ……“.
Ritenuto, in primo e secondo grado, colpevole del delitto di diffamazione, era stato condannato alla pena di euro 450 di multa ed a risarcire i danni causati alla parte civile, quantificati in euro 600.
Sul ricorso per cassazione proposto dallo stesso imputato, per avere la corte territoriale ritenuto la sussistenza del delitto di diffamazione piuttosto che quella del diverso reato di ingiuria aggravata, in considerazione del fatto che la missiva offensiva era stata indirizzata anche allo stesso amministratore, la Suprema Corte, con la sentenza n. 18919, resa in data 15.03.2016, respingeva il gravame.
A sostegno dell’anzidetto rigetto la Corte di Cassazione rileva, citando il proprio precedente come: “nel caso l’offesa sia contenuta in una missiva diretta ad una pluralità di destinatari, oltre l’offeso, non può considerarsi concretata la fattispecie dell’ingiuria aggravata dalla presenza di altre persone, proprio per la non contestualità del recepimento delle offese medesime e per la conseguente maggiore diffusione delle stesse (Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012)”.
Tanto è vero, precisa la Corte che: “Nell’odierna fattispecie poi non costituisce il delitto di ingiuria ma quello di diffamazione anche l’invio della missiva a …., impersonalmente all’amministratore del condominio … (e, quindi, in ipotesi, alla persona offesa), sia perché il mittente, l’imputato, non poteva essere certo (non essendo uno dei condomini) che il legale rappresentante del condominio fosse ancora colui che stava offendendo, sia perché, non spendendone il nome e non precisando che la missiva era “riservata personale”, era pienamente consapevole del fatto che la stessa poteva essere posta a conoscenza anche di altre persone e che, comunque, sarebbe stata protocollata agli atti dell’amministrazione, a disposizione di chiunque vi potesse accedere”.
Dall’istruttoria, infatti, era indubitabilmente emerso come la missiva era stata visionata da due impiegati dello stesso amministratore, oltre che da alcuni condòmini a cui la stessa era stata indirizzata, ne consegue pertanto il rigetto del ricorso e la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali del grado di giudizio, oltre al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate in euro 1.800.
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