Offendere una persona, attraverso il noto social network “Facebook” [1], mediante l’uso di un post pubblico ovvero di un commento in calce al medesimo, realizza l’ipotesi di “diffamazione aggravata poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone”.
Invero, al pari di qualsiasi altra piattaforma social virtuale, “Facebook”, è ritenuto un vero e proprio «mezzo di pubblicità»; non a caso, la diffusione delle notizie ivi contenute è velocissima ed immediata, così come il materiale in esso contenuto è condiviso freneticamente, delle volte persino in maniera virale, sì da raggiungere un numero di destinatari davvero indefinibile, in qualsiasi parte del globo.
È acclarato, infatti, che la bacheca di Facebook, presente nel profilo di ciascun iscritto sia ”preordinata ad essere: “consultata da un numero potenzialmente indeterminato di persone, secondo la logica proprio dello strumento di comunicazione e condivisione telematica, che è quella di incentivare la frequentazione della bacheca da parte degli utenti, allargandone il numero a uno spettro di persone sempre più esteso, attratte dal relativo effetto socializzante”.
Sul punto, rimarrà irrilevante la circostanza che il profilo del soggetto che ha scritto il post ovvero il commento offensivo sia “chiuso e ristretto solo alla propria cerchia di amici”.
Né, tantomeno, rileverà il fatto che a “Facebook” si possa accedere solo all’esito di una procedura di registrazione “peraltro gratuita, assai agevole e alla portata sostanzialmente di chiunque”.
La pronuncia di in cui in commento, quindi, è una ulteriore conferma di un orientamento oramai piuttosto consolidato: è prevista fuor d’ogni dubbio una pena più severa e rigorosa per chi scrive un post o un commento offensivo su Facebook.
Vediamo in che termini.
Le aggravanti speciali del reato comune “diffamazione” comportano un aumento della pena edittale prevista dall’art. 595[2] c. 1 c.p. (reclusione fino ad un anno o multa fino a 1.032 euro) nei casi, di cui alla norma, tassativamente previsti dal Legislatore; nel caso che ci occupa, trattasi “dell’offesa arrecata a mezzo stampa, pubblicità, atto pubblico” (c. 3 del prefato articolo), che giustifica la reclusione da sei mesi a tre anni o la multa non inferiore a 516 euro a causa dell’intensa capacità diffusiva delle vie di comunicazione impiegate.
Appare opportuno precisare che, a seguito della depenalizzazione[3] intervenuta nel gennaio 2016, l’ingiuria[4] non è più reato, rimanendo in piedi nella forma del solo l’illecito civile, che, seppur preserva e tutela ancora il diritto al risarcimento del danno, viene punito con la sola multa; di contro, la diffamazione permane quale illecito penale.
Il tratto distintivo delle due fattispecie è di tutta evidenza: l’ingiuria è espressa in presenza del diretto interessato; al contrario, l’offesa diffamatoria è promossa sempre verso qualcuno, ma nell’assenza di questo ed invece alla presenza di più persone.
Perciò, al fine di non incappare in spiacevoli conseguenze dal risvolto squisitamente penale, usiamo i social cum grano salis e… attenti alle espressioni “leggere”che rivolgete a terzi nei post e nei commenti!
[1] Facebook è un servizio di rete sociale lanciato il 4 febbraio 2004, posseduto e gestito dalla società Facebook Inc., basato su una piattaforma software scritta in vari linguaggi di programmazione. Il sito, fondato ad Harvard negli Stati Uniti da Mark Zuckerberg, Eduardo Saverin, Andrew McCollum, Dustin Moskovitz e Chris Hughes, era originariamente stato progettato esclusivamente per gli studenti dell’Università di Harvard, ma fu presto aperto anche agli studenti di altre scuole della zona di Boston, della Ivy League e della Stanford University.
Successivamente fu aperto anche agli studenti delle scuole superiori e poi a chiunque dichiarasse di avere più di 13 anni di età. Da allora Facebook raggiunse un enorme successo: secondo Alexa è il terzo sito più visitato al mondo dopo Google e YouTube.[3] Ha cambiato profondamente molti aspetti legati alla socializzazione e all’interazione tra individui, sia sul piano privato che quello economico e commerciale. Fonte: Wikipedia.
[2] 595. Diffamazione.
Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito [c.p. 598] con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032.
Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico [c.c. 269], la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.
Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate [c.p. 29, 64]
[3] Cfr. d.lgs. nn. 7 e 8 del 15 gennaio 2016, pubblicati sulla G.U. n. 17 del 22 gennaio 2016.
[4] La fattispecie tutela i beni giuridici dell’onore, inteso come l’insieme delle qualità morali che concorrono a determinare il valore di una persona, e del decoro, concernente il rispetto di cui ciascun individuo è degno (Cass. n. 34599/2008), da ogni attacco diretto alla dignità personale e sociale dell’essere umano, che ricada sotto la sua percezione e contezza.
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