Omessa dichiarazione di domicilio: inammissibilità dell’impugnazione anche per l’imputato ai domiciliari

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La Corte di Cassazione, in tema di impugnazioni, ha affermato che la causa di inammissibilità prevista dall’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 33, comma 1, lett. d), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, per il caso di omesso deposito, da parte dell’imputato appellante, della dichiarazione o dell’elezione di domicilio, richiesta ai fini della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di impugnazione, opera anche nei confronti dell’appellante sottoposto agli arresti domiciliari, al quale la notifica deve essere eseguita ai sensi dell’art. 157 cod. proc. pen.

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Corte di Cassazione – Sez. IV Pen. – Sentenza n. 41858 del 16/10/2023

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1. I fatti

La Corte d’appello di Lecce ha dichiarato inammissibile l’impugnazione in appello proposta dall’imputato avverso la sentenza emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Brindisi che lo aveva riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 73, co. 1 e 4 d.P.R. e lo aveva condannato alla pena di anni due e mesi due di reclusione ed euro 4.400 di multa.
Il giudice di appello assume che la inammissibilità dell’impugnazione dipendeva dalla mancata osservanza dell’art. 581, co. 1 ter, c.p.p. come novellato dall’art. 33 lett. d) d. lgs. n. 150/2022 applicabile, ai sensi dell’art. 89, co. 3 dello stesso decreto legislativo, alle sentenze pronunciate dopo l’entrata in vigore della riforma e pertanto a partire dal 30.12.2022.
Secondo l’art. 581, co. 1 ter, c.p.p., infatti, con “l’atto di impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio“. In questo modo, non si può ritenere valida la eventuale dichiarazione o elezione di domicilio già presente agli atti.
L’unico motivo di ricorso presentato dall’imputato deduce violazione di legge in relazione all’art. 156, co. 1, c.p.p. in relazione agli artt. 581, co. 1 ter e 591, co. 1, lett. c) c.p.p., in quanto l’imputato, alla data della proposta impugnazione, risultava detenuto agli arresti domiciliari ed era presente alla lettura del dispositivo, da cui conseguiva la irrilevanza della dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notifica del decreto di citazione a giudizio, atteso che la notifica nei suoi confronti avrebbe comunque dovuto essere eseguita mediante consegna di copia analogica alla persona ai sensi dell’art. 156, co. 1 e 3, e 157 c.p.p. e che pertanto la dichiarazione di domicilio non avrebbe comunque potuto svolgere alcuna reale utilità ai fini notificatori.

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2. L’analisi della Cassazione sulla dichiarazione di domicilio

Ad avviso della Corte di Cassazione, la questione che deve essere affrontata, al fine di verificare la fondatezza della proposta impugnazione, è se la regola introdotta dall’art. 33, lett. d) del d. lgs. n. 150/2022 secondo la quale “con l’atto di impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o la elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio“, debba trovare applicazione anche qualora la parte privata, all’epoca della proposta impugnazione, sia detenuta in luogo diverso dagli istituti penitenziari.
La Suprema Corte analizza la questione, ricordando che ai sensi dell’art. 157, co. 1, c.p.p., così come novellato dalla c.d. Riforma Cartabia, le notificazioni, anche successive alla prima, sono eseguite con le forme della prima notifica all’imputato non detenuto e pertanto mediante consegna di copia dell’atto in forma analogica alla persona secondo le scansioni e le forme ivi indicate. Secondo la prospettazione difensiva, tale forma di notificazione si pone in termini di incoerenza normativa e logica con l’obbligo di dichiarazione e di elezione di domicilio previsto a pena di inammissibilità dell’art. 581, co. 1 ter, c.p.p., atteso che una interpretazione coordinata di tale disposizione con il complessivo regime del procedimento notificatorio, ne sancirebbe una implicita disapplicazione stante la sostanziale inutilità.
Ad avviso della Corte, però, tale prospettazione non può essere accolta.
Sotto un primo profilo, la norma in esame “ha carattere generale, tassativo e assoluto, si riferisce a tutte le impugnazioni proposte dalle parti private ed è funzionale al buon esito della notificazione del decreto di citazione a giudizio, affinché lo stesso raggiunga la sfera di conoscenza del destinatario“.
Sotto il diverso profilo della ratio legis, tale disposizione mira, da un lato, a “responsabilizzare la parte nella prospettiva ipugnatoria, richiedendo un suo personale contributo“, dall’altro mira ad “agevolare il buon esito del procedimento notificatorio, in ossequio al principio di collaborazione e di lealtà processuale” in modo da ricondurre il gravame alla parte che se ne avvale.
La Suprema Corte chiarisce che “lo stato di detenzione dell’imputato al momento del deposito dell’atto di impugnazione non consente pertanto di fare ritenere non applicabile la previsione in esame, sia perché la norma nulla ha previsto in tal senso (né il coordinamento con la disciplina del procedimento notificatorio consente di ravvisare una relazione di specialità derogans tra le due disposizioni), sia perché una interpretazione che ravvisasse una incompatibilità logica tra la disposizione di cui all’art. 581, co. 1 ter, c.p.p. e le disposizioni che governano il procedimento notificatorio nei confronti dell’imputato detenuto in luogo diverso dagli istituti penitenziari (156, co. 3 e 157 c.p.p.), non terrebbe conto delle possibili modifiche dello stato detentivo dell’impugnante successivamente al deposito dell’atto di appello“.

3. La decisione della Cassazione

La Corte, dunque, ha concluso dichiarando che la Corte d’appello di Lecce ha correttamente dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto dall’imputato, rigettando, di conseguenza, il ricorso e affermando il seguente principio di diritto: “la inammissibilità dell’impugnazione prevista dall’art. 581, co. 1 ter c.p.p., introdotto con l’art. 33, co. 1, lett. d) d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, in ipotesi di omesso deposito della dichiarazione o elezione di domicilio da parte dell’imputato appellante, ai fini della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di impugnazione, opera anche nei confronti del detenuto sottoposto agli arresti domiciliari al quale la notifica deve essere eseguita ai sensi dell’art. 157 c.p.p.“.

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