L’incipit non lascia dubbi: l’offensività del reato tributario va individuata secondo una considerazione in astratto. Lo chiarisce la Corte Costituzionale per il caso dell’omesso versamento dei contributi previdenziali: la norma, che sanziona penalmente il datore di lavoro nel caso in cui ometta il versamento dei contributi previdenziali, è legittima anche quando questi ultimi siano di minima entità. Il giudice, in altri termini, si deve attenere alla qualificazione giuridica del fatto senza formulare alcuna valutazione in ordine all’incidenza della violazione sui beni giuridici tutelati dall’incriminazione.
L’approdo è nella sentenza del 21 maggio 2014, n. 139: la Consulta ha dichiarato non fondata la questione di legittimità Costituzionale dell’art. 2, comma 1-bis, del DL 12/9/1983, n. 463, in relazione all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui punisce, con la sanzione penale della reclusione fino a tre anni e della multa fino ad € 1.032,00, il datore di lavoro che ometta il versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti.
In fatto, un datore di lavoro aveva omesso il versamento di contributi previdenziali, per un importo minimo di € 24,00. Il Tribunale di Imperia, dinnanzi al quale si celebrava il processo, sollevava questione di legittimità costituzionale, in data 7 agosto 2013, ponendo dubbi di legittimità sulla mancata previsione di una soglia di punibilità nella norma applicata, soglia prevista per una disciplina “identica”, quale quella regolamentata dall’art. 10-bis del D. Lgs. 74/2000.
Tale mancata previsione, secondo il giudice rimettente, avrebbe comportato (un sospetto di) disparità di trattamento sanzionatorio tra il datore di lavoro che avesse omesso il versamento delle ritenute previdenziali di minima entità ed il datore di lavoro-sostituto d’imposta che, in una situazione identica, avesse omesso il versamento delle ritenute fiscali operate, immune in questo caso da responsabilità per effetto di una soglia di punibilità, così ledendo il principio generale di eguaglianza proclamato dall’art. 3 della Costituzione.
Nella parte motiva la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità su due piani.
Irragionevolezza: non ricorre sul piano della politica penale. La sentenza “precisa come la finalità della norma, sospettata di illegittimità costituzionale, sia quella di ovviare al fenomeno della grave forma di evasione contributiva…”, mentre la previsione invocata come tertium comparationis (art. 10-bis D.Lgs. 74/2000) è stata introdotta dal legislatore penale per la regolamentazione di un “ristretto numero di fattispecie caratterizzate da rilevante offensività per gli interessi dell’Erario, con la previsione di soglie di punibilità atte a limitare l’intervento penale ai soli illeciti economicamente significativi”.
Irragionevolezza: non ricorre sul piano della tipizzazione della fattispecie. Secondo la Consulta emergono sostanziali differenze tra i reati posti a confronto. Così, “mentre la norma censurata prevede un reato a consumazione istantanea con una speciale causa di estinzione collegata al versamento tardivo delle ritenute previdenziali entro tre mesi dalla contestazione, l’art. 10-bis del D. Lgs. 74/2000…. introduce una condizione oggettiva di punibilità, che impedisce…” l’applicazione di sanzioni penali per condotte ritenute di irrilevante offensività. In altri termini, ad avviso dei Giudici, entrambe le discipline assicurano la non punibilità dei fatti scarsamente offensivi, ancorché per il tramite di meccanismi differenti.
La Corte, motivata l’impraticabilità del confronto richiesto dal giudice rimettente, conclude con la non illegittimità della norma censurata; di più, trova qui espressione l’ampia discrezionalità del legislatore nel modulare le scelte sanzionatorie spaziando tra sistemi differenziati e specifici, nei quali la sanzione penale rappresenta soltanto uno dei mezzi ai quali può ricorrere il legislatore.
Colpo di scena. Prima di congedare il lettore la Consulta rimescola le carte e formula un nuovo principio: per gli omessi versamenti minimi è preciso dovere del giudice di merito apprezzare l’idoneità lesiva dei beni giuridici tutelati. Nulla di più chiaro per introdurre il modello del pericolo concreto, nel quale la predeterminazione legale del fatto penalmente rilevante non comprime del tutto gli spazi di valutazione del giudice in ordine all’offensività del fatto. Viceversa, è qui formalizzato un meccanismo di supplenza giurisdizionale, pendant di un sottinteso “se il legislatore non può, spazio al giudice”. E già, perché l’apprezzamento in concreto, da parte dell’interprete, dell’attitudine lesiva di una violazione penal-tributaria (rectius di ogni violazione) introduce un’auspicabile attenzione specifica al caso, che gli stereotipi legali, al meglio, non possono tradurre con la stessa efficacia.
Se non fossero due modelli strutturalmente inconciliabili l’apertura sarebbe di certo interessante, atteso che, come detto, sgancia la rilevanza penale del fatto da un asettico e avalutativo meccanismo di sussunzione. L’imbarazzo del lettore, tuttavia, discende proprio dall’irriducibilità dei due modelli.
Tertium datur? Pericolo (in) astratto per il tetto massimo e pericolo (in) concreto per il minimo? La tecnica di tipizzazione, la cui centralità risulta in modo ben evidente dalla motivazione di questa sentenza, punta essenzialmente a descrivere il limite inferiore (del resto, nessuna norma fa riferimento alla quantificazione delle omissioni nel massimo). Orbene, come si diceva, sul limite inferiore l’alternativa è secca, irriducibile.
Cosa resta? Forse la preoccupazione/premura del Giudice delle leggi di garantire una tenuta del sistema, allo stato difficile/scomodo da scardinare e rifondare, segnalando al contempo l’esigenza che dietro un’inconsistenza dell’omissione si celino situazioni ad offensività presunta, da “depenalizzare” con lo strumento, sempre attuale, della supplenza giurisdizionale (correntemente operante in chiave di criminalizzazione).
Oppure una certezza: differenti meccanismi di irrilevanza, caratterizzanti ipotesi normative coniate secondo modelli diversi, operano sotto il comune denominatore della non punibilità dei fatti senza offesa.
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