Con una recente pronuncia del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Monza, Dott. Alfredo De Lillo, la giurisprudenza torna ad occuparsi della configurabilità del delitto di omesso versamento di IVA nell’ipotesi di carenza di liquidità.
La sentenza in esame conferma l’ormai non più tendenziale apertura dei giudici di merito a conferire rilievo “scriminante” allo stato di grave crisi finanziaria dell’azienda, tale da suscitare perlomeno il ragionevole dubbio che la condotta omissiva sia stata attivata secondo la coscienza e la volontà dell’agente.
Il caso di specie
In seguito all’emissione a suo carico di un decreto penale di condanna alla pena di € 22.500,00 di multa per il delitto di cui all’art. 10 ter del d.l.vo n. 74/00, a causa del mancato versamento dell’Iva entro i termini previsti per un importo complessivo di € 145.685,00 relativo all’annualità d’imposta 2010, l’imputato, legale rappresentante di una società, proponeva opposizione con contestuale richiesta di giudizio abbreviato condizionato.
Il G.i.p., riconosciuta l’utilità dei documenti prodotti dagli Avv.ti Onofrio Musco e Marcello Porcelli del Foro di Trani, difensori dell’imputato, accoglieva la richiesta ed assumeva nel compendio probatorio la documentazione relativa ai bilanci societari del 2009 e del 2010, da cui si evinceva la chiara situazione di crisi finanziaria ed illiquidità in cui versava la società.
All’esito del rito abbreviato il G.i.p., pur avendo accertato l’avvenuta piena realizzazione della condotta omissiva posta in essere dall’imputato, assolveva il medesimo con formula “il fatto non costituisce reato”, motivando il provvedimento sull’incerta sussistenza dell’elemento psicologico necessario a configurare il reato di omesso versamento di IVA.
I precedenti giurisprudenziali e l’onere probatorio. Valore prospettico delle pronunce.
Il trend proseguito dal G.i.p. di Monza disvela la recente spiccata sensibilità dei giudici di merito per la grave situazione di crisi economica in cui versano le aziende nazionali, che continua a ripercuotersi sui contribuenti sotto forma di una sempre maggiore pressione fiscale.
Il percorso di apertura giurisprudenziale, seguendo il tracciato già individuato dalla dottrina, ha inizialmente individuato nella crisi di liquidità dell’azienda l’elemento decisivo affinché si configuri una sorta di “forza maggiore” in grado di interrompere il nesso psichico.
Tale orientamento si è sviluppato, in particolare, con le pronunce del G.i.p. di Milano 19 settembre 2012 e 7 gennaio 2013, e del Tribunale di Novara 20 marzo 2013, secondo cui l’elemento psicologico del dolo in tali delitti non può essere desunto, nemmeno nella forma “eventuale”, dalla semplice mancanza del pagamento tempestivo dell’imposta, senza che sia ulteriormente addotta altra circostanza idonea a fornire autonoma prova della sua sussistenza.
Le suddette sentenze hanno altresì contestato aspramente la posizione dei giudici di legittimità, che ancora si attesta sull’aprioristica irrilevanza delle cause che hanno spinto l’agente ad omettere il versamento, non consentendo di formare un giudizio realmente motivato sulla sussistenza del dolo.
Ed invero, la situazione di grave difficoltà economica in cui versano molte imprese – spesso dovuta proprio all’insolvenza delle pubbliche amministrazioni – è stata recentemente elevata dai giudici di merito al rango di causa non imputabile all’agente, estranea alla mala gestio della vita aziendale, per cui sufficiente a generare la possibilità che l’omissione contributiva non si sia prodotta per volontà dell’imputato.
Sul piano probatorio, tale circostanza non può che essere catalogata alla stregua di una “prova contraria”, per cui rimessa all’onere della difesa. Non deve trattarsi, peraltro, di una situazione creata, voluta, programmata o realizzata dall’inadempiente (cfr. Trib. Roma, 7 maggio 2013).
La “prova di non colpevolezza”, in altre parole, dev’essere calibrata sul caso concreto e sulla dimostrazione, da parte dell’imputato, che la carenza di liquidità – tale da impossibilitarlo al versamento dell’imposta – si sia prodotta per causa ad esso non imputabile.
A tal proposito, va evidenziato che la giurisprudenza di merito (Trib. La Spezia, 20 dicembre 2011, n. 1121) escludeva il valore “scriminante” dell’illiquidità qualora l’agente avesse mancato di versare l’imposta allo Stato preferendo, ad esempio, privilegiare i crediti dei lavoratori. Tale scelta autonoma e volontaria dell’imprenditore, per quanto nobile sotto il profilo morale, non giustificava la carenza di liquidità ai fini del versamento delle imposte.
Nel caso di specie, tuttavia, le circostanze prodotte dalla difesa hanno provato il carattere terzo delle cause della crisi finanziaria della società rispetto alla volontà di omettere il versamento, spingendo il G.i.p. di Monza a sancire la dubbia sussistenza dell’elemento psicologico del reato contestato nonostante l’imputato abbia privilegiato i crediti dei propri dipendenti, onorandoli appieno.
Sembra, dunque, che la giurisprudenza di merito abbia definitivamente inaugurato una nuova stagione interpretativa della casistica concernente le ipotesi di omissione di versamento delle imposte, ponendo serie e valide basi affinché anche i giudici di legittimità possano presto intervenire, riformando il precedente orientamento.
Non è un caso, peraltro, che anche i pubblici ministeri abbiano iniziato ad apprezzare la reale portata giuridica degli eventi che spesso strozzano la vita delle imprese. Proprio nella vicenda in esame, infatti, la pubblica accusa si è ragionevolmente prodotta in una richiesta conclusiva di assoluzione per l’imputato, dimostrando di percepire appieno lo spirito di giustizia perseguito dalle aziende che versano incolpevolmente in uno stato di crisi, pur quando le stesse si siano impegnate a destinare le poche risorse finanziarie per l’esclusivo soddisfacimento dei lavoratori dipendenti.
Un principio, quest’ultimo, di assoluto pregio sociologico.
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