Va premesso, innanzitutto, che una regolare fattura, conforme ai requisiti di forma e contenuto richiesti dalla vigente disciplina (e, in ispecie, dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21), fa presumere la verità di quanto in essa rappresentato, sicché costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’IVA, spettando all’Ufficio, di fronte alla sua esibizione, provare il difetto delle condizioni per la detrazione.
Nel caso di operazioni oggettivamente inesistenti, la fattura è la mera espressione cartolare di una operazione mai venuta in essere: la relativa prova ricade sull’Amministrazione finanziaria, mentre il contribuente è tenuto a fornire, in tale evenienza, la prova contraria.
Attesa l’assenza di operazioni non è, invece, configurabile alcuna buona fede.
Nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, invece, l’operazione è effettiva ed esistente ma la fattura è stata emessa da un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione in essa rappresentata (e della quale il cessionario o il committente è stato realmente destinatario).
L’IVA, conseguentemente, non è, in linea di principio, detraibile perché versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta.
In altri termini, non entrano nel conteggio del dare ed avere ai fini IVA le fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, in quanto tali fatture riguardano operazioni, per quanto lo riguarda, inesistenti, senza che rilevi che le stesse fatture costituiscano la “copertura” di prestazioni acquisite da altri soggetti (v. Cass. 20060 del 2015, Rv. 636663).
Ai sensi dell’art. 168, lett. a), della Direttiva 2006/112, infatti, per poter beneficiare del diritto a detrazione, occorre, da un lato, che l’interessato sia un soggetto passivo ai sensi di tale Direttiva e, dall’altro, che i beni o servizi invocati a base di tale diritto siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta e che, a monte, detti beni o servizi siano forniti da un altro soggetto passivo.
In una simile ipotesi è, invece, configurabile, anche in applicazione della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, una esigenza di tutela della buona fede del contribuente, fermo restando, in ogni caso, che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione, sicché un soggetto passivo che sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA dev’essere considerato, ai fini della Direttiva 2006/112, partecipante a tale evasione, indipendentemente dalla circostanza che egli tragga o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette a imposta da lui effettuate a valle.
Nella ripartizione dell’onere della prova occorre considerare che il diniego del diritto a detrazione segna un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce; incombe, quindi, sull’Amministrazione tributaria provare, sia pure anche solo in base a presunzioni, gli elementi oggettivi, senza esigere dal destinatario della fattura verifiche che non gli incombono che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale sospetto ed a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente (Corte di Giustizia, in C285/11, Bonik; Corte di Giustizia, in C277/14, Ppuh, par. 50).
Il concreto definirsi del contenuto di tale onere è poi rapportato alla effettiva complessità della vicenda nei casi di operazione soggettivamente inesistente di tipo triangolare che costituisce l’ipotesi più semplice e comune (interposizione di un soggetto italiano, fittizio, nell’acquisto di beni tra un soggetto comunitario (reale cedente) ed un altro soggetto italiano (reale acquirente).
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha evidenziato che tale onere “può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata (è, cioè, una cartiera), costituendo ciò, di per sé, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona fede del cessionario, poiché l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente in merito all’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta” (Cass. n. 24426 del 2013 e n. 5173 del 2017).
In definitiva, la Corte di Cassazione anche ultimamente, con le ordinanze n. 25545 e n. 25538, entrambe depositate il 27 ottobre 2017, ha ribadito il seguente principio:
“qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture ai fini Iva e Irpeg, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, ovvero non è stata posta in essere tra i soggetti indicati nella fattura, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione anche in merito alla conoscenza ovvero alla conoscibilità della fittizietà delle operazioni da parte del cessionario/committente che richiede la detrazione, mentre onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili e la sua mancanza di consapevolezza di partecipare ad un’operazione fraudolenta, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili”. (Cass. Sez. V, 428/15, 12650/17; Sez. VI-5, 13238/17; cfr. Corte Giust. 22/10/2015, C-277/14).
In fase difensiva è opportuno tenere conto dei suesposti principi.
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