Sommario:
- L’operatività dell’Organismo di Vigilanza ai tempi del Coronavirus[1];
- Le possibili relazioni della questione con la Costituzione italiana e i Principi del diritto europeo[2].
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L’operatività dell’organismo di vigilanza ai tempi del coronavirus
L’Organismo di Vigilanza (c.d. OdV) ha il compito di effettuare una valutazione continua del sistema di controllo esistente all’interno degli Enti: il piano di prevenzione dei reati ed il suo eventuale adeguamento nel tempo, in termini di capacità di contrastare efficacemente i rischi identificati od identificabili, è elemento primario di pianificazione legato all’attività del predetto OdV.
La normativa complessiva, oltre a quella ordinaria codicistica, è riferibile a due leggi speciali vigenti: il D.Lgs. 81/2008 ed il D.lgs. 231/2001 i quali rispettivamente disciplinano la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica.
Con il drammatico avvenimento del c.d. “coronavirus”, meglio qualificato COVID – 19, il Governo italiano ha deliberato, in data 31 gennaio 2020, lo stato di emergenza nazionale derivato dai rischi sanitari autorizzando, con successivi decreti legge, il Presidente del Consiglio ad adottare a sua volta provvedimenti.
Tanto è accaduto, anche nella materia oggetto del presente breve approfondimento, con il recentissimo DPCM del 11 marzo 2020 titolato “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale”.
A seguito del summenzionato decreto, in data 14 marzo 2020, le organizzazioni datoriali e sindacali hanno sottoscritto il “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”; trattasi, in buona sostanza, di linee guida condivise tra le parti sociali per agevolare le imprese nell’adozione delle misure di sicurezza anti-contagio legate agli effetti, per l’appunto, del DPCM del 11 marzo 2020.
Ciò al fine ulteriore di consentire ai destinatari l’ottimale recepimento delle indicazioni operative modellandone, a seconda della peculiarità aziendale, le misure interne legate al contrasto ed al contenimento della diffusione del Coronavirus negli ambienti di lavoro.
Diverse opinioni si sono registrate, tra i vari esperti, in merito a come dovrebbe comportarsi l’ODV in tale miscelato contesto normativo.
In ottemperanza all’art. 6 D.Lgs. 231/01, è noto che il compito dell’Odv è quello “di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento”.
Si paventa dunque la necessità di operare correttivi; ciò dipende dal fatto che occorrono valutarsi diversi elementi in grado di incidere sul rischio derivante da COVID-19 in materia di salute dei lavoratori o sull’adeguatezza ed idoneità del sistema dei controlli interni.
Coerentemente con il suo ruolo e considerando l’Ente in cui opera, l’ODV dovrà, ad ogni modo, assumere informazioni dai vari attori quali Collegio Sindacale e Revisore dei conti, soggetti apicali RSPP, Responsabile del Sistema di Gestione Salute e Sicurezza sul lavoro, ecc., in merito al programma di iniziative e relative misure di prevenzione adottate (e/o in corso di attuazione) al fine di mitigare i rischi e, nel caso in cui non siano già stati adottati dei presidi idonei al contrasto ed alla diffusione del Covid-19, incentivare e dare input al processo di programmazione ed attuazione degli stessi. Ulteriori attività che l’ODV dovrà eseguire sono l’intensificazione ed aggiornamento dei flussi informativi e comunicativi, in modo da poter gestire e controllare eventuali situazioni di contagio e di corretta applicazione del Protocollo condiviso, e continuare con la ricezione ed analisi di eventuali segnalazioni, compreso il Whistleblowing.
Nel caso di sospensione dell’attività, in ottemperanza del successivo DPCM 22 marzo 2020, le società sono tenute a comunicare tale circostanza all’Organismo di Vigilanza che ne prenderà atto.
Esperti e datori di lavoro pubblici e privati, all’indomani dell’ultimo decreto presidenziale, si sono chiesti anche se fosse possibile acquisire una “autodichiarazione” da parte dei dipendenti in ordine all’assenza di sintomi influenzali anche rispetto a vicende relative alla sfera privata.
A tal proposito il Garante della Privacy ha chiarito la sua posizione con un “no a iniziative “fai da te” nella raccolta dei dati”.
In pratica, secondo il Garante “l’accertamento e la raccolta di informazioni relative ai sintomi tipici del Coronavirus e alle informazioni sui recenti spostamenti di ogni individuo spettano agli operatori sanitari e al sistema attivato dalla protezione civile, che sono gli organi deputati a garantire il rispetto delle regole di sanità pubblica recentemente adottate”[3].
Resta fermo l’obbligo del lavoratore secondo l’art. 20 del D.lgs 81/2008 di segnalare al datore di lavoro qualsiasi situazione di pericolo per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro.
Nelle organizzazioni aziendali è compito del datore di lavoro, con il supporto specialistico del Servizio di Prevenzione e Protezione (istituito ai sensi dell’art. 31 e ss. D. Lgs. 81/2008) e del Medico Competente (nominato ai sensi dell’art. 38 e ss. D. Lgs. 81/2008), valutare il rischio biologico da contagio COVID-19 ed adottare le conseguenti misure di prevenzione per tutelare i propri dipendenti, con eventuale implementazione nel DVR. Tale valutazione diviene oggetto di verifica dell’ODV, sia nel caso in cui il datore di lavoro abbia implementato tali modifiche, sia in caso contrario. L’OdV in quanto tale non ha il potere-dovere di esprimersi sul merito della scelta, trattandosi di scelta gestionale riservata dalla legge all’operato[4] del datore di lavoro ai sensi del D.lgs 81/2008.
L’omissione o ritardo dei provvedimenti di prevenzione potrebbero sostanziare (od agevolare addirittura) la realizzazione di tipologie di reati-presupposto, come ad esempio quelle dell’art. 25-septies D.lgs 231/01 in materia di sicurezza del lavoro, quali l’omessa od insufficiente sorveglianza sanitaria e la mancata valutazione dei rischi derivanti dall’esposizione agli agenti biologici presenti nell’ambiente laddove da ciò derivi la diffusione del Coronavirus e, di conseguenza, il contagio dei lavoratori presenti in azienda.
Dipoi l’ulteriore tipologia di reato che potrebbe configurare la responsabilità dell’Ente, è quella derivante dallo sfruttamento a scopo di lucro dell’emergenza sanitaria attuale, ai sensi dell’art. 25-bis 1 del D.lgs. 231/2001, ovvero la frode in commercio di cui all’art. 515 c.p. e ciò segnatamente in ordine alla questione della “produzione di mascherine chirurgiche non conformi”.
In estrema ratio, qualora ci fosse un interesse/vantaggio economico, si sostanzierebbe un reato specifico ai sensi del D. Lgs. 231/2001 anche sotto il profilo della responsabilità amministrativa dell’Ente.
Il focus nell’interpretazione delle norme va certamente riferito all’obiettivo di raggiungimento della massima tutela per i lavoratori cercando, al contempo, di consolidare lo spirito di garanzia costituzionale (sul quale è incentrata la seconda parte del presente breve approfondimento) tesa anche ad evitare ogni possibile fonte di responsabilità civile e penale che gravi interamente sul datore di lavoro tenuto, a sua volta, a garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro.
Fondamentale è, in conclusione, lasciare una traccia documentale (al fine di un rispetto della normativa) sia della valutazione effettuata sulla scelta di proseguire o meno la fase produttiva, di ricorrere al lavoro agile, al congedo o alle ferie e sia della consegna dei dispositivi di protezione individuali quali mascherine e guanti ai lavoratori presenti in azienda (ovviamente nel caso in cui l’azienda prosegua la sua attività produttiva).
La radice di quest’ultimo passaggio può ricavarsi collegandone il contenuto con lo spirito dell’art. 15 D.lgs. 81/2008 il quale afferma che la valutazione dei rischi deve riguardare “tutti i rischi per la salute e sicurezza” dei lavoratori nei luoghi di lavoro e, quindi, anche il rischio occasionale e potenziale di contagio da COVID-19; l’ODV come precedentemente indicato, svolge, perciò, il suo compito verificando che le misure preventive del potenziale contagio da COVID-19 siano state pianificate ed attuate e che il DVR, se ritenuto necessario, sia stato opportunamente modificato.
Per quanto concerne la tenuta di riunioni, interlocuzioni, deliberazioni e coordinamenti inter-organici, tale attività va effettuata con frequenza maggiore rispetto a quanto programmato nel Piano di Vigilanza. La parola d’ordine in chiave di modalità operativa, in ottemperanza delle prescrizioni del Governo e delle istruzioni comportamentali impartite dalle autorità competenti, è quella di spingere lo smart working in modalità di audio e/o video conference.
Infine, nel caso in cui non fosse già previsto, si potrebbe valutare anche l’opportunità di integrare validamente le riunioni svolte in modalità telematica, all’interno del Regolamento di funzionamento dell’ODV.
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La responsabilità amministrativa degli enti
Il modello di organizzazione e gestione (o “modello ex D.Lgs. n. 231/2001”) adottato da persona giuridica, società od associazione privi di personalità giuridica, è volto a prevenire la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.Le imprese, gli enti e tutti i soggetti interessati possono tutelarsi, in via preventiva e strutturata, rispetto a tali responsabilità ed alle conseguenti pesanti sanzioni, non potendo essere ritenuti responsabili qualora, prima della commissione di un reato da parte di un soggetto ad essi funzionalmente collegato, abbiano adottato ed efficacemente attuato Modelli di organizzazione e gestione idonei ad evitarlo.Questo volume offre, attraverso appositi strumenti operativi, una panoramica completa ed un profilo dettagliato con casi pratici, aggiornato con la più recente giurisprudenza. La necessità di implementare un Modello Organizzativo ex D.Lgs. n. 231/2001, per gli effetti positivi che discendono dalla sua concreta adozione, potrebbe trasformarsi in una reale opportunità per costruire un efficace sistema di corporate governance, improntato alla cultura della legalità.Damiano Marinelli, avvocato cassazionista, arbitro e docente universitario. È Presidente dell’Associazione Legali Italiani (www.associazionelegaliitaliani.it) e consigliere nazionale dell’Unione Nazionale Consumatori. Specializzato in diritto civile e commerciale, è autore di numerose pubblicazioni, nonché relatore in convegni e seminari.Piercarlo Felice, laurea in giurisprudenza. Iscritto all’albo degli avvocati, consulente specializzato in Compliance Antiriciclaggio, D.Lgs. n. 231/2001, Trasparenza e Privacy, svolge attività di relatore e docente in convegni, seminari e corsi dedicati ai professionisti ed al sistema bancario, finanziario ed assicurativo, oltre ad aver svolto docenze per la Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze (Scuola di Formazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze) sul tema “Antiusura ed Antiriciclaggio”. Presta tutela ed assistenza legale connessa a violazioni della normativa Antiriciclaggio e normativa ex D.Lgs. n. 231/2001. È tra i Fondatori, nonché Consigliere, dell’Associazione Italiana Responsabili Antiriciclaggio (AIRA). Collabora con l’Università di Pisa come docente per il master post laurea in “Auditing e Controllo Interno”. Ha ricoperto l’incarico di Presidente dell’Organismo di Vigilanza ex D.Lgs. n. 231/2001 presso la Banca dei Due Mari di Calabria Credito Cooperativo in A.S.Vincenzo Apa, laureato in economia e commercio e, successivamente, in economia aziendale nel 2012. Commercialista e Revisore Contabile, dal 1998 ha intrapreso il lavoro in banca, occupandosi prevalentemente di finanziamenti speciali alle imprese, di pianificazione e controllo di gestione, di organizzazione e, nel 2014/2015, ha svolto l’incarico di Membro dell’Organismo di Vigilanza 231 presso la BCC dei Due Mari. È attualmente dipendente presso la BCC Mediocrati. Ha svolto diversi incarichi di docenza in corsi di formazione sull’autoimprenditorialità, relatore di seminari e workshop rivolti al mondo delle imprese.Giovanni Caruso, iscritto presso l’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Cosenza e nel registro dei tirocinanti dei Revisori Legali dei Conti. Laureato in Scienze dell’Amministrazione, in possesso di un Master in Diritto del Lavoro e Sindacale e diverse attestazioni in ambito Fiscale e Tributario, Privacy e Sicurezza sul Lavoro. Svolge l’attività di consulente aziendale in materia di Organizzazione, Gestione e Controllo, Sicurezza sui luoghi di lavoro, Finanza Aziendale e Privacy. Ha svolto incarichi di relatore in seminari e workshop rivolti a Professionisti ed Imprese.
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Le possibili relazioni della questione con la costituzione italiana e i principi del diritto europeo
Individuare una relazione tematica tra il ruolo dell’Organismo di Vigilanza degli Enti e la Costituzione italiana è certamente attività interessante e quantomai attuale soprattutto alla luce della drammatica vicenda “coronavirus”.
Il Governo italiano come risaputo, al fine di fronteggiare la situazione, ha deliberato lo stato di emergenza sanitaria il 31 gennaio 2020 e successivamente ha posto in essere una serie di decreti legge (a cui vanno aggiunti diversi DPCM, ordinanze del Ministro della Salute, ecc.).
L’elemento essenziale che qui, però, occorre porre al centro della breve disamina è identificare la radice, il presupposto, il fondamento di tutela più elevato giuridicamente e socialmente parlando rispetto alla materia de quo.
In primis non va trascurato che il fondamento dei fondamenti di indirizzo programmatico per il legislatore italiano è, senza ombra di dubbio, l’art. 1 della Costituzione il quale recita “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
Ragionevolmente va considerata l’ipotesi, non del tutto affrancata dal richiamo storico che la società italiana ha vissuto (soprattutto) dal 2000 in poi rispetto alle morti sul luogo di lavoro, che il rafforzamento delle misure di sicurezza negli Enti, pubblici e privati, abbia avuto un fil ruoge novativo anche per effetto della vigente CEDU[5] nell’ordinamento.
Di certo il connubio tra Costituzione e Diritti inviolabili dell’Uomo, in relazione alla tutela della vita e del lavoratore in quanto tale (sia esso pubblico, privato, autonomo, dipendente, imprenditore, ecc.), è stadiato dal mix di principi fondamentali che risiedono con tutta evidenza:
- nell’art. 2, co. 1, Cost. “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”;
- nell’art. 4, co. 1, Cost. “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”;
- nell’art. 2, co. 1, CEDU “Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge”;
- nell’art. 5, co. 1, CEDU “Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza”;
- nell’art. 53 CEDU “Nessuna delle disposizioni della presente Convenzione può essere interpretata in modo da limitare o pregiudicare i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali che possano essere riconosciuti in base alle leggi di ogni Parte contraente o in base a ogni altro accordo al quale essa partecipi”;
- nell’art. 1 della Carta Fondamentale dei diritti dell’Unione Europea “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”;
- nell’art. 15 della Carta Fondamentale dei diritti dell’Unione Europea “Ogni individuo ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata”;
- nell’art. 16 della Carta Fondamentale dei diritti dell’Unione Europea ¨riconosciuta la libertà d’impresa, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali.
Fatta tale premessa, difronte all’eccezionale gravità della emergenza pandemica dichiarata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, per gli operatori destinatari delle norme di sicurezza sul lavoro nonché di coloro che hanno la responsabilità di vigilanza sui c.d. “Modelli di Organizzazione, Gestione e controllo idonei a prevenire la perpetrazione di reati”, è stato necessario ed è necessario adattare i principi di comportamento, le procedure operative, i presidi di controllo e le sanzioni disciplinari alle effettive esigenze di tutela e garanzia sia dei lavoratori che dell’impresa stessa.
Di fatto nell’art. 6[6] del D.Lgs. 231/2001 si rinviene una disposizione dal valore di esimente stando alla previsione di una forma specifica di esonero di responsabilità per l’Ente ove mai, quest’ultimo, fosse in grado di dimostrare l’adozione e l’attuazione (efficace), prima dell’avveramento di un eventuale fatto criminoso, dei suddetti modelli di organizzazione e di gestione idoneamente astratti a prevenire reati della specie di quello verificatosi (tuttavia, si badi bene, che l’adozione di modelli di tal fatta è di natura facoltativa).
Sicché, dalla successione delle disposizioni nel tempo, non può che riconoscersi ai D.Lgs. 231/01 e 81/2008, anzitutto una elevatissima portata di protezione costituzionalmente riscontrabile oltreché comunitariamente indirizzata alla tutela dei diritti inviolabili.
Non è un caso che nelle leggi di delega delle rispettive norme speciali summenzionate, emanate (poi) ai sensi dell’art. 76[7] della Costituzione italiana, si rinvengano non pochi richiami costituzionali e comunitari in relazione alle finalità di tutela (giustappunto) elencate.
Ad esempio, la legge delega n. 300 del 2000 (ai fini del D.Lgs. 231/2001), con l’art. 11 provvedeva ad incaricare il Governo dell’epoca, stando all’incipit del co. 1, di “emanare, entro otto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo avente ad oggetto la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle società, associazioni od enti privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni di rilievo costituzionale, con l’osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi… omissis”.
La lettura di detta ultima disposizione consente di intravvedere e percepire una finalità del legislatore abbastanza chiara:
- elevare al grado massimo di tutela, quanto a funzione sociale-costituzionale, l’operosità dei soggetti coinvolti;
- renderne le attività destinatarie della norma, in precedenza non rientranti nel riconoscimento perimetrale di natura essenziale, soggette a tutela ampia di portata fondamentale.
Elemento, quest’ultimo, riscontrabile proprio nello spirito normativo con cui la legge delega n. 123 del 2007 (ai fini del D.Lgs. 81/2008) ha incaricato il Governo della legislatura successiva “ad adottare, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto e la riforma delle disposizioni vigenti in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, in conformità all’articolo 117 della Costituzione e agli statuti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, e alle relative norme di attuazione, e garantendo l’uniformità della tutela dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati”.
Nell’era del COVID – 19 le rispettive norme, appena citate, risuonano forti quanto a necessità di protezione del sistema di tutele per i lavoratori (si ribadisce, in quanto tali) ma anche delle imprese stesse.
Nel sistema economico è del tutto oggettivo che impresa e lavoratore dipendente siano due facce della stessa medaglia che necessitano, ognuno per i rispettivi rischi e proporzionalmente a quest’ultimi, di rendere effettivi gli strumenti di tutala e, prima ancora, di prevenzione.
Il ruolo fondamentale che svolge, oggi più che mai, l’Organismo di Vigilanza all’interno degli Enti dotati di un Modello 231 (o meglio detto modello organizzativo e gestionale previsto dal D.Lgs. n. 231/2001) non dovrebbe, quindi, venir meno neanche nell’attuale contingenza di sospensione dell’attività (in base al tipo di produzione merceologica) per effetto di tutte le norme e DPCM vigenti.
Infatti può affermarsi che l’ODV altro non è che un vero e proprio “presidio di legalità” irrinunciabile ed imprescindibile ai fini di preservare il valore esimente che riveste il Modello affinché l’esonero dell’Ente dalle responsabilità, derivanti dalla normativa 231 suddetta, sia effettivo ed efficace nel tempo.
ai fini di validare l’esimente a beneficio dell’Ente nel caso di commissione dei reati 231.
L’attuazione dei presidi indicati nel “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, per come argomentato nella prima parte del presente breve approfondimento, sono, a ben vedere, fondamentali per:
- la tutela della sicurezza dei lavoratori;
- la tutela della sicurezza produttiva dell’impresa.
Due elementi che insieme concorrono al risultato ottimale di gestione dei rischi e di raggiungimento dello scopo imprenditoriale; la combinazione di ciò altro non è che la consacrazione di due diritti costituzionalmente garantiti che nel loro equilibrio trovano la forza per legittimarsi a vicenda:
- l’art. 35 Cost. “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro”;
- l’art. 41 Cost. “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla liberta`, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché´ l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
Ebbene questo breve excursus, unito ad un quadro costituzionale e comunitario di riferimento, ci porta inevitabilmente a un elemento fondamentale della vicenda analizzata in relazione al ruolo dell’ODV ai tempi del coronavirus: la tutela della salute, negli ambienti di lavoro, poggia la sua ragion d’essere nella prevenzione dei possibili rischi sia dell’operosità del lavoratore dipendente, sia del quadro dirigenziale che dell’impresa complessivamente.
Tale attività di prevenzione non può esser considerata un unicum statico, ma un lavoro d’integrazione costante tra le diverse figure competenti (identificate dal combinato disposto tra il D.Lgs. 231/2001 e il D.Lgs. 81/2008) le quali contribuiscono all’evoluzione ed all’ottimizzazione dei modelli.
D’altronde la nostra Carta costituzionale non fonda la struttura democratica sul lavoro dipendente o su quello autonomo o di altra natura (rif. art.1), ma sulla dignità del lavoro come essenza della civiltà repubblicana; identicamente tale principio vale per la figura del lavoratore.
Ragione per cui, se quanto sopra è indistintamente assoluto in termini di principio, l’estensione costituzionale si intende anche per ogni tipo di lavoratore poiché essere umano e posto al centro del progresso spirituale e materiale della collettività (rif. art. 4).
Conclusione vuole che, in materia di prevenzione dei rischi sul lavoro e di sorveglianza dell’Organismo in relazione in relazione all’efficacia del Modello 231, il motivo principale della tesi per cui occorra un’intensificazione dei controlli, pur nella situazione d’incertezza venutasi a creare per effetto dei decreti anti-contagio COVID – 19, risiede nel più importante dei diritti costituzionali: l’art. 32!
Disposizione che, quand’anche fosse stato musicato, renderebbe espressamente lo stesso sublime concetto irrinunciabile recitando che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
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*Contributo realizzato in collaborazione tra la Dott.ssa Ing. Giovanna Salvatore e
l’Avv. Angelo Lucarella
Note
[1] A cura della Dott.ssa Ing. Giovanna Salvatore.
[2] A cura dell’Avv. Angelo Lucarella del foro di Taranto.
[3] https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9282117
[4] acronimo di Documento Valutazione Rischi.
[5] Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
[6] Così recita la norma in questione “Se il reato e’ stato commesso dalle persone indicate nell’articolo 5, comma 1, lettera a), l’ente non risponde se prova che: a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento e’ stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione; d) non vi e’ stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b). 2. In relazione all’estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze: a) individuare le attivita’ nel cui ambito possono essere commessi reati; b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire; c) individuare modalita’ di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli; e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. (( 2-bis. I modelli di cui alla lettera a) del comma 1 prevedono: a) uno o piu’ canali che consentano ai soggetti indicati nell’articolo 5, comma 1, lettere a) e b), di presentare, a tutela dell’integrita’ dell’ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite, rilevanti ai sensi del presente decreto e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti, o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell’ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte; tali canali garantiscono la riservatezza dell’identita’ del segnalante nelle attivita’ di gestione della segnalazione; b) almeno un canale alternativo di segnalazione idoneo a garantire, con modalita’ informatiche, la riservatezza dell’identita’ del segnalante; c) il divieto di atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti del segnalante per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione; d) nel sistema disciplinare adottato ai sensi del comma 2, lettera e), sanzioni nei confronti di chi viola le misure di tutela del segnalante, nonche’ di chi effettua con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelano infondate. 2-ter. L’adozione di misure discriminatorie nei confronti dei soggetti che effettuano le segnalazioni di cui al comma 2-bis puo’ essere denunciata all’Ispettorato nazionale del lavoro, per i provvedimenti di propria competenza, oltre che dal segnalante, anche dall’organizzazione sindacale indicata dal medesimo. 2-quater. Il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto segnalante e’ nullo. Sono altresi’ nulli il mutamento di mansioni ai sensi dell’articolo 2103 del codice civile, nonche’ qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del segnalante. E’ onere del datore di lavoro, in caso di controversie legate all’irrogazione di sanzioni disciplinari, o a demansionamenti, licenziamenti, trasferimenti, o sottoposizione del segnalante ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, successivi alla presentazione della segnalazione, dimostrare che tali misure sono fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa.)) 3. I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, puo’ formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneita’ dei modelli a prevenire i reati. (6) 4. Negli enti di piccole dimensioni i compiti indicati nella lettera b), del comma 1, possono essere svolti direttamente dall’organo dirigente. 4-bis. Nelle societa’ di capitali il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il comitato per il controllo della gestione possono svolgere le funzioni dell’organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b). 5. E’ comunque disposta la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente”.
[7] La norma costituzionale in richiamo così recita “L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”.
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