Partendo dal presupposto che tale confronto, secondo alcuni, dovrebbe essere sempre armato, per altri invece potrebbe essere anche disarmato, deve osservarsi che, a prescindere dall’adesione all’una o all’altra tesi, non necessariamente le armi in questione devono essere “da fuoco”.
È altresì possibile che la sola arma da fuoco presente nel confronto sia quella dell’agente di polizia e, dunque, che l’eventuale impiego di quest’ultima possa condurre ad un confronto mortale o, ancora, che sia il fermato ad essere in possesso di armi proprie e/o improprie il cui uso è idoneo a neutralizzare l’agente di polizia comunque armato.
I gradi di progressione dell’indice di azione costituiscono una diretta conseguenza della condotta di chi oppone resistenza all’operato dell’agente di polizia.
Ancora più nello specifico, è possibile che il malvivente decida di agire in uno dei seguenti modi:
- l’intimidazione posturale;
- la resistenza verbale passiva o attiva;
- l’aggressione disarmata;
- l’aggressione armata[2].
In presenza di tali situazioni, l’agente di polizia ha il dovere di controbattere l’agere del soggetto criminale con una reazione che possa definirsi adeguata ed efficace. Per verificare che detta reazione sia consona, occorre che l’agente agisca perseguendo l’obiettivo di tutelare la sicurezza propria, del soggetto che resiste all’autorità e dei terzi.
Può verificarsi l’ipotesi nella quale l’agente riesca a far venire meno le intenzioni aggressive del malfattore, così come che l’operatore di polizia sia gioco forza obbligato a reagire ponendo in essere una condotta scriminata dalle esimenti di cui agli artt. 52[3] e 53 c.p., rubricati rispettivamente “difesa legittima” ed “uso legittimo delle armi”.
Ad ogni modo, qualora l’offensore metta in pratica uno dei comportamenti sopra indicati, l’agente di polizia solo in caso di resistenza attiva[4], è autorizzato ad impiegare la forza minima, mentre in caso di aggressione armata potrà ricorrere – a seconda delle situazioni concretamente venutasi a creare – alla forza minima o massima.
Relativamente a quest’ultimo profilo, l’agente può ricorrere alla pistola se tale arma da fuoco stia per cadere nelle mani dell’offensore o, ancora, se il soggetto aggressore – ad esempio, tramite la sola forza delle mani – stia per ucciderlo, ad esempio per asfissia.
Invece, in caso di aggressione armata, l’agente sarà autorizzato a ricorrere alla forza massima al fine di salvaguardare se stesso o i soggetti terzi ai sensi dell’art. 52 c.p.[5] oppure, sulla scorta di quanto sancito dalla norma successiva, “quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona”.
Indice di azione, i livelli
I livelli che esprimono il cosiddetto “indice di azione”, sono:
- il dialogo;
- l’allontanamento del sospetto;
- il controllo meccanico;
- l’impiego di nuovi strumenti difensivi;
- la forza letale.
Procedendo con ordine, il dialogo è considerato come una delle più adeguate strategie con cui porre fine ad un conflitto, sebbene, qualora esso fallisca, l’agente di polizia sarà obbligato a ricorrere al secondo livello dell’indice di azione.
Come sopra accennato, quest’ultimo è rappresentato dall’allontanamento del sospetto, attraverso la forza di persuasione, da un luogo che potrebbe recare un danno tanto all’agente quanto ai terzi.
Il controllo meccanico, invece, prevede l’impiego delle mani al fine di allontanare il sospettato dal luogo o dalla posizione di pericolo.
Qualora, tuttavia, il sospettato goda di maggiore prestanza fisica o abbia a disposizioni armi improprie, l’operatore potrà adoperare nuovi strumenti difensivi come lo “spray al capsicum”[6] e il “tactical baton” – quest’ultimo meglio noto ai più con il nome di manganello – che permettono di applicare una forza minima, assicurando la sicurezza tanto dell’agente quanto dell’offensore.
Applicabilità delle scriminanti
Dunque, l’ultimo grado dell’indice di azione è rappresentato dalla forza letale, consistente nel definitivo fermo dell’aggressore attraverso l’uso delle armi da fuoco. Va da sé che l’agente delle forze dell’ordine che ricorra all’uso delle armi, in presenza dei presupposti normativamente sanciti, godrà dell’esimente di cui all’ 53 c.p.[7]
Deve osservarsi che l’uso legittimo delle armi è qualificabile come una scriminante propria, giacché ne possono beneficiare, per manifesta indicazione legislativa, unicamente i pubblici ufficiali[8]. In tal senso si pone anche la dottrina che è unanime nel ritenere applicabile la citata disposizione del codice penale esclusivamente ai pubblici ufficiali, i quali costituiscono la sola categoria per la quale la legge prevede la possibilità, per la realizzazione dei doveri funzionali, dell’uso della forza[9].
In altri termini, la causa di giustificazione in commento, secondo tale corrente di pensiero[10], sarebbe applicabile ai soli pubblici ufficiali che fanno parte della cosiddetta forza pubblica, quali ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria o militari in servizio di pubblica sicurezza. Costoro[11], poiché sono dotati di armi o di altri strumenti di coercizione fisica, devono essere considerati titolari del potere di usarle allorché la situazione lo richieda[12].
D’altra parte, non va dimenticato che il numero dei soggetti legittimati ad invocare la causa di giustificazione in commento è esteso – sulla scorta del secondo comma dell’art. 53 c.p. – pure a qualsiasi soggetto che gli fornisca assistenza su richiesta del pubblico ufficiale. Ancora, l’art. 53 c.p. – quantunque rinomate voci dell’esegesi dissentano[13] – estende la scriminante in favore sia di coloro che sono obbligati a prestare su istanza la loro collaborazione sia di coloro che – sebbene non obbligati ex lege – siano chiamati a prestare aiuto da parte del pubblico ufficiale.
Al contrario, è escluso che la collaborazione spontanea[14] di chi non abbia i requisiti soggettivi di cui al primo comma dell’art. 53 c.p. possa rientrare nell’ambito di applicazione della scriminante sancito dal secondo comma, giacché in tale situazione sarebbe eventualmente applicabile il dettato dell’art. 52 c.p., laddove sussistano i presupposti di applicazione del cosiddetto soccorso difensivo.
Come sopra accennato, il ricorso alle armi o ad altro mezzo di coazione è giustificato, alla luce di quanto statuito dall’art. 53 c.p., dalla presenza di alcune condizioni inerenti la situazione necessitante e di altre aventi ad oggetto le peculiarità della reazione necessitata.
In particolare, mentre relativamente al primo profilo, l’ordinamento giuridico richiede che la condotta del pubblico ufficiale sia posta in essere al fine di opporsi ad una violenza o di vincere una resistenza all’autorità o, ancora, per impedire la consumazione di una serie di reati particolarmente gravi, come “i delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona”[15], circa il secondo aspetto, in riferimento alle caratteristiche della reazione alla violenza o resistenza all’autorità, la condotta del pubblico ufficiale deve essere volta ad assolvere ad un dovere del proprio ufficio.
Per concludersi, deve rilevarsi che il criterio della necessità accosta la causa di giustificazione in commento a quelle sancite dagli artt. 52 e 54 c.p. e permette di evidenziare come il pubblico ufficiale non debba avere altra scelta, per adempiere il proprio dovere, che utilizzare il mezzo coercitivo[16].
Bibliografia
AA.VV., Sub art. 52, in www.pluris-cedam.utetgiuridica.it, p. 1 ss.
AA.VV., Sub art. 53, in www.pluris-cedam.utetgiuridica.it, p. 1 ss.
- Alibrandi, L’uso legittimo delle armi, Milano, 1979, p. 57 ss.
- Ardizzone, Uso legittimo delle armi, in ED, XLV, Milano, 1992, p. 979 ss.
- Delogu, L’uso legittimo delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, in AP, 1972, I, p. 166 ss.
- Grasso – M. Romano, Commentario sistematico del codice penale, Milano, 2012, p. 273 ss.
- Mantovani, Diritto penale, Padova, 2013, p. 266 ss.
- Marini, Uso legittimo delle armi (Diritto penale), in NN.D.I., XX, Torino, 1975, p. 258 ss.
- Mezzetti, Uso legittimo delle armi, in Digesto pen., XV, Torino, 1999, p. 124 ss.
- Musacchio, L’uso legittimo delle armi, Milano, 2006, p. 10 ss.
Polizia di Stato, Oleoresin capsicum (spray al peperoncino) valido strumento di dissuasione e autodifesa nei servizi di controllo del territorio, in www.questure.poliziadistato.it, p. 1 ss.
- Pulitanò, Uso legittimo delle armi, in EG, XXII, Roma, 1994, p. 2 ss.
- Zanti, Informazioni tattiche e impostazioni operative per agenti di polizia locale, in www.justforce.com, p. 2 ss.
[1] In argomento, AA.VV., Sub art. 52, in www.pluris-cedam.utetgiuridica.it, p. 1 ss.; AA.VV., Sub art. 53, in www.pluris-cedam.utetgiuridica.it, p. 1 ss.; L. Alibrandi, L’uso legittimo delle armi, Milano, 1979, p. 57 ss.; S. Ardizzone, Uso legittimo delle armi, in ED, XLV, Milano, 1992, p. 979 ss.; T. Delogu, L’uso legittimo delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, in AP, 1972, I, p. 166 ss.; G. Grasso – M. Romano, Commentario sistematico del codice penale, Milano, 2012, p. 273 ss.; F. Mantovani, Diritto penale, Padova, 2013, p. 266 ss.; G. Marini, Uso legittimo delle armi (Diritto penale), in NN.D.I., XX, Torino, 1975, p. 258 ss.; E. Mezzetti, Uso legittimo delle armi, in Digesto pen., XV, Torino, 1999, p. 124 ss.; V. Musacchio, L’uso legittimo delle armi, Milano, 2006, p. 10 ss.; Polizia di Stato, Oleoresin capsicum (spray al peperoncino) valido strumento di dissuasione e autodifesa nei servizi di controllo del territorio, in www.questure.poliziadistato.it, p. 1 ss.; D. Pulitanò, Uso legittimo delle armi, in EG, XXII, Roma, 1994, p. 2 ss.; T. Zanti, Informazioni tattiche e impostazioni operative per agenti di polizia locale, in www.justforce.com, p. 2 ss.
[2] T. Zanti, Informazioni tattiche e impostazioni operative per agenti di polizia locale, cit., p. 2 ss.
[3] AA.VV., Sub art. 52, cit., p. 1, osservano che: “La legittima difesa, riconosciuta sia pure in forma ed entro limiti diversi presso tutti gli ordinamenti, si colloca pacificamente, nella impostazione seguita dal vigente codice, fra le cause di giustificazione che escludono, già su un piano obiettivo, la configurabilità di un fatto di reato. Per quanto riguarda il diverso problema del fondamento della scriminante è generalmente condiviso che questo vada innanzitutto riconosciuto nella insopprimibile esigenza di autotutela che si manifesta nel momento in cui, in situazioni nelle quali lo Stato non è in grado di assicurare una pronta ed efficace protezione dei beni giuridici individuali, viene riconosciuta, entro limiti ben precisi fissati dalla legge, una deroga al monopolio statuale dell’uso della forza. La situazione fondante ora rappresentata permetterebbe, poi, di procedere a quel bilanciamento di interessi contrapposti (nella specie: interesse minacciato dell’aggredito, da un lato, e interesse leso dell’aggressore, dall’altro) che costituisce il normale meccanismo attraverso il quale le scriminanti producono il loro effetto. Non può negarsi, peraltro, che la facoltà di autotutela, riconosciuta a certe condizioni dall’ordinamento al privato, contribuisca a contrastare l’aggressione ingiusta del terzo finendo con il realizzare un effetto di stabilizzazione dell’ordinamento giuridico. Questa circostanza ha portato qualche autore a valorizzare, in una prospettiva spiccatamente generalpreventiva, l’azione difensiva come strumento sanzionatorio contro l’illecito realizzato dall’aggressore, vero e proprio esercizio di una funzione pubblica delegata dallo Stato. Sarebbe tuttavia pericoloso enfatizzare l’efficacia stabilizzatrice dell’ordinamento, che potrebbe accompagnare la realizzazione della autotutela privata, fino al punto da riconoscere in tale efficacia un vero e proprio autonomo “scopo-fondamento” dell’istituto della legittima difesa. Una simile prospettiva rischia, per un verso, di tradire la stessa storia della scriminante in questione che sembra caratterizzata dall’essere strumento di autodifesa di diritti individuali e non strumento di reazione contro qualsiasi forma di illecito; per un altro verso, potrebbe condurre ad allargare pericolosamente il campo di applicazione della scriminante, legittimando ipotesi di “cittadino giustiziere” che, anche se normativamente disciplinate, finirebbero con il contrassegnare una vera e propria crisi dello Stato di diritto e della funzione generalpreventiva assegnata e riservata al diritto penale statale”.
[4] A titolo esemplificativo, si pensi al soggetto che resiste attivamente all’arresto.
[5] AA.VV., Sub art. 52, cit., p. 2, affermano che: “Il diritto proprio o altrui rappresenta, come è stato efficacemente sottolineato, l’elemento di raccordo tra i due poli attorno ai quali ruota il fatto tipico commesso dal soggetto che si difende: la situazione aggressiva e la reazione difensiva. Ed invero il «diritto proprio o altrui» rappresenta, al contempo, l’oggetto contro cui si dirige l’offesa ingiusta ed in favore del quale si esercita la difesa. A questo proposito è concordemente riconosciuto in dottrina che l’espressione utilizzata dall’art. 52 sia idonea a ricomprendere non soltanto diritti soggettivi in senso stretto ma, più in generale, qualunque situazione giuridica attiva avente ad oggetto beni non soltanto di natura personale (vita, integrità fisica, libertà, onore ecc.), ma anche patrimoniale (proprietà o altri diritti reali, possesso, diritti di godimento). Fra i diritti a carattere patrimoniale, peraltro, sembrano potersi comprendere anche i diritti di credito aventi ad oggetto prestazioni di dare quando vi sia il concreto pericolo che il soddisfacimento del diritto di credito venga definitivamente frustrato dalla condotta del debitore (cliente di un ristorante che si allontani senza pagare il conto; responsabile di un incidente automobilistico che si allontani ostacolando la sua identificazione dopo avere cagionato un grave danno). In ipotesi di questo tipo, nonostante qualche perplessità avanzata in dottrina è da riconoscere (ovviamente a condizione che la condotta difensiva appaia necessaria e proporzionata) la applicabilità della scriminante, in quanto viene pur sempre in gioco una condotta finalizzata a difendersi (attraverso il conseguimento della prestazione dovuta) contro il rischio di un definitivo pregiudizio del proprio patrimonio (sarebbe scriminata, ad esempio, la condotta del ristoratore che trattenga a forza il cliente insolvente per il tempo necessario a procedere alla sua identificazione). Il riferimento legislativo a un diritto “proprio o altrui” sembra postulare la riferibilità dell’interesse da difendere a un soggetto determinato. Resterebbero, di conseguenza, fuori dalla portata applicativa della scriminante azioni finalizzate alla difesa di beni a carattere collettivo o superindividuale riferibili in via esclusiva allo Stato – ordinamento (ordine pubblico, economia pubblica, ambiente, buon costume ecc.). In questo senso è concordemente orientata la dottrina”.
[6] Polizia di Stato, Oleoresin capsicum (spray al peperoncino) valido strumento di dissuasione e autodifesa nei servizi di controllo del territorio, cit., p. 1, ove si legge che: “Lo spray al peperoncino nebulizza un principio attivo naturale a base di Oleoresin Capsicum e rappresenta uno strumento di dissuasione e autodifesa che non ha attitudine a recare offesa alla persona. Il nuovo dispositivo è una valida alternativa alla coazione fisica che può coadiuvare l’autodifesa dell’operatore di polizia nei servizi di prevenzione, rispetta le specifiche caratteristiche di cui al Decreto Ministeriale 103/2011 che lo definisce uno strumento di autodifesa, non assimilabile ad un’arma, in grado di nebulizzare una miscela irritante oculare con effetti reversibili. Lo strumento di autodifesa è stato sottoposto alla valutazione dell’Istituto Superiore di Sanità che lo ha valutato assimilabile a quello di libera vendita sul territorio nazionale, non ravvisando gravi rischi per la salute delle persone. Lo Spray al peperoncino potrà essere utilizzato dal personale delle volanti in quelle ipotesi in cui sia fallito ogni tentativo di comunicazione ordinaria, di mediazione o di dissuasione verbale ed il soggetto ha iniziato la sua azione violenta. Il nuovo dispositivo, nel pieno rispetto del principio di proporzionalità tra offesa e difesa dell’art. 52 c.p., considerate le sue caratteristiche tecniche, potrà essere utilizzato per fronteggiare un’azione violenta, una minaccia od una resistenza rivolta all’operatore di polizia o verso terzi coinvolti nel teatro operativo, evitando così che il comportamento aggressivo in atto venga portato ad ulteriori conseguenze”.
[7] AA.VV., Sub art. 53, cit., p. 1, rilevano che: “L’entrata in vigore della Costituzione ed il mutato clima ideologico che caratterizza l’attuale ordinamento repubblicano ha spinto la dottrina, e talvolta la giurisprudenza, ha ridimensionare gli spazi applicativi dell’uso legittimo delle armi, riducendone in via interpretativa la originaria vocazione autoritaria (senza, peraltro, riuscire ad evitare che questa si sia nuovamente manifestata in occasione delle modifiche all’art. 53 introdotte con l’art. 14, L. 22.5.1975, n. 152, c.d. legge Reale) specificando meglio – in un’ottica finalizzata a privilegiare le esigenze di garanzia dei diritti dell’individuo rispetto a quelle di affermazione del potere coercitivo statuale – le condizioni in cui la libertà o la integrità personale dei cittadini possa essere pregiudicata attraverso l’uso della coercizione fisica. In questa prospettiva viene innanzitutto riformulato il fondamento della scriminante: non più la tutela del “prestigio” della autorità quanto piuttosto l’esigenza di assicurare il corretto adempimento (nonostante gli ostacoli ad esso frapposti) dei doveri funzionali e dei compiti di tutela della sicurezza collettiva che debbono essere garantiti dalla forza pubblica. Inoltre acquista un valore sintomatico anche il riconoscimento (come “requisito implicito” della causa di giustificazione prevista dall’art. 53) della proporzione, con l’effetto, per un verso, di escludere la automatica applicazione dell’uso della coercizione in presenza di qualsiasi resistenza all’autorità; per un altro verso, di imporre una necessaria graduazione dei mezzi coercitivi utilizzati e di sottolineare che l’utilizzazione delle armi va riconosciuta legittima solo come extrema ratio ed in presenza di condotte di attacco all’autorità particolarmente gravi e pericolose. Sennonché, così facendo, finisce con l’essere ridimensionata anche l’autonomia dell’art. 53 rispetto alle scriminanti della legittima difesa e dell’adempimento di un dovere con la conseguenza che il destino della causa di giustificazione in esame sembra stretto in una angusta alternativa: scriminante inutile, doppione dell’adempimento di un dovere o della legittima difesa, oppure causa di non punibilità autonoma ma, in quanto tale, pericolosa ed illiberale”.
[8] Di conseguenza, è pacifica l’esclusione dell’applicazione agli incaricati di un pubblico servizio ed agli esercenti un servizio di pubblica necessità.
[9] In materia, L. Alibrandi, L’uso legittimo delle armi, cit., p. 57 ss.; S. Ardizzone, Uso legittimo delle armi, cit., p. 979 ss.; E. Mezzetti, Uso legittimo delle armi, cit., p. 124 ss.; D. Pulitanò, Uso legittimo delle armi, cit., p. 2 ss.
[10] T. Delogu, L’uso legittimo delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, cit., p. 166 ss.; G. Marini, Uso legittimo delle armi (Diritto penale), cit., p. 258 ss.; V. Musacchio, L’uso legittimo delle armi, cit., p. 10 ss.
[11] Secondo Cass. pen., Sez. VI, 5 dicembre 1986, in Riv. Pen., 1988, p. 87 ss.: “L’art. 329 c.p., annovera distintamente tra i destinatari del precetto penale i militari (delle forze armate) e gli agenti della forza pubblica; in quest’ultima categoria sono da ricomprendere tutti quegli organismi pubblici non militarizzati i cui dipendenti sono investiti di potestà di coercizione diretta su persone e cose ai fini della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, e, quindi, vi rientrano, per la tipicità delle loro funzioni rivolte alla tutela diretta di quei beni, gli appartenenti al ruolo della polizia di stato ai quali non spetta più la qualifica di militari”.
[12] Per Cass. pen., Sez. IV, 4 aprile 1991, in Foro It., 1992, II, p. 220 ss.: “L’uso legittimo delle armi può avere esplicazioni di varia gravità fino all’uccisione degli aggressori, deve, però, cessare quando essi si facciano scudo dell’ostaggio, in quanto la vita dell’ostaggio è un bene preminente da tutelare (nella specie, è stata ritenuta la responsabilità di un metronotte per aver cagionato la morte dell’ostaggio per eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi utilizzate allo scopo di impedire i delitti di rapina a mano armata e di sequestro di persona, osservandosi che, in quel momento, il metronotte non correva un imminente grave pericolo non altrimenti evitabile e che, pur non essendovi dubbio che sussistesse la necessità di impedire la rapina, il diritto dell’ostaggio alla vita non poteva in alcun modo essere pretermesso)”.
[13] G. Grasso – M. Romano, Commentario sistematico del codice penale, cit., p. 273 ss.
[14] AA.VV., Sub art. 53, cit., p. 3, rilevano che: “La richiesta di collaborazione deve precedere l’intervento del privato (non può consistere in una ratifica successiva) e deve essere manifestata in modo esplicito anche se senza bisogno di particolari requisiti formali, purché effettuata in presenza dei presupposti sostanziali che autorizzano l’uso della coercizione o delle armi (in questo senso va interpretato l’inciso “legalmente” contenuto nell’art. 53, 2° co.)”.
[15] In tali termini, l’art. 14 della Legge 22 maggio 1975, n. 152.
[16] Sul punto, F. Mantovani, Diritto penale, cit., p. 266 ss.
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