Cass., sez. pen. VI, 4 febbraio 2020, n. 12204 specifica che “[in tema di operazioni sotto copertura] è inutilizzabile la prova acquisita dall’agente infiltrato che abbia determinato l’indagato alla commissione di un reato e non quella acquisita con l’azione di mero disvelamento di una risoluzione delittuosa già esistente, rispetto alla quale l’attività dell’infiltrato si presenti solo come occasione di estrinsecazione del reato”. Sotto il profilo fattuale, in Cass., sez. pen. VI, 4 febbraio 2020, n. 12204, gli UU.PP.GG. sotto copertura si erano finti aspiranti clienti del narcotrafficante ed avevano fissato luogo, tempo e modalità per la compravendita della droga, la quale era già detenuta dall’infrattore per finalità di spaccio. Come si nota, Cass., sez. pen. VI, 4 febbraio 2020, n. 12204 rivela la complessa zona grigia in cui si colloca l’agente provocatore, che può spingersi solamente ad istigare il reo verso un tentativo ex Art. 56 CP; viceversa, la consumazione del delitto rende non probatoriamente rilevante l’intera operazione sotto copertura. All’infiltrato spetta il difficile compito di non provocare reati ulteriori, il che, a parere di chi redige, è pressoché impossibile nella pratica quotidiana. Per approfondire ulteriormente il tema della legislazione in materia di stupefacenti, consigliamo il volume Stupefacenti – Manuale pratico operativo
Indice
1. Le operazioni sotto copertura
E’ evidente che la Giurisprudenza, per non vanificare la maggior parte delle iniziative degli agenti sotto copertura, dovrà manifestarsi estremamente elastica nel valutare quanto consentito dall’Art. 97 TU 309/90 (“Per lo svolgimento delle attività sotto copertura concernenti i delitti previsti dal presente testo unico, si applicano le disposizioni di cui all’Art. 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146, e successive modificazioni”). Ogni modo, senza dubbio, la Suprema Corte impiega la massima prudenza di fronte all’Art. 97 TU 309/90 ed alle ambiguità che ne conseguono. P.e., la summenzionata Cass., sez. pen. VI, 4 febbraio 2020, n. 12204 esplicita un conclamato sfavore nei confronti di una eventuale istigazione “alla commissione di un [nuovo] reato” non già in corso di consumazione autonoma da parte dello spacciatore. In effetti, anche Cass., sez. pen. II, 16 maggio 2019, n. 30374 richiede che l’operazione sotto copertura si fermi innanzi al mero tentativo ex Art. 56 CP, ovverosia, come asserito da detto Precedente del 2019, “il delitto [p. e p. ex Art. 73 TU 309/90] di acquisto e cessione di sostanze stupefacenti si consuma nel momento in cui è raggiunto il consenso tra venditore e [finto] acquirente, indipendentemente dall’effettiva consegna della merce e dal pagamento del prezzo”.
Dunque, anche in tal caso, l’Art. 97 TU 309/90 è interpretato all’interno degli stessi limiti dell’Art. 56 CP, in tanto in quanto l’agente provocatore non può e non deve cagionare ulteriori infrazioni, bensì egli si deve limitare a palesare attività criminose già in corso di consumazione da parte del narcotrafficante. Viceversa, un abuso ultra vires dell’Art. 97 TU 309/90 provoca la non validità probatoria dell’operazione sotto copertura. L’Art. 56 CP è e rimane il cardine operativo e limitante dell’Art. 97 TU 309/90.
La ratio del “mero disvelamento” è fatta propria anche da Cass., sez. pen. I, 14 gennaio 2008, n. 10695, ai sensi della quale “la scriminante dell’adempimento del dovere trova applicazione se la condotta dell’agente provocatore non si inserisca con rilevanza causale dell’iter criminis, ma intervenga in modo indiretto e marginale, concretizzandosi prevalentemente in un’attività di osservazione, di controllo e di contenimento delle azioni illecite altrui”. Detto in altri termini, Cass., sez. pen. I, 14 gennaio 2008, n. 10695 ribadisce ancora una volta, come molte altre Sentenze di legittimità, che l’Art. 97 TU 309/90 è intimamente legato all’altrettanto fondamentale Art. 51 CP (Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere): “l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità. Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’Autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine. Risponde del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo. Non è punibile chi esegue l’orine illegittimo quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine”.
Pertanto, tale connessione ermeneutica tra l’Art. 97 TU 309/90 e l’Art. 51 CP riconduce le operazioni sotto copertura ai limiti ed alle rigide regole della gerarchia militare. Per conseguenza, eventuali ordini illegittimi all’UPG infiltrato inficiano la validità e l’utilizzabilità procedimentale della prova raccolta con l’istigazione, ma la responsabilità dell’agente provocatore va calibrata secondo i limiti dell’Art. 51 CP. Non esiste alcuna precettività dell’Art. 97 TU 309/90 se non nel contesto di una legittima organizzazione militare della PG, nella quale gli ordini dei superiori, per la maggior parte delle fattispecie, sono insindacabili ex comma 4 Art. 51 CP.
Nel contesto dell’Art. 97 TU 309/90, la centralità del solo “tentativo” ex Art. 56 CP è stata ribadita pure da Cass., sez. pen. II, 28 maggio 2008, n. 38488. Più nel dettaglio, il testé citato Precedente del 2008, tra l’altro nell’ambito precettivo dell’Art. 416 bis CP, evidenzia pur esso che “[in tema di criminalità organizzata] con riferimento alle speciali tecniche di investigazione preventiva (che possono anche prescindere dall’esistenza di indagini preliminari relative ad uno specifico fatto) e che sono previste dalla L. 146/2006 (di ratifica della Convenzione ONU contro il crimine organizzato), va affermato che non sono lecite le operazioni sotto copertura che si concretizzino in un incitamento o in un’induzione al crimine del soggetto indagato: l’agente infiltrato non può, pertanto, commettere azioni illecite diverse da quelle dichiarate non punibili (Art. 9 legge citata), o ad esse strettamente o strumentalmente connesse”.
Anzi, Cass., sez. pen. II, 28 maggio 2008, n. 38488 esprime una notevole diffidenza nei confronti dell’assai ambigua L. 146/2006, ovverosia essa mette anche in risalto che “la figura […] legislativamente delineata, dell’agente infiltrato non va confusa con quella dell’agente provocatore, che non ha mai trovato definizione esplicita nella legge”. Come si nota, Cass., sez. pen. II, 28 maggio 2008, n. 38488 palesa un’opinione non pienamente positiva e convinta nei confronti della L. 146/2006, e, quindi, dell’Art. 97 TU 309/90. Ciò che si teme, nella Giurisprudenza di legittimità, è che l’agente infiltrato violi i limiti del delitto tentato ex Art. 56 CP per addivenire a “commettere azioni illecite diverse da quelle dichiarate non punibili” ex Art. 9 L. 146/2006. Purtroppo, nel bene o nel male, è assai difficile, per l’UPG infiltrato, rimanere nei limiti del puro “disvelamento” di delitti già in corso. La “provocazione” tende a trasformarsi sovente in “istigazione”.
La ratio del puro “disvelamento” passivo e la centralità dell’Art. 56 CP è ribadita pure in Cass., sez. pen. III, 3 giugno 2008, n. 26763, ovverosia “[in tema di attività sotto copertura della PG] […] non contrasta con l’Art. 6 CEDU l’attività dell’agente provocatore che, lungi dall’essere determinante per la commissione del reato, nel senso che, senza di essa, il reato non sarebbe stato commesso, si limiti a disvelare un’intenzione criminale [già] esistente, ma allo stato latente, fornendo l’occasione per concretizzare la stessa”. Pertanto, anche Cass., sez. pen. III, 3 giugno 2008, n. 26763 impone all’UPG infiltrato il dovere della “passività”. Dunque, nel contesto dell’Art. 97 TU 309/90, la commissione del delitto p. e p. ex Art. 73 TU 309/90 dev’essere già iniziata, perlomeno sotto il profilo del tentativo. All’infiltrato spetta solamente il compito di raccogliere prove valide ed utilizzabili a carico del reo, la cui attività delittuosa non è né determinata né grandemente incentivata dall’UPG provocatore.
Viceversa, l’attività dell’agente sotto copertura è interpretata in senso maggiormente estensivo da Cass., sez. pen. IV, 29 maggio 2001, n. 33561, in tanto in quanto essa asserisce che “[in tema di reati concernenti le sostanze stupefacenti], la disposizione di cui all’Art. 97 TU 309/90, secondo la quale non sono punibili gli UU.PP.GG. che, nello svolgimento di specifiche operazioni investigative antidroga, acquistino sostanze stupefacenti, va interpretata nel senso che è esclusa la punibilità della condotta dell’agente non soltanto con riferimento all’acquisto della droga, ma anche in relazione a tutte quelle altre attività connesse, tese comunque all’accertamento dei destinatari e dei successivi ricettori dello stupefacente”. A livello fattuale, come descritto in Cass., sez. pen. IV, 29 maggio 2001, n. 33561, l’UPG, dopo aver individuato una quantità di stupefacente che doveva essere ceduta, agiva al fine di far emergere l’identità dei soggetti individuati come già interessati all’operazione di commercio di quelle partite di droga”. Come si può notare, Cass., sez. pen. IV, 29 maggio 2001, n. 33561 allarga la ratio della “non punibilità” nel contesto precettivo dell’Art. 97 TU 309/90. D’altra parte, nella prassi, un’operazione sotto copertura reca una discreta funzionalità solo se l’UPG ha un buon margine di autonomia. D’altronde, anche l’Art. 51 CP scrimina qualunque azione legittima frutto di un valido ordine dei superiori militari. Cass., sez. pen. IV, 29 maggio 2001, n. 33561 non fa altro che tutelare l’UPG sotto copertura da eventuali eccessi sanzionatori che, tra l’altro, finiscono per compromettere pure l’utilizzabilità probatoria dell’intera attività del provocatore ex Art. 97 TU 309/90.
All’opposto, restrittiva e decisamente garantistica per l’infrattore è Cass., sez. pen. II, 28 maggio 2008, n. 38488, a norma della quale “[in tema di criminalità organizzata] con riferimento alle speciali tecniche di investigazione preventiva previste dalla L. 146/2006 (di ratifica della Convenzione ONU contro il crimine organizzato) ed alla figura dell’agente infiltrato o sotto copertura, qualora questi commetta azioni illecite diverse da quelle dichiarate non punibili (Art. 9 legge citata), ed esorbiti dai limiti legislativi posti alla sua azione, così determinando, con il suo comportamento, fatti penalmente rilevanti, egli assume la figura di coimputato in procedimento connesso o collegato e, di conseguenza, alla sue dichiarazioni si applica la disciplina di cui agli Artt. 192 e 210 Cpp”. In definitiva, perciò, il Precedente contenuto in Cass., sez. pen. II, 28 maggio 2008, n. 38488 ricorda che l’Art. 97 TU 309/90 disciplina un ambito assai ambiguo, ove è molto facile che l’UPG sotto copertura commetta errori che, in sostanza, annullano la bontà probatoria delle dichiarazioni dell’infiltrato, il quale è tenuto ad osservare una condotta passiva che, nella pratica, non è sempre realizzabile.
Senza dubbio, l’Art. 97 TU 309/90 nonché l’Art. 9 L. 146/2006 non brillano per chiarezza e trasparenza, giacché l’UPG tenderà, necessariamente ed inevitabilmente, a superare i limiti troppo restrittivi del “disvelamento passivo” invocato da Cass., sez. pen. VI, 4 febbraio 2020, n. 12204. E’ quasi impossibile, da parte dell’infiltrato, rispettare rigidamente il confine della “occasione di estrinsecazione del reato”, poiché soltanto le condotte “attive” consentono di mantenere la riservatezza e la concretezza della copertura.
Da menzionare è pure Cass., sez. pen. III, 2 febbraio 2017, n. 11572, la quale mette in evidenza che “è legittima la testimonianza degli investigatori operanti sotto copertura su quanto hanno appreso dall’imputato nel corso dell’investigazione, posto che, nell’ambito dell’operazione svolta, sono stati soggetti partecipanti all’azione e non hanno agito come UU.PP.GG., con i poteri autoritativi e certificatori connessi alla qualifica”. A parere di chi redige, Cass., sez. pen. III, 2 febbraio 2017, n. 11572 conferma l’ambiguità applicativa dell’Art. 97 TU 309/90, in tanto in quanto non si comprende perché negare agli UU.PP.GG. sotto copertura la qualifica di operatori di polizia giudiziaria. Dunque, nuovamente, l’Art. 97 TU 309/90 si rivela alla stregua di una norma che genera una “zona grigia” ai limiti della legalità, giacché l’agente infiltrato massimizza l’utilità investigativa, ma non sempre egli è messo nelle condizioni empiriche di rispettare le garanzie procedurali durante la fase delle indagini preliminari. Per approfondire ulteriormente il tema della legislazione in materia di stupefacenti, consigliamo il volume Stupefacenti – Manuale pratico operativo
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Il presente manuale vuole offrire una panoramica della disciplina giuridica degli stupefacenti che, partendo dalla ricostruzione dell’iter normativo e giurisprudenziale segnato dalle molteplici riforme e decisioni della Corte costituzionale, affronta le problematiche più attuali all’attenzione delle aule giudiziarie.Il richiamo continuo alla giurisprudenza e alla dottrina consente di avere chiari punti di riferimento per un approccio critico e, nello stesso tempo, pratico alla disamina delle questioni trattate. L’analisi delle fattispecie incriminatrici – tra cui ampio spazio è dedicato, tra gli altri, al reato associativo, alla coltivazione e detenzione di sostanza stupefacente, al fatto lieve – ripercorre i principali arresti di legittimità e spunti di riflessione utili all’operatore del diritto.Un particolare focus è stato riservato alle misure cautelari reali, con specifico riferimento ai sequestri di canapa industriale, per via delle problematiche ancora irrisolte nella giurisprudenza, tra cui il tema dell’efficacia drogante e della commercializzazione delle infiorescenze e dei preparati a base di cannabidiolo (CBD).Claudio Miglio e Lorenzo Simonetti,Avvocati cassazionisti del Foro di Roma, titolari dell’omonimo Studio legale che da anni ha una particolare attenzione al fenomeno degli stupefacenti e al mercato della canapa industriale. Relatori in convegni e corsi di formazione.
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2. La L. 146/2006 e le operazioni sotto copertura. Dottrina e Giurisprudenza
Cass., sez. pen. IV, 29 maggio 2001, n. 33561 ha notato che “[nella L. 146/2006] si è realizzato un percorso di riforma di profondo impatto, che ha inciso tanto sotto il profilo oggettivo, ossia nell’individuazione delle attività coperte dalla scriminante [ex Art. 51 CP], quanto sotto quello soggettivo, attraverso l’ampliamento della categoria dei soggetti legittimati attivi, non più circoscritta ai soli UU.PP.GG., ma estesa anche agli agenti e ad altri soggetti diversi dagli operatori, i cc.dd. ausiliari e le persone interposte”. Inoltre, giustamente, Cass., sez. pen. VI, 14 dicembre 2002, n. 14355 ha rimarcato che “con l’occasione [della promulgazione dell’Art. 97 TU 309/90], il Legislatore ha operato un intenso rinforzamento del ruolo della Direzione centrale per i servizi antidroga”.
Anzi, Cass., sez. pen. IV, 29 maggio 2001, n. 33561 reca una ratio ampiamente e generosamente scriminante per l’UPG infiltrato, ovvero “[in tema di reati concernenti le sostanze stupefacenti] la disposizione di cui all’Art. 97 TU 309/90, secondo la quale non sono punibili gli UU.PP.GG. che, nello svolgimento di specifiche operazioni investigative antidroga, acquistino sostanze stupefacenti, va interpretata nel senso che è esclusa la punibilità della condotta dell’agente non soltanto con riferimento all’acquisto della droga, ma anche in relazione a tutte quelle altre attività connesse, tese comunque all’accertamento dei destinatari e dei successivi ricettori dello stupefacente”. Come si può notare, Cass., sez. pen. IV, 29 maggio 2001, n. 33561 massimizza le circostanze scriminanti contemplate nell’Art. 51 CP in tema di “adempimento di un dovere”.
In Dottrina, Opilio & Portelli[1] manifestano anch’essi un favor esegetico nei confronti dell’Art. 97 TU 309/90 e precisano che “la qualifica di ausiliario può essere rivestita da qualunque privato cittadino che fornisca un’attività di collaborazione alle forze di polizia nello svolgimento di un’operazione sotto copertura, a titolo esemplificativo fornendo un appartamento od un’automobile per le attività investigative. La persona interposta, invece, è identificabile in ogni soggetto, specie ove si tratti di un agente di PG, che partecipi attivamente all’operazione sotto copertura, fornendo ausilio tecnico all’agente provocatore e collaborando direttamente con questi”.
Sempre in Dottrina, sotto il profilo definitorio, Neppi Modona (1973)[2] precisa che “per agente provocatore s’intende [già negli Anni Settanta del Novecento, dunque prima dell’attuale Art. 97 TU 309/90, ndr] colui che spinge altri a commettere un reato attraverso un’induzione prettamente psichica o una partecipazione morale, tipica o atipica, alla commissione del fatto, al fine di consentire la denunzia del reo, di coglierlo in flagranza o, comunque, di far scoprire il provocato da parte dell’Autorità […]. Si tratta di una figura giuridica che è sorta, in Dottrina, attraverso lo studio di concorso di persone nel reato, ancorché non possa negarsi che taluno l’abbia in più occasioni ricondotta alla provocazione nell’ambito dell’Art. 51 CP, che scrimina la condotta degli operatori di PG che agiscano nell’adempimento di un dovere”.
Con afferenza al succitato Art. 51 CP, Cass., sez. pen. I, 14 gennaio 2008, n. 10695 (preceduta da Cass., sez. pen. IV, 22 settembre 2000, n. 11634 nonché da Cass., sez. pen. VI, 17 aprile 1994, n. 6425) mette in risalto che “l’attività di provocazione è lecita, ai sensi dell’Art. 51 CP, nei soli casi nei quali la condotta realizzata non presenti gli estremi per la punibilità a titolo di concorso nel reato. In altre parole, l’operatore di PG è considerato non punibile solo laddove il suo intervento risulti marginale nell’ideazione ed esecuzione del fatto. L’attività svolta dalla PG, pertanto, deve costituire la risultante di un’attività di [solo] controllo, di [sola] osservazione, di [solo] contenimento, residuando la punibilità a titolo di concorso di ogni condotta idonea ad inserirsi nella regolarità causale del fatto commesso dal provocato”.
Di più, Cass., sez. pen. IV, 22 settembre 1999, n. 12347 specifica che “la valenza dell’Art. 51 CP, lungi dall’essere quella di scriminare la condotta dell’agente provocatore, è piuttosto quella di assurgere, in via residuale, a speciale ipotesi di adempimento di un dovere […]. [La provocazione] è, pertanto, liceizzata, a titolo esemplificativo, in tutti i casi nei quali l’UPG si limiti ad eseguire le istruzioni impartitegli dallo spacciatore nelle varie peregrinazioni della sostanza, al fine precipuo di approvvigionarsi della droga”. Di nuovo, in Cass., sez. pen. IV, 22 settembre 1999, n. 12347, torna la ratio fondamentale del c.d. “disvelamento passivo”.
Sotto il profilo storico, Grillo (2012)[3] evidenzia che “l’Art. 97 TU 309/90, nella sua formulazione previgente, aveva operato una vera e propria codificazione di tale figura, attraverso l’introduzione di un primo modello legislativo embrionale di agente provocatore, che, tuttavia, non assurgeva ad espressione di un principio generale dell’Ordinamento, ma, più semplicemente, a fattispecie volta a spiegare la non punibilità di un soggetto appartenente alla PG, il quale, pur ponendo in essere una condotta apparentemente tipica, andasse esente da responsabilità penale in virtù della finalità dell’azione e del rispetto delle formalità previste dalla legge”. Dunque, anche in Grillo (ibidem)[4] torna la centralità della circostanza scriminante di cui all’Art. 51 CP.
L’autentica novità, nel campo precettivo dell’Art. 97 TU 309/90, consta nell’Art. 9 L. 146/2006, il quale consente l’”acquisto simulato” di stupefacenti da parte dell’infiltrato. Ora, nel comperare simulatamente droga, l’UPG non commette alcun reato grazie alla mancanza totale di consilium doli. Più nel dettaglio, Garofoli (2018)[5] specifica che “va esclusa la punibilità dell’agente per difetto di dolo, ove questi abbia agito al precipuo scopo di assicurare alla giustizia i responsabili, non accettando il rischio dell’eventuale consumazione del reato, ma, al contrario, confidando nell’intervento di polizia prima dell’esaurimento dell’iter criminoso […]. [Quindi] l’assenza del dolo contribuisce ad escludere la tipicità [delittuosa] del fatto”.
Analogo è il parere di De Maglie (1991)[6], in tanto in quanto ella evidenzia che “il fatto non costituisce reato” giacché “la condotta dell’agente di PG non è assoggettabile a pena, in quanto integrante una speciale causa di giustificazione. Del resto, la struttura della fattispecie appare parzialmente sovrapponibile a quella propria delle scriminanti, teorizzando l’esistenza di un fatto tipico e colpevole, ma non certamente antigiuridico, dal momento che la condotta è preordinata ictu oculi al contrasto del narcotraffico”. Manca, quindi, non soltanto l’anti-socialità, ma anche la pericolosità penale, il c he rende nulla la carica antigiuridica dell’acquisto simulato, che non reca il fine dell’abuso tossico-voluttuario doloso. Del pari, in Giurisprudenza, Cass., sez. pen. IV, 4 febbraio 2010, n. 9188 esclude anch’essa la punibilità dell’agente di PG, sia ex Art. 97 TU 309/90, sia ex Art. 51 CP.
Chi scrive apprezza assai la definizione che Grillo (ibidem)[7] dà dell’agente infiltrato, che, secondo tale Dottrinario, “è il soggetto che, lungi dal provocare semplicemente reati, partecipa direttamente alla loro preparazione ed eventuale esecuzione assumendo, sul piano formale ed astratto, il ruolo di concorrente o di autore materiale. Si tratta, più specificamente, del soggetto che si inserisce all’interno di un’organizzazione criminale al precipuo fine di comprenderne le dinamiche, conoscerne le finalità, individuare gli associati, il relativo organigramma e le modalità di azione, assumendo spesso il ruolo di provocato, piuttosto che di provocatore e trovandosi costretto, in taluni casi, a commettere delitti, sia per non rivelare la propria identità e funzione, sia per penetrare più a fondo nell’organizzazione stessa”.
Ciononostante, anche nella summenzionata definizione dottrinaria, prevale la scriminante ex Art. 51 CP, alla luce della pericolosità astratta delle azioni dell’UPG infiltrato. Manca, in altre parole, un dolo antisociale ed antigiuridico; pertanto, nel contesto dell’Art. 97 TU 309/90, “il fatto non costituisce reato”. Fatte tali precisazioni doverose, tuttavia, è pur vero che potrebbero attivarsi eventuali abusi; in effetti Cass., sez. pen. VI, 1° settembre 1995, n. 9299 sottolinea che “il travalicamento dei limiti concernenti le attività di osservazione e di contenimento della condotta del reo risulta foriero di una vera e propria istigazione al reato, che risulta assolutamente estranea all’ambito applicativo della scriminante [ex Art. 51 CP]”. Similmente, Cass., sez. pen. VI, 1° giugno 1994, n. 6425 afferma che i superiori dell’UPG provocatore debbono sempre e comunque “controllare un’attività delicatissima e soggetta ad alto rischio di inquinamento”, poiché l’infiltrato non deve mai assumere una “rilevanza causale” nell’ambito dei delitti pp. e pp. ex Art. 73 TU 309/90.
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Note
[1] Opilio & Portelli, La disciplina delle sostanze stupefacenti. L’illecito penale ed amministrativo, CEDAM, Padova, 2008
[2] Neppi Modona, Il reato impossibile, 1973 (edizione fuori corso)
[3] Grillo, Stupefacenti: illeciti, indagini, responsabilità, sanzioni, 2012
[4] Grillo, op. cit.
[5] Garofoli, Manuale di diritto penale, Parte generale, XV Edizione, Molfetta, 2018
[6] De Maglie, L’agente provocatore. Un’indagine dommatica e politico-criminale, Milano, 1991
[7] Grillo, op. cit.
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