Approfondimento sulle operazioni sotto copertura nel T.U. sugli stupefacenti.
Indice
1. L’agente sotto copertura e l’agente provocatore
Come specificato dall’Art. 97 TU 309/90, “per lo svolgimento delle attività sotto copertura concernenti i delitti previsti dal presente testo unico, si applicano le disposizioni di cui all’Art. 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146 e successive modificazioni”. A sua volta, la predetta L. 146/2006 scaturisce dalla Convenzione di Palermo del 15/11/2000 per il contrasto al crimine organizzato transnazionale.
Basilare è pure l’Art. 9 L. 146/2006, a norma del quale “fermo quanto disposto dall’Art. 51 CP, non sono punibili gli ufficiali di polizia giudiziaria della polizia di Stato, dell’arma dei carabinieri e del corpo della guardia di finanza, appartenenti alle strutture specializzate o alla direzione investigativa antimafia, nei limiti delle proprie competenze, i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti […] previsti dal testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope […] anche per interposta persona, danno rifugio o, comunque, prestano assistenza agli associati, acquistano o ricevono, sostituiscono od occultano denaro o altra utilità, armi, documenti, sostanze stupefacenti o psicotrope, beni, ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto, prezzo o mezzo per commettere il reato, o ne accettano l’offerta o la promessa, o altrimenti ostacolano l’individuazione della loro provenienza o ne consentono l’impiego, ovvero corrispondono denaro o altra utilità, in esecuzione di un accordo illecito già concluso da altri, promettono o danno denaro o altra utilità richiesti da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, o sollecitati come prezzo della mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, o per remunerarlo, o compiono attività prodromiche e strumentali”.
Nella Giurisprudenza di legittimità, inoltre, all’agente sotto copertura si applica l’Art. 51 CP, che, al comma 1, dispone: “l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità”.
Nel contesto della lotta alla criminalità organizzata ed al narcotraffico, è normale che la PG “inserisca” nel sodalizio illecito le figure dell’agente sotto copertura e dell’agente provocatore, le quali sono distinte sotto il profilo tecnico-sostanziale e processuale.
Per quanto afferisce all’agente sotto copertura, i Lavori Preparatori all’Art. 9 L. 146/2006 affermano che “gli agenti sotto copertura devono essere appartenenti alle strutture specializzate delle forze dell’ordine o alla direzione investigativa antimafia, devono agire nel corso di specifiche indagini di polizia, ufficiali e autorizzate con attività di osservazione e contenimento, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti di droga”. In buona sostanza, l’agente sotto copertura procede la notitia criminis, ricerca prove utilizzabili nel procedimento penale, identifica i rei, ma tutto ciò rimanendo penalmente non punibile ex Art. 9 L. 146/2006 ed ex Art. 51 CP. Egli, tuttavia, diventa responsabile qualora travalichi le proprie competenze giuridicamente e disciplinarmente predeterminate.
Tale legittima attività dell’agente sotto copertura è ribadita pure da Cass., sez. pen. VI, 2 aprile 2015, n. 19122, ovverosia “quando l’attività concretamente riferibile all’agente sotto copertura o all’interposta persona corrisponde ad una o più tra le operazioni espressamente contemplate dal mini-sistema normativo di riferimento costituito dall’Art. 9 L. 146/2006 [e dall’Art. 51 CP], deve escludersi sia la configurabilità di ipotesi di responsabilità penale a carico di tali soggetti, sia la sussistenza di situazioni di inutilizzabilità della prova acquisita nel corso della indicata attività”.
Anche Cass., sez. pen. VI, 20 ottobre 2011, n. 40513 manifesta un accentuato favor processualistico nei confronti dell’agente sotto copertura, in tanto in quanto “all’eventuale violazione della procedura di cui all’Art. 97 TU 309/90, comunque, non conseguono automaticamente conseguenze processuali: la mera inosservanza, da parte degli UU.PP.GG., addetti alle unità specializzate antidroga, della procedura di acquisto simulato può comportare una responsabilità sul piano disciplinare, ma non incide, di per sé, sulla loro capacità a testimoniare”. Come si può notare, Cass., sez. pen. VI, 20 ottobre 2011, n. 40513 minimizza la responsabilità strettamente penalistica dell’agente sotto copertura, nella consapevolezza che tale figura si colloca in una zona grigia nella quale l’opportunità operativa prevale sulla legalità formalisticamente intesa. Analogo garantismo è esplicitato anche da Cass., sez. pen. IV, 22 settembre 1999, n. 12347, ai sensi della quale “l’agente sotto copertura non è punibile, ex Art. 51 CP, quando il suo intervento è indiretto e marginale”. Nuovamente, in Cass., sez. pen. IV, 22 settembre 1999, n. 12347, l’esigenza della PG di raccogliere prove utili predomina sull’osservanza meticolosa della normativa. Dunque, l’agente sotto copertura opera nel contesto di un campo precettivo ove la concretezza delle indagini è presunta come prevalente nei confronti del singolo e minuzioso dettaglio volto a rendere inutilizzabili le dichiarazioni testimoniali dell’UPG infiltrato.
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2. L’agente provocatore
La figura dell’agente provocatore è oggetto di sfavor nella Giurisprudenza della Corte EDU. Infatti, Corte EDU, 27 ottobre 2004, Edward & Lewis vs. United Kingdom evidenzia che “l’agente provocatore interviene . Indipendentemente da una preesistente notizia di reato – per suscitare la commissione di reati che non sarebbero stati commessi senza il suo intervento. Questa attività è vietata dalla Giurisprudenza […] della Corte di Strasburgo [quindi] deve escludersi la liceità delle operazioni sotto copertura che si concretizzino in un incitamento o in un’induzione al crimine del soggetto indagato, in quanto l’agente infiltrato non può commettere azioni illecite diverse da quelle dichiarate non punibili dall’Art. 9 L. 146/2016 o ad esse strettamente e strumentalmente connesse”. Il parere di Corte EDU è condiviso pure da Cass., sez. pen. III, 15 gennaio 2016, n. 31415, ovverosia “[in tema di stupefacenti] non sussiste la scriminante di cui all’Art. 97 TU 309/90 (che richiama l’Art. 9 L. 146/2006) nel caso in cui l’agente coinvolto in operazioni sotto copertura compia attività che si caratterizzano per determinare taluno a commettere illeciti penali prima inesistenti, atteso che l’esimente è configurabile solo in relazione all’acquisizione di prove relative ad attività illecite già in corso”.
Tuttavia, nella Prassi concreta, l’agente provocatore manifesta molte similitudini con l’agente sotto copertura. P.e., entrambi sono utilizzati per il contrasto alla criminalità organizzata. Inoltre, ambedue le figure beneficiano, durante le loro operazioni, di identità fittizie. Oppure ancora, si ponga mente al fatto che sia l’agente provocatore sia quello sotto copertura sono UU.PP.GG., i quali rispondono delle loro azioni a superiori appartenenti alle regolari ed ordinarie forze dell’ordine.
Ciononostante, le due menzionate figure si distinguono sotto il profilo della utilizzabilità processuale delle rispettive mansioni. A tal proposito, Cass., sez. pen. VI, 4 febbraio 2020, n. 12204 ha evidenziato che “in tema di operazioni sotto copertura, è inutilizzabile la prova acquisita dall’agente infiltrato che abbia determinato l’indagato alla commissione di un reato e non [la prova] acquisita con l’azione di mero disvelamento di una risoluzione delittuosa già esistente, rispetto alla quale l’attività dell’infiltrato si presenti solo come occasione di estrinsecazione del reato”.
Nella realtà concreta, la PG, nel contrastare le mafie nei pressi delle zone di frontiera, utilizza molto spesso anche la figura dell’agente provocatore, la quale sovente collabora con gli agenti sotto copertura. Anzi, la PG italiana solitamente adotta regole disciplinari assai complesse che giuridificano entrambi gli istituti, compreso quello processualisticamente spesso non utilizzabile dell’agente provocatore. In buona sostanza, la Suprema Corte tollera le attività “istigatorie” dell’agente provocatore a condizione che esse siano limitate al traffico di scarse quantità di stupefacenti; in tal caso, e solo in tal caso, la Cassazione concede la precettività dell’Art. 51 CP anche per la “provocazione” a delinquere. P.e., Cass., sez. pen. IV, 21 settembre 2016, n. 47056 asserisce che “in tema di agente provocatore, la scriminante dell’adempimento del dovere [ex Art. 51 CP] trova applicazione esclusivamente nel caso in cui la sua condotta non si inserisca, con rilevanza causale, nell’iter criminis, ma intervenga, in modo indiretto e marginale, concretizzandosi, prevalentemente, in un’attività di osservazione, di controllo e di contenimento delle azioni illecite altrui”. Dunque, Cass., sez. pen. IV, 21 settembre 2016, n. 47056 applica l’Art. 51 CP anche all’agente provocatore soltanto qualora le sue “istigazioni” a delinquere si mantengano in una prospettiva di “marginalità” bagatellare. Pertanto, come si può notare, pure la Giurisprudenza italiana si associa allo scetticismo restrittivo di Corte EDU, 27 ottobre 2004, Edward & Lewis vs. United Kingdom.
Nel contesto degli Artt. 97 e 98 TU 309/90, a-tipica è la partecipazione di un cittadino privato non munito della qualifica di UPG. A tal proposito, la Giurisprudenza di legittimità unanimemente reputa che il soggetto privato beneficia dei commi 1 e 2 Art. 51 CP (“l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto […] da un ordine legittimo della pubblica autorità esclude la punibilità. Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine”). Trattasi, come si nota, di un ineludibile temperamento della personalità della responsabilità penale ex comma 1 Art. 27 Cost. (“la responsabilità penale è personale”).
Nei Lavori Preparatori alla L. 146/2006, si afferma, d’altra parte, che “l’esistenza di questa scriminante [ex Art. 51 CP] esclude l’antigiuridicità del fatto e, conseguentemente, la necessità che l’UPG e l’estraneo che collabori all’operazione, [se] regolarmente autorizzata, siano sottoposti ad indagini, con la conseguenza che [entrambi] possono assumere in giudizio la qualità di testimoni”. Equilibrata, alla luce sempre dell’Art. 51 CP, è pure Cass., sez. pen. IV, 22 settembre 2000, n. 11634, in tanto in quanto essa rimarca che “il riconoscimento della sussistenza [ex Art. 51 CP] dell’esimente dell’adempimento del dovere, nell’ipotesi di un cittadino che collabori ad un’operazione di polizia nella veste di agente provocatore, è subordinato all’accertamento che egli non travalichi, nella propria condotta, i limiti di un’attività di mero controllo, osservazione e contenimento della condotta criminosa altrui”. Più nel dettaglio, Cass., sez. pen. IV, 22 settembre 2000, n. 11634 ha qualificato come “inutilizzabili”, nel procedimento penale, le dichiarazioni testimoniali di un privato/agente provocatore che aveva “travalicato” il proprio ruolo nel contesto di un’operazione antidroga. Come si può notare, il ruolo di agente provocatore non gode del favore giurisprudenziale della Suprema Corte, giacché l’”istigatore legalizzato”, specialmente se non UPG, si colloca in una zona grigia operativamente ambigua. Pertanto, molto è lasciato alla ragionevolezza ed all’auto-disciplina della PG.
3. La testimonianza dell’agente sotto copertura
Deve rimanere fermo che l’agente sotto copertura, per richiamo espresso ex Art. 97 TU 309/90, beneficia della non punibilità statuita all’Art. 9 L. 146/2006. A sua volta, quest’ultima norma affonda la propria ratio nella clausola generale di non perseguibilità di cui all’Art. 51 CP.
Tutto ciò premesso, rimane il problema dell’utilizzabilità processuale delle dichiarazioni testimoniali dell’UPG che ha agito in qualità di agente sotto copertura. A tal proposito, Cass., sez. pen. III, 2 febbraio 2017, n. 11572 afferma che l’infiltrato può testimoniare validamente, ma “non come UPG con i poteri autoritativi e certificatori connessi alla qualifica” Inoltre, Cass., sez. pen. II, 22 dicembre 2016, n. 14714 precisa che “le dichiarazioni rese ad agente infiltrato da persone poi indagate o imputate non incontrano il divieto di cui agli Artt. 62 e 63 Cpp, in quanto si inseriscono in un contesto commissivo in atto di svolgimento”.
In favore della piena utilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie a carico del narcotrafficante depone pure Cass., sez. pen. IV, 11 giugno 2009, n. 41799, ovverosia “l’acquisto di sostanze stupefacenti è previsto dall’Art. 9 L. 146/2006; pertanto, le dichiarazioni rese dal venditore di sostanze stupefacenti all’agente infiltrato che si simula acquirente della sostanza possono essere da questi riferite in giudizio […]. Le dichiarazioni rese dal venditore di sostanze stupefacenti all’UPG che funga da simulato acquirente di sostanze stupefacenti nella veste di agente provocatore, devono essere collocate all’interno del procedimento, poiché costui deve considerarsi di fatto indagato non appena si stabilisce il contatto con l’apparente acquirente. Tuttavia, ad esse non si applica il divieto di testimonianza previsto dall’Art. 62 Cpp, poiché tale divieto concerne soltanto le dichiarazioni rappresentative di precedenti fatti e non anche le condotte e le dichiarazioni che accompagnano tali condotte. Non può neanche trovare applicazione il limite di utilizzabilità previsto dal comma 2 Art. 63 Cpp, poiché non si tratta di dichiarazioni rese nel corso di un esame o di assunzione di informazioni in senso proprio e tali dichiarazioni non costituiscono la rappresentazione di eventi già accaduti o la descrizione di una precedente condotta delittuosa, ma, inserendosi invece in un contesto commissivo, realizzano con esse la stessa condotta materiale del reato”.
Del pari, Cass., sez. pen. VI, 30 marzo 2004, n. 23035 non pone limiti all’utilizzabilità processuale delle notizie di reato riferite dall’agente sotto copertura o dall’agente provocatore. Più nel dettaglio, la testé menzionata Sentenza del 2004 evidenzia che “in caso di acquisto simulato, la speciale causa di giustificazione di cui alla L. 146/2006 è applicabile anche con riguardo alle attività strumentali precedenti e successive all’acquisto o comunque ad essa connesse; all’agente infiltrato, che abbia preso parte solo alla fase esecutiva della consegna della merce, finalizzata al sequestro della sostanza stupefacente e alla identificazione ed arresto dei trafficanti, deve essere riconosciuta la qualità sostanziale e processuale di testimone. […]. In tema di acquisto simulato di sostanze stupefacenti da parte dei un UPG, al medesimo è applicabile, anche per le attività strumentali precedenti e successive all’acquisto o comunque ad esso connesse, la speciale causa di giustificazione di cui agli Artt. 97 e 98 TU 309/90, con conseguente esclusione dell’antigiuridicità del fatto. Ne consegue che, all’agente infiltrato, che abbia preso parte solo alla fase esecutiva della consegna della merce, finalizzata al sequestro della sostanza stupefacente e alla identificazione ed arresto dei trafficanti, avendo operato lecitamente, non è applicabile il divieto di utilizzazione delle dichiarazioni rese, previsto dall’Art. 63 Cpp, dovendo a detto soggetto essere, invece, riconosciuta la qualità sostanziale e processuale di testimone”.
Ciononostante, un limite è posto da Cass., sez. pen. VI, 11 febbraio 2009, n. 12142, in tanto in quanto “la vendita di sostanze stupefacenti non rientra tra le attività sotto copertura scriminate dalla finalità di indagini; ne consegue che, in tal caso, gli UU.PP.GG non possono essere sentiti quali testimoni; l’agente infiltrato, tuttavia, può essere esaminato a norma dell’Art. 210 Cpp, in quanto egli assume la qualità di coimputato.
Degna di menzione è pure Cass., sez. pen. III, 10 marzo 2011, n. 18896, a norma della quale “non si applica l’esimente dello stato di necessità quando un UPG opera una cessione di stupefacenti ad altro soggetto infiltrato per tutelarne l’incolumità fisica, difettando sia il requisito dell’involontarietà sia quello dell’inevitabilità del pericolo”.
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