Nell’ipotesi della realizzazione abusiva di opere edilizie su di un bene del demanio comunale sussiste, ognora, il potere pubblico di rimuovere dette opere, essendo evidente ed incontestabile la permanente esistenza dell’interesse pubblico acché detto bene sia restituito alla sua destinazione naturale.
Il Comune non ha alcun dovere di dimostrare che il manufatto così realizzato insista su “pubblica via”, quando la natura pubblica dell’area e la sua destinazione a strada di uso comune sia catastalmente accertato spettando, peraltro, alla parte che rivendica la natura di privata proprietà di un’area, invece risultante pubblica, fornire la prova di quanto asserisce.
N. 04468/2010 REG.DEC.
N. 01394/2004 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 1394 del 2004, proposto dal:
sig. ***********, rappresentato e difeso dagli avv.ti *************** e **************, con domicilio eletto presso il secondo di detti difensori, in Roma, via Crescenzio, n. 91;
contro
Il Comune di Gallicano, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Toscana – Firenze – Sezione III^ – n. 5404 del 21 ottobre 2003, resa tra le parti, concernente occupazione abusiva di suolo pubblico;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 aprile 2010 il Cons. Guido Romano; nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Con un primo ricorso (n. 752 del 2002) al TAR della Toscana il sig. *********** ha chiesto l’annullamento della nota del Comune di Gallicano del 4 dicembre 2001 di comunicazione dell’avvio del procedimento inerente l’occupazione abusiva di suolo pubblico, nonché l’annullamento del verbale della Polizia Municipale del 24 gennaio 2002 di contestazione della violazione degli artt. 2 e 27 del regolamento comunale per la disciplina delle occupazioni di spazi e aree pubbliche, di cui alla delibera consiliare n. 3 del 2001 e di applicazione della sanzione accessoria dell’obbligo del ripristino entro 90 giorni dalla notifica del verbale stesso.
Il ricorrente, premesso, in punto di fatto, che la contestazione ha riguardato un piccolo “piazzaletto” con gradino realizzato per poter meglio accedere alla propria abitazione, rialzata rispetto al piano stradale, e che l’accesso, tipico dei vecchi paesi di montagna, esisterebbe da circa duecento anni o comunque, come attestato dai tecnici del Comune, “…da epoca remota…”, ha dedotto, in punto di diritto, quanto segue:
– che sarebbe applicabile alla fattispecie l’istituto dell’immemorabile, con conseguente obbligo del Comune di provare l’esistenza di un serio interesse pubblico che giustifichi la rimozione del manufatto;
– che non sarebbe vero che gli scalini restringono la carreggiata stradale impedendo il transito di piccoli veicoli, perché anche demolendo i manufatti in questione il transito non sarebbe possibile, essendo la strada larga solo centoquaranta centimetri;
– che la modifica proposta dal Comune non sarebbe rispettosa della normativa in tema di barriere architettoniche;
– che la realizzazione delle opere in questione sarebbe da attribuire a precedenti proprietari;
– che il regolamento comunale applicato nella specie sarebbe successivo alla realizzazione dell’opera per la quale, dunque, non necessiterebbe di alcun atto di autorizzazione.
2. – Con un secondo ricorso (n. 753/2002) il sig. *********** ha impugnato nuovamente gli stessi atti, deducendo le medesime censure già proposte con il primo gravame alle quali ha aggiunto l’ulteriore doglianza di genericità della comunicazione di avvio del procedimento, che non individuerebbe esattamente l’abuso, possedendo egli tre immobili lungo la strada asseritamente occupata in modo abusivo, nonché di erronea indicazione dell’autorità cui ricorrere e del termine per provvedervi.
3. – Con sentenza parziale n. 730 del 25 febbraio 2003, il TAR, riuniti i due ricorsi, ha dichiarato improcedibile, per sopravvenuto difetto di interesse, il primo di detti ricorsi (n. 752 del 2002), per essere la relativa impugnativa assorbita e superata da quella svolta con il secondo ricorso (n. 753/2002), ed ha disposto incombenti istruttori ai fini della decisione di quest’ultimo.
4. – Con sentenza definitiva n. 5404 del 21 ottobre 2003, (unica) impugnata con l’appello in epigrafe, il TAR ha definitivamente concluso il giudizio di primo grado dichiarando il ricorso n. 753 del 2002 in parte inammissibile ed in parte infondato avendo ritenuto:
– che il ricorso è inammissibile nella parte in cui si rivolge avverso l’atto endoprocedimentale della comunicazione di avvio del procedimento, mentre è, invece, ammissibile nella parte in cui è impugnato il verbale di accertamento, laddove quest’ultimo dispone la demolizione delle opere abusivamente realizzate;
– che è infondata l’eccezione di difetto di giurisdizione formulata dal resistente Comune in quanto, con riguardo all’ordine di rimessione in pristino del suolo stradale, è noto che sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 205 del 2000, per la materia urbanistica, anche per “…tutti gli aspetti dell’uso del territorio…”.
Nel merito, il TAR ha rigettato definitivamente il ricorso (per la parte restante dopo la sentenza parziale n. 730 del 25 febbraio 2003) tenuto conto:
– che v’è prova dell’individuazione certa dell’immobile cui sono riferiti gli atti impugnati, rispetto ai tre di proprietà del ricorrente insistenti su via Vallisneri, e cioè di quello al numero civico 68, sia nell’esposto presentato il 27 febbraio 1991 dallo stesso sig. ***** al Comune, sia nel ricorso di primo grado (notificato nel marzo del 2002), nel quale il predetto ricorrente fornisce analoga indicazione topografica e, poi, dà anche atto che da oltre dieci anni il Comune aveva richiesto la riduzione dei gradini che conducono alla casa,
– che la mancata indicazione del nome del responsabile dell’Ufficio tecnico comunale nell’atto di avvio del procedimento non è di per sé carenza invalidante e che neppure alcuna critica può essere mossa all’Amministrazione, quanto all’accesso alla documentazione, non avendo il ricorrente provato di avere ricevuto l’avviso dopo l’adozione del provvedimento impugnato, così da essere impedito nel diritto di accesso;
– che essendo incontestabile l’appartenenza al demanio comunale della strada sulla quale sono stati realizzati “il piazzaletto e gli scalini”, non è applicabile l’istituto dell’immemorabile, attesa l’imprescrittibilità dei beni demaniali;
– che è inconferente la giurisprudenza citata, concernendo essa esclusivamente ipotesi di abusi edilizi commessi da privati su suoli privati;
– che è, altresì, inconferente il richiamo al regolamento sulle barriere architettoniche (D.M. LL.PP. n. 236/89), essendo evidente che “…in certe strade anguste di piccoli paesi non è possibile l’osservanza della speciale normativa…”;
– che non rileva che il ricorrente non sia l’autore dell’abuso, “…perché il carattere reale dell’abuso si riflette su colui che al momento dell’accertamento dell’abusiva occupazione gode dell’utilità del bene stesso…”;
– che è infondata la censura che il provvedimento impugnato si basa su regolamento comunale successivo alla costruzione del manufatto, perché, in disparte la carenza di prova certa circa l’epoca di costruzione delle opere abusive, “…è pacifico che l’occupazione di beni pubblici necessita da sempre di un titolo di abilitazione rilasciato dall’ente proprietario (cfr. art. 131 t.u. legge comunale e provinciale n. 148/1915, art. 823 del codice civile del 1942)…”;
– che, infine, la circostanza che alcuni abitanti della zona abbiano dichiarato di essere contrari alla rimozione del “piazzaletto” non ha, e non può avere, alcuna incidenza sull’esercizio dei poteri di tutela dei beni pubblici esercitati nella fattispecie.
5. – Con l’appello in epigrafe il sig. ***** ha chiesto la riforma di detta sentenza affermando che la sarebbe errata in quanto:
1)- gli atti impugnati sarebbero viziati “…per carenza e manifesta illogicità della motivazione, nonché per difetto di istruttoria…” perché il Comune non avrebbe comparato gli interessi pubblici e privati emergenti nella specie, né avrebbe motivato perché sarebbe prevalente il primo di essi, rispetto al secondo, in violazione della pacifica giurisprudenza formatasi sul punto, e sarebbe incorso, infine, anche in eccesso di potere per disparità di trattamento “…tra situazioni analoghe di cui il paese di Trassilico è pieno…”;
2)- la sentenza si fonderebbe “..su di un punto di fatto sbagliato…” laddove afferma che sarebbe “…pacifico che si tratti di una strada comunale del centro storico…”;
3)- il Comune non avrebbe dimostrato che il manufatto ritenuto abusivo “…insista sulla pubblica via…”, né avrebbe motivato in ordine all’utilità che la collettività ricaverebbe dall’abbattimento del “piazzaletto e degli scalini”;
4)- conseguentemente, il contestato potere del Comune di poter “…richiedere in qualsiasi momento il ripristino della pubblica via…” costituirebbe, nella specie, “…un abuso di potere…” poiché detto Ente non avrebbe dimostrato che le opere insistono sulla pubblica via;
5)- il Comune perseguirebbe un fine sostanzialmente irrealizzabile poiché, anche abbattendo le opere da lui realizzate, non sarebbe comunque possibile il transito di mezzi di soccorso, ostandovi, comunque, altra costruzione esistente;
6)- il TAR erroneamente avrebbe affermato non esserci prova che il manufatto sia antecedente al 2001, tenuto conto che le fotografie esibite dimostrerebbero che la costruzione “denota un’età veneranda” e che la scheda di rilevazione del patrimonio edilizio, redatta dai tecnici comunali il 28 ottobre 1981, dà atto anch’essa, che la costruzione “…è di epoca remota…”;
7)- il TAR avrebbe, infine, errato a non ritenere applicabile il DM LL.PP. n. 236 del 1999, sull’abbattimento delle barriere architettoniche, ed a non ammettere, come pure richiesto, apposita CTU sullo stato dei luoghi, sulla natura della strada, sulle opere realizzate e sull’utilità della loro demolizione, in confronto al pregiudizio patito dal ricorrente.
Con ordinanza n. 1595 del 6 aprile 2004 questa Sezione ha rigettato l’istanza cautelare dell’appellante.
All’udienza del 9 aprile 2010 l’appello è stato rimesso in decisione.
7. – L’appello è infondato.
7.1 – Gli atti impugnati in primo grado hanno ad oggetto l’occupazione abusiva di suolo pubblico che avrebbe posto in essere il sig. *********** mediante la costruzione, in assenza di preventivo atto concessorio, di un “piazzaletto con gradini” avente la funzione di rendere più agevole l’accesso alla propria abitazione prospiciente la via comunale.
Gli stessi atti contestano, quindi, la violazione degli artt. 2 e 27 del regolamento comunale del 2001 e dispongono la demolizione delle opere abusivamente realizzate, nonché la rimessione in pristino della strada per il suo naturale uso pubblico.
7.2 – Ciò premesso, giova precisare che oggetto di appello è soltanto la sentenza definitiva n. 5404 del 21 ottobre 2003, ma non anche la sentenza parziale n. 730 del 25 febbraio 2003, che già aveva dichiarato improcedibile il primo ricorso ed inammissibile la parte del secondo ricorso attinente la contestazione del mero verbale di accertamento dell’abuso, essendo ciò agevolmente evincibile dal contenuto dell’impugnazione in esame, nella quale alcuna censura viene mossa contro detta sentenza parziale.
7.3 – Così definito il perimetro della decisione richiesta a questo Giudice, può darsi ingresso ai motivi di impugnazione proposti dal sig. ***** per la riforma della sentenza appellata.
7.3.1 – Preliminarmente, osserva il Collegio che l’appello è inammissibile laddove si limita a riproporre pedissequamente alcune censure sollevate in primo grado senza indicare, neppure in maniera succinta, le ragioni per le quali il Giudice di prime cure avrebbe eventualmente errato a decidere dette censure.
In particolare, tale rilievo determinante può essere effettuato con riguardo ai motivi sopra riassunti nel capo n. 5 che precede, ai numeri 1), 3) e 4), atteso che con essi vengono meramente reiterate doglianze, peraltro non del tutto coincidenti a quelle proposte innanzi alo TAR, ma non anche espresse critiche motivate alla parte di sentenza che si è pronunziata su tali punti.
In ogni caso le stesse doglianze sono, comunque, infondate poiché in materia di occupazione abusiva di aree pubbliche -specialmente se destinate, come nella specie, al pubblico transito anche con autoveicoli- l’accertamento dell’esistenza di opere realizzate da privati, in assenza di apposito atto concessorio, è atto doveroso che non abbisogna di alcuna motivazione distinta e diversa da quella implicita nella norma di cui si fà applicazione.
Né, in materia, può trovare applicazione la giurisprudenza invocata dall’appellante poiché essa è riferita ad ipotesi affatto diversa, quale è quella dell’intervento repressivo del competente Ente territoriale in relazione ad opera edilizia realizzata da soggetto privato, su area in propria disponibilità ed in assenza di preventiva autorizzazione dello stesso Ente pubblico. Infatti, come ha ben chiarito il primo Giudice, vertendosi in tema di opere abusivamente realizzate su di un bene del demanio comunale, sussiste ognora il potere pubblico di rimuovere dette opere, essendo evidente ed incontestabile la permanente esistenza dell’interesse pubblico acché detto bene sia restituito alla sua destinazione naturale.
In breve, la descrizione del bene e delle opere che lo hanno manomesso, nonché l’accertamento dell’inesistenza di un atto concessorio costituiscono gli unici elementi essenziali del provvedimento sanzionatorio, tutti ben individuati nella specie dal Comune appellato.
Inoltre, giova precisare che il Comune anzidetto, diversamente da quanto affermato dall’appellante, non aveva alcun dovere di dimostrare che il manufatto in contestazione insistesse sulla “pubblica via”, sia perché la natura pubblica dell’area e la sua destinazione a strada di uso comune è catastalmente accertato, come dimostra la stessa documentazione versata in atti di primo grado dal sig. ***** (cfr. doc sub E), oltre che gli atti impugnati e la relazione del Settore Tecnico Comunale n. 11441 del 26 novembre 2001), dalla quale emerge tale natura e destinazione (Via Vallisneri del centro storico della frazione Trassilico del Comune di Gallicano); sia perché, in ogni caso, spetta alla parte che rivendica la natura di privata proprietà di un’area invece risultante pubblica fornire la prova di quanto asserisce; sia, infine, tenuto conto che la natura demaniale dell’area è, in fondo, pacifica per lo stesso appellante visto che questi nel proprio appello lo afferma (“…è in realtà pacifico che la strada sia pubblica…”) pur se, immediatamente dopo, contesta “… che il manufatto di proprietà del signor ***** insista sulla pubblica via…” , quasi che possa anche soltanto ipotizzarsi che un manufatto realizzato su una strada pubblica non “…insista sulla pubblica via…”.
Infine, per le stesse ragioni testè espresse in ordine alla pacifica natura demaniale della strada sulla quale insistono il “piazzaletto ed i gradini” realizzati dall’appellante, non può non ritenersi priva di pregio giuridico l’affermazione che costituirebbe un “abuso di potere” l’avere il Comune ritenuto permanente il proprio potere-dovere di intervento a tutela del bene demaniale violato dall’iniziativa privata, discendendo detto potere-dovere, come ammette anche in questo caso lo stesso appellante, da norme di legge (“…TU delle leggi comunali e provinciali e secondo comma dell’art. 832 del codice civile…”) delle quali costituisce razionale specificazione le disposizioni del regolamento comunale del 2001 applicato nella fattispecie.
7.3.2 – Quanto ai restanti motivi di appello è, innanzitutto, infondata la critica che la sentenza si fonderebbe “..su di un punto di fatto sbagliato…”, e cioè che non sarebbe “…pacifico che si tratti di una strada comunale del centro storico…” .
Osserva, al riguardo, il Collegio che la sorte di detta critica è già negativamente segnata dalle considerazioni sin qui svolte in ordine alla incontestata (anche dall’appellante, come si è visto) natura pubblica della stessa strada, oltre che dal rilievo che alcun effetto determinante nell’economia del presente giudizio possono avere “le fotografie prodotte dall’interessato” e la “scheda di rilevazione del patrimonio edilizio”, redatta dai tecnici del Comune.
Infatti, il regime proprio dei beni pubblici, caratterizzato dall’imprescrittibilità degli stessi, esclude, in principio, che sia applicabile alla fattispecie l’istituto dell’immemorabile, come esattamente rilevato dal primo Giudice, e che possa avere valore di prova determinante al fine dell’accertamento della natura del bene (pubblico) un documento, quali le fotografie esibite, le quali, peraltro, descrivendo la situazione di fatto esistente alla data del 9 marzo 2002, come indicato in calce alle stesse foto, cioè in epoca successiva all’adozione degli atti contestati, perde ancor più, se possibile, ogni valore ai fini che qui rilevano.
Inoltre, neppure rileva che nella su citata scheda del Servizio Tecnico Comunale si dia atto che il manufatto abusivo sia di “…epoca remota…” poiché il decorso del tempo, qualunque ne sia la durata, non incide in alcun modo sul potere di autotutela da parte del Comune dei beni del proprio demanio.
Né coglie nel segno l’appellante allorquando afferma che il Comune perseguirebbe un fine sostanzialmente irrealizzabile perché, anche abbattendo “il piazzaletto e gli scalini” realizzati, comunque non sarebbe possibile il transito di mezzi di soccorso, ostandovi comunque altra costruzione esistente, considerato che, nel caso in esame, per un verso, non si discute dell’intera
percorrenza della via Vallisneri, ma soltanto del tratto nel quale, per effetto dell’abuso realizzato dal *****, la stessa strada è stata ristretta da mt. 1,45 a mt. 1, 16 e, per altro verso, non rende illegittimi gli atti impugnati l’esistenza di eventuale ulteriore costruzione illegittima sulla stessa strada, ma semmai abilita l’appellante a provocare un intervento repressivo analogo a quello subito, qualora sussistenti le condizioni di legge.
Infine, ritiene il Collegio che siano infondati anche le critiche mosse dall’appellante alla parte della sentenza appellata nella quale il TAR ha rigettato, sia la censura di omessa applicazione del DM LL.PP. n. 263 del 1999 sull’abbatimento delle barriere architettoniche, sia la richiesta istruttoria di nomina di un C.T.U.
Ed invero, quanto al primo profilo, la censura proposta in primo grado è, innanzi tutto, inammissibile perché l’appellante non ha fornito alcuna prova di trovarsi egli, od altro suo congiunto residente nell’abitazione, in condizioni di handicap tali da doversi necessariamente fare applicazione della normativa invocata; inoltre, la stessa censure è, comunque, infondata per le ragioni già indicate dallo stesso TAR che non sono scalfite dalle eduzioni svolte nell’appello.
Quanto al secondo profilo, è sufficiente rinviare alle già svolte considerazioni sulla natura demaniale della strada e sul regime speciale di tutela di tali beni per ritenere, comunque, infondata la richiesta istruttoria formulata in primo grado e, qui, riproposta.
8. – In conclusione l’appello deve essere rigettato, nulla potendosi disporre in ordine alle spese del presente grado di giudizio per non essersi costituito il Comune appellato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, Sezione Quarta, definitivamente pronunziando, respinge l’appello n. 1394 del 2004.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2010 con l’intervento dei Signori:
**************, Presidente FF
*****************, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere
****************, Consigliere
Guido Romano, ***********, Estensore
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L’ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/07/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
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