Opinioni espresse dai parlamentari sui social: insindacabili con limiti

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Le opinioni dei parlamentari, pure se espresse al di fuori dalle sedi istituzionali, non sono sindacabili ove collegate all’esercizio delle funzioni, tuttavia, è necessario che rispettino la dignità dei destinatari del commento e della denuncia politica. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza del 10 giugno 2024, n. 104.

Corte Costituzionale -sentenza n.104 del 10 giugno 2024

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Indice

1. Le opinioni critiche espresse sui social


La Corte costituzionale ha rigettato un conflitto di attribuzione promosso dal Tribunale di Milano contro la Camera dei deputati, dove si era sostenuta l’insindacabilità delle dichiarazioni rese da un deputato in un video su Facebook pubblicato nel 2018. In tale video, il deputato aveva espresso critiche relative a una mostra, intitolata “Porno per bambini”, che si sarebbe dovuta tenere a Milano. Due giorni dopo, a tal proposito aveva presentato un’interrogazione parlamentare. A seguito di querela per diffamazione presentata qualche mese dopo, la Camera dei deputati, su richiesta del Tribunale di Milano, aveva deliberato che tali affermazioni fossero opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari, insindacabili in virtù di quanto disposto dal comma I dell’art. 68 della Costituzione. Il Tribunale di Milano, ritenendo al contrario che fossero espressione del diritto di critica di cui all’art. 21 della Costituzione, ha promosso il conflitto, ritenendo impedito l’accertamento, che spetta all’autorità giudiziaria, in merito al superamento o meno dei limiti alla libertà di manifestazione del pensiero.

2. Il rigetto della Consulta


Per la Consulta la Camera dei deputati ha correttamente valutato che le dichiarazioni del deputato interessato fossero espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari, in quanto funzionali a rappresentare, nella prospettiva del deputato, interessi generali, come testimoniato dalla contestuale presentazione dell’interrogazione parlamentare, del tutto corrispondente nel suo significato, al di là della fisiologica diversità delle modalità espressive, alle affermazioni rese nel video pubblicato su Facebook. Quindi è stato precisato che le dichiarazioni rese da deputati e senatori fuori dalle sedi delle Camere, quali quelle sui social media, risultano insindacabili ai sensi del I comma dell’art. 68 della Costituzione, nella finalità di proteggere da condizionamenti lo svolgimento del mandato. Tuttavia, devono risultare qualificabili come opinioni ed essere collegate all’esercizio della funzione parlamentare, oltre che essere espresse in forme atteggiate al rispetto della dignità dei terzi. Nel rigettare il ricorso, la Consulta ha ribadito che l’insindacabilità delle opinioni di cui all’art. 68, comma I, Costituzione, intende assicurare alle Camere che i membri possano svolgere nel modo più libero la rappresentanza della Nazione delineata dall’art. 67 Cost.

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    3. Deroga al principio di parità di trattamento


    Rifuggendo da ogni forma di responsabilità giuridica, la Costituzione contempla una deroga al principio di parità di trattamento innanzi alla giurisdizione: in ragione del necessario contemperamento degli interessi in gioco, la Costituzione non protegge qualsiasi opinione, bensì unicamente quella resa nell’esercizio della funzione parlamentare, senza vincoli dal luogo in cui la stessa sia espressa.

    4. La connessione con l’esercizio delle funzioni parlamentari


    La Consulta ha evidenziato che il punto d’equilibrio tra gli antagonisti valori deve essere ricercato in concreto, dapprima per opera delle Camere e del potere giudiziario, poi ed eventualmente in sede di conflitto di attribuzione. A tal fine, quando si tratti di opinioni rese fuori dalle sedi parlamentari, la giurisprudenza costituzionale ha considerato indici rivelatori dell’esistenza della connessione con l’esercizio delle funzioni parlamentari la sostanziale corrispondenza con opinioni manifestate nell’esercizio di attività parlamentare tipica e la sostanziale contestualità cronologica fra tale ultima attività e quella esterna. In tali circostanze, infatti, pur nell’ineliminabile diversità degli strumenti e del linguaggio adoperato, le opinioni rese fuori dalle sedi vogliano dar conto del significato dell’attività posta in essere nell’esercizio del mandato. Ma pure alle opinioni non connesse ad atti parlamentari può essere applicato l’art. 68, comma I, Cost., ove risulti il collegamento con l’esercizio della funzione parlamentare. In tale ipotesi, lo scrutinio della Consulta deve essere rigoroso, in ragione dei contrapposti interessi costituzionali e per evitare che l’immunità si trasformi in privilegio. Deve trattarsi non di opinioni politiche che può esprimere ogni cittadino nell’alveo di operatività dell’art. 21 Cost., bensì di pensieri funzionali all’esercizio del mandato parlamentare e della rappresentanza della Nazione, quindi opinioni “improntate al rispetto della dignità dei destinatari della critica e della denuncia politica, in specie quando questi non siano a loro volta parlamentari: e ciò tanto più quando l’opinione è espressa per mezzo dei moderni mezzi di comunicazione – quali testate giornalistiche online o social media – che la rendono agevolmente reperibile e oggetto di ulteriore diffusione”.

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    Avv. Biarella Laura

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