Natura giuridica ed opponibilita’ ai terzi del provvedimento di assegnazione della casa familiare

Redazione 26/03/04
di Alessandra Margherini

In tema di assegnazione della casa familiare, la problematica più dibattuta nella dottrina e nella giurisprudenza meno recenti é stata forse quella della qualificazione della situazione giuridica che si costituisce in capo all’assegnatario, per effetto del provvedimento giudiziale di attribuzione del godimento dell’immobile.

Si tratta, in altri termini, di individuare l’ambito nel quale il diritto costituito con l’assegnazione è compreso, se cioè si collochi nella categoria degli iura in re aliena, assumendo magari i connotati del diritto di abitazione previsto e disciplinato agli artt.li 1022 e segg. del cod. civ., o se invece, vada qualificato come diritto personale di godimento.

In questa prospettiva, va ricordata la mai sopita discussione sulla tradizionale dicotomia che separa i diritti reali dai diritti obbligatori o personali. Le esperienze giuridiche dei vari ordinamenti, ha sottolineato la dottrina più recente, mostrano grande varietà di significati con cui vengono usati i termini dell’antitesi, insieme ad una chiara delimitazione delle due categorie e di atteggiamenti ricorrenti favorevoli ad un superamento della partizione. La definizione di un diritto in termini di realità o di obbligatorietà non sempre può essere netta in un senso o nell’altro, potendo il singolo diritto soggettivo sotto un profilo avere disciplina propria dei diritti obbligatori, e, sotto un altro aspetto, possedere la regolamentazione peculiare dei diritti reali.[1]

Eppure, l’esistenza di fattori di incertezza nell’elaborare una compiuta e sicura classificazione non esclude, nel nostro ordinamento, la rilevanza di questa distinzione; gli autori che si sono occupati dell’argomento, hanno avuto cura di indicare ed elencare i punti di emersione di questa rilevanza. Si pensi alla tutela possessoria, alla problematica relativa all’acquisto a titolo originario a non domino, alla tutela contro le immissioni, alla legittimazione alle azioni reali classiche.

Il fenomeno diritto reale viene anche illustrato tenendo presente il profilo sociale ed economico che tale situazione acquista nell’utilizzo dei beni e nell’assetto generale del settore patrimoniale, individuando nel rilievo che esso assume nella vita di relazione anche la ratio della cosiddetta tipicità da sempre riferita a questa figura giuridica. Tipicità che è stata spiegata come riserva a favore dell’ordinamento di stabilire quali diritti possono essere ricompresi nella categoria “diritto reale”, e come contemporanea esclusione di ogni potere dei privati di crearne, nel quadro dell’autonomia privata, di nuovi al di fuori di quelli già espressamente previsti e regolamentati.

Ma non sono soltanto esigenze di carattere dogmatico di ordine generale ad indurre verso una definizione del diritto di assegnazione, infatti, la questione lungi dall’essere fine a sé stessa assume rilevanza soprattutto in ordine alla determinazione dei riflessi derivanti da tale statuizione nei confronti dei terzi.

Si tratta, infatti, di questioni che sono collegate con l’analisi della generale ed autonoma rilevanza che l’interesse al godimento dell’alloggio può assumere con riguardo all’intero arco delle vicende della coabitazione coniugale, sebbene il problema assuma, già a prima vista, peculiare gravità soprattutto con riguardo all’interesse dei figli coabitanti con l’assegnatario.

Si tratterà, pertanto, separatamente, la natura giuridica del diritto di assegnazione, ripercorrendo l’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale, per poi passare, nel prossimo capitolo alla trattazione dell’opponibilità del diritto stesso.

La dottrina, come detto, si e a lungo interrogata sul fondamento e sulla natura dell’assegnazione, tuttavia il dibattito ha perso parte del suo mordente, a seguito dell’intervento legislativo del 1987 che, prevedendo espressamente l’opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione, ha finito col smorzare i toni della questione.

Quanto alla natura della situazione giuridica attribuita all’assegnatario con provvedimento del giudice, le soluzioni prospettate in dottrina sono molteplici, tuttavia riassumibili in tre schemi qualificativi:

a) diritto reale;

b) diritto del comodatario;

c) diritto personale di godimento.

Va comunque nuovamente sottolineato che la classificazione non ha solo valore definitorio ma identifica in concreto quale disciplina applicare: quella dell’opponibilità dei diritti valevoli erga omnes, quella dei diritti di credito. Propendere per l’una o l’altra soluzione, come si è detto, non è indifferente, quando si pensi agli oneri di trascrizione, e a quali con conseguenze pratiche porti il loro mancato adempimento. E’ l’opponibilità del provvedimento giudiziale che pone al riparo il beneficiario dell’attribuzione dalle pretese del terzo avente causa dell’altro coniuge estromesso dal godimento ma che, in quanto titolare, abbia compiuto un atto di disposizione.

Riconoscendo all’assegnatario una situazione di carattere reale, sul modello di quelle espressamente previste dalla legge, tra le ipotesi tassative di diritti reali, la tutela delle ragioni di questo è garantita dall’operare immediato e automatico della disciplina della trascrizione del provvedimento giudiziale ex art. 2643, n.4 e 14 cod. civ..

Se si configura il diritto dell’assegnatario come diritto reale limitato su cosa altrui, l’altro coniuge titolare non assegnatario, potrebbe ugualmente disporre dell’immobile di sua proprietà, naturalmente con il vincolo dello ius in re aliena.[2]

La dottrina meno recente, aveva accolto la tesi della realità del diritto dell’assegnatario sulla base di una duplice considerazione. In primo luogo si sottolineava che seppur vero che la situazione giuridica nascente dal provvedimento giudiziale, essendo giustificata e connessa all’affidamento della prole, fosse soggetta a modifiche quando il presupposto oggettivo dell’attribuzione venisse meno, tuttavia la variabilità della fattispecie non impediva di configurarla come diritto assoluto erga omnes.[3]

I sostenitori di questa teoria, pur riconoscendo che i diritti reali sono almeno tendenzialmente caratterizzati da stabilità, ne escludevano la perpetuità come requisito essenziale, portando ad esempio i diritti di usufrutto, uso e abitazio­ne. Se poi si volesse intendere la stabilità nel senso che sin dal momento della costituzione del diritto si dovesse sapere con certezza quando lo stesso si estinguerà, allora si faceva notare come il diritto positivo ci offrisse esem­pi di diritto reale certo, subordinato al permanere di presupposti oggettivi suscettibili di mutamento.

Dunque, sotto il profilo della stabilità, coerentemente con le premesse di questo orientamento dottrinale, non sembrava esserci alcun ostacolo alla configurazione del diritto dell’assegnatario ex art. 155 comma quarto, come diritto reale.

In base ad una seconda considerazione i sostenitori della realità del diritto ritenevano che la diversa dizione letterale dell’art. 540 cod. civ., comma secondo, non avesse alcun rilievo, non potendosi dare peso ad un dato formalistico, anche perché al legislatore della riforma non può riconoscersi rigore di lessico.

Molte sono le obiezioni contro la tesi del diritto reale che sono state avanzate sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza.

Innanzitutto non appare deponente il rilievo secondo cui la perpetuità del diritto reale sia solo tendenziale e non evidenzi una connotazione di imprenscindibilità. La risposta, infatti, gioca su un terreno diverso e si basa sulla distinzione fra le nozioni di durata e stabilità.[4]

Benché temporaneo il diritto il abitazione, nella sua tradiziona1e configurazione, non è instabile, essendo prevista una durata certa; nell’ipotesi di assegnazione della casa famigliare, viceversa, vi é assenza di una determinazione di tempo ed il godimento può cessare in esito alla sopravvenienza di circostanze nuove, che possono determinare la caducazione del diritto.[5]

Argomento utile per l’esclusione di una configurabi1ità in termini di diritto reale è stato addotto con riferimento al già richiamato art. 540 cod. civ., ed alla diversità della sua formulazione rispetto all’art. 155 cod. civ., prima, e all’art.6 L. n.898 del 1970, così come attualmente modificato. Infatti, a differenza che in queste due ultime norme, la prima contiene, quanto alla riserva a favore del coniuge del de cuius, la formulazione in senso tecnico del diritto di abitazione sull’immobile, esplicitamente distinguendolo da quello di uso sui mobili che la corredano, così consentendo di rilevare che dove il legisla­tore ha pensato alla realità della figura l’ha esplicitamente affermata.

Né si può ritenere, come alcuni autori hanno sostenuto, che l’argomento provi troppo fondandosi sulla considera­zione che nelle due norme in materia di famiglia non era possibile adottare la stessa formulazione di cui all’art. 540 cod. civ., poiché, mentre in tale norma il riferimento alla figura di diritto reale era necessitato dal fatto che lo stesso veniva riconosciuto nell’esplicita ipotesi di appartenenza della proprietà al defunto o alla comunione con lui, nella normativa in materia di famiglia la formulazione in discorso non poteva essere utilizzata in quanto l’assegnazione della casa familiare è prevista anche in relazione ad ipotesi incompatibili con la nascita col diritto reale di abitazione, quale quella in cui il coniuge proprietario sia l’assegnatario.[6]

A fronte di quest’argomento è, però, possibile replicare che, indipendentemente dalla considerazione che il provvedimento di assegnazione della casa familiare individua un titolo formale per il godimento dell’immobile che è autonomo rispetto al titolo di appartenenza dei beni assegnati, resta da ricordare che titolari di quel godimento sono anche altri soggetti, identificati nei figli minori affidati, con conseguente inconfigurabilità di una contraddizione in termini.

Va infine ricordato che per accedere alla tesi della configurabilità di un diritto reale di abitazione occorrerebbe attribuire alla pronuncia di assegnazione una efficacia costitutiva, che deve invece ritenersi esclusa dalla elencazione dei modi di acquisto di quel diritto formulata dall’art. 978 cod. civ., cui rinvia l’art.1026. Non appare significativo obiettare in pro­posito, che la norma di cui all’art.978 cod. civ. dopo la L.n.151 del 1975 non appare più esaustiva circa i modi di costituzione dell’usufrutto, come sarebbe dimostrato dal fatto che nella stessa non è richiamato il modo di costituzione giudiziale di quel diritto introdotto dal testo novellato della ‘art. 194 comma 2°, cod. civ..[7]

E’ sufficiente considerare, infatti, da un lato, la specialità della previsione di tale norma, dall’altro, e per conseguenza, la necessità di una cautela interpretativa che deve assistere allorché il legislatore abbia evitato di richiamare espressamente figure tipiche di diritto reale.

Anche la giurisprudenza prevalente ha rifiutato la tesi della realità del diritto, argomentando, anch’essa, in base alla circostanza che il provvedimento del giudice, attributivo della casa coniugale, è per sua natura dato rebus sic stantibus, e ciò mal si concilia con la stabilità dei diritti reali, che senza dubbio è caratteristica ricorrente in tutti quelli tipicamente previsti dall’ordinamento.[8]

Il provvedimento sull’assegnazione, che segue le sorti del provvedimento sui figli, è soggetto a modificazioni ed è destinato a caducarsi ad esempio con la riconciliazione.

Infine, la difficoltà di classificare il diritto de quo come diritto reale nasce anche dalla considerazione della struttura del potere del suo titolare, il coniuge non ha un potere immediato sull’immobile, in quanto il godimento di esso non è garantito mediante una podestà sul bene medesimo, ma solo tramite la collaborazione del debitore. La posizione dell’assegnatario non instaura una rapporto tra il titolare e tutti i consociati, i quali avrebbero un obbligo negativo di astensione, ma un rapporto tra il titolare e colui che è temuto a cooperare affinché il godimento della cosa sia effettivo.

Si tratta insomma di un diritto relativo e non assoluto.

Considerato che la teoria della realità del diritto in questione non era sembrata, come si è visto, convincente a parte della dottrina ed alla giurisprudenza, alcuni autori ed una giurisprudenza minoritaria, hanno cercato di spiegare l’istituto ricorrendo allo schema del comodato a tempo determinato, art. 1803 cod. civ., la cui durata sarebbe determinabile per relationem e cioè finché non mutano le condizio­ni che hanno determinato l’attribuzione del diritto di godimento.[9]

Il coniuge in favore del quale opera l’assegnazione, diventerebbe comodatario con il diritto personale di servirsi della casa adibita a residenza fami­liare fino a quando non verranno meno i presupposti, dell’affidamento dei figli che escano definitivamente dal nucleo familiare.[10]

La prima obiezione a tale inquadramento deriva dalla gratuità del contratto di comodato: se viene meno la gratuità viene meno anche la figura tipica. Non vi è alcun dubbio che il giudice, nell’attribuire la casa del coniuge affidatario dei figli, dovrà poi tenerne conto alla fine in sede di quantificazione dell’assegno di mantenimento (ex art.155, ultimo comma, cod. civ.), nel senso che il coniuge estromesso dall’abitazione vedrà diminuire i propri obblighi patrimoniali, con il conseguente aggravio degli obblighi dell’altro coniuge. Questo aspetto economico è molto importante a fini pratici, poiché serve a quantificare gli obblighi patrimoniali, con il conseguente mutamento degli obblighi patrimoniali tra i coniugi, nel momento in cui il rapporto matrimoniale entra in crisi. Tenendo, dunque, conto del carattere essenzialmente gratuito del rapporto di comodato, sembra potersi escludere che il diritto dell’assegnatario sia configurabile come comodato. L’onerosità dell’attribuzione si desume dalla circostanza che l’assegnazione della casa familiare viene disposta nell’ambito di quei provvedimenti giudiziali che sono volti a regolare i rapporti patrimoniali fra i coniugi, nel momento in cui si verifica la crisi del rapporto matrimoniale. L’uso della casa comporta una utilità economica pari al ri­sparmio di spesa che deriverebbe dal pagamento del canone locatizio. Una conferma di ciò viene proprio dal fatto che il giudice, nella determinazione dell’assegno familiare di mantenimento a carico del coniuge non affidatario dei figli, deve considerare il valore del corrispettivo economico per il godimento dell’immobile adibito a residenza familiare, decurtandolo dall’ammontare complessivo dell’assegno stesso. Quanto alla possibile assimilazione del diritto dell’assegnatario a quello del comodatario, sembra da escludersi che la situazione giuridica nascente dall’assegnazione possa essere sussunta nel tipo del comodato a tempo determinato, anche in considerazione delle conseguenze che deriverebbero, sul piano operativo, da tale identificazione, ove si volesse applicare la disciplina relativa all’istituto del comodato

Come è noto, l’art. 1809 cod. civ., in materia di restituzione dell’immobile dato in comodato a tempo determinato, dispone al comma secondo che, se durante il termine convenuto, o prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, sopravviene un urgente ed impreveduto bisogno al comodante, questi può esigerne la restituzione immediata. Proprio questa disposizione sembra inapplicabile al caso di specie poiché fonte del diritto è il provvedimento giudiziale, così come le cause di estinzione devono essere preventivamente accertate dal giudice, non è ammesso che il coniuge proprietario della casa ottenga la restituzione del bene, se non quando i presupposti che hanno giustificato l’assegnazione all’altro coniuge siano venuti meno.[11]

Solo un provvedimento di revoca di quello precedente attributivo del diritto può fondare un obbligo di restituzione. E’ sottratta alla valutazione dell’obbligato, che non potrebbe, dunque, addurre i motivi di urgente bisogno, l’opportunità di estinguere il diritto del beneficiario. Il diritto dell’assegnatario scaturisce da un provvedimento dell’autorità giudiziaria e la cessazione del medesimo é del tutto sottratta alle regole proprie dei contratti in generale e del comodato in particolare.

Altro rilievo va fatto sotto il profilo garantistico: per dottrina costante, si ritiene che il principio emptio non tollit locatum, ap­plicabile al contratto di locazione non si applichi al comodato. La conseguenza é l’inopponibilità dell’assegnazione ai terzi ai quali sia stata alienata la cosa oggetto di assegnazione in comodato. Ciò è confermato dal fatto che 1’art.2643 cod. civ., non prevede la trascrizione del contratto di comodato. Ne1 caso di specie la conseguenza pratica potrebbe essere l’alienazione dell’immobile assegnato.

Esclusa anche questa configurazione, non resta che inquadrare la posizione del coniuge assegnatario quale titolare di un diritto personale di godimento eventualmente espressamente caratterizzato in termini di atipicità.

Nel composito panorama di opinioni, la dottrina prevalente ritiene preferibile qualificare il diritto in questione come un diritto personale di godi­mento, anche se la bipartizione fra diritti reali e diritti di credito sembra potersi interpretare in modo meno rigido dato che aumentano sem­pre di più quelle posizioni giuridiche soggettive che non possono collo­carsi né nell’una, né nell’altra categoria, in quanto assoggettabili ad una disciplina mista. Anche la giurisprudenza, quasi del tutto pacificamente, ripropone la ricostruzione come diritto personale di godimento, rispondendo meglio tale natura alla specifica funzione che l’assegnazione è destinata a soddisfare.

La circostanza decisiva che induce a qualificare il diritto dell’assegnatario ex art.155, comma quarto, cod. civ., è che il provvedimento giudiziale incide su un particolare assetto di interessi: si tratta di un rapporto complesso da cui sorgono per i coniugi diritti e doveri di natura patrimoniale e non patrimoniale che si giustificano reciprocamente in un rapporto sinallagmatico. Ciò che rende possibile il godimento dell’immobile attribuito ad un coniuge è la stretta collaborazione dell’altro e non la semplice astensione della generalità dei terzi.[12]

Certo é che il coniuge assegnatario non avente sulla casa familiare alcun preesistente diritto di godimento, né reale nè obbligatorio, diventa titolare di una situazione giuridica nuova, non tipizzata e quindi non assimilabile ad altri istituti che presentino limitate analogie. Poco senso avrebbe peraltro ricondurla ad un istituto tipico poi inidoneo a disciplinarla in ogni suo aspetto.

Per questo vanno sottolineati i presupposti del tutto particolari su cui si fonda tale diritto personale di godimento suis generis.

Fonte dell’assegnazione è un provvedimento del giudice, occasionato dalla necessità di regolare i riflessi patrimoniali dello scioglimento del vincolo matrimoniale. Gli interessi che vengono in considerazione sono contemporaneamente quelli dei coniugi e quelli dei figli per cercare di rendere meno traumatica la disgregazione familiare. In questa fase patologica del rapporto matrimoniale, infatti, è il coniuge affidatario della prole che generalmente beneficia dell’assegnazione.

Funzione dell’assegnazione è dunque quella di tutelare la famiglia, la cui identità sociale si riflette sui figli.

Effetto economico del provvedimento è quello di far risparmiare all’assegnatario, come detto, il corrispettivo che sarebbe dovuto in un normale rapporto di locazione, per questo motivo l’assegno di mantenimento andrà opportunamente diminuito allo scopo di riequilibrare le posizioni dei coniugi.[13]

Quanto alla durata del diritto in questione non sembra possibile condividere l’idea di chi, sia pure in riferimento alla formulazione dell’art. 155 cod. civ., lo ha ritenuto a tempo determinato, individuandone la scadenza al momento in cui il minore dei figli raggiunge la maggiore età.

Già in relazione alla vecchia formulazione di cui all’art. 155 cod. civ. diveniva lecito dubitare che in realtà quel diritto si estendesse fino al raggiungimento della indipendenza economica dei figli affidati, con conseguente inconfigurabilità di una determinazione di tempo. Questa ricorre ogni volta, a maggior ragio­ne, nel conforto del dato testuale offerto dall’art. 6 novellato, che si rife­risce alla convivenza di figli maggiorenni con il genitore affidatario.

Va inoltre segnalato che le situazioni relative ai figli deter­minano la caducazione del diritto solo allorché il provvedimento giudiziale abbia esplicitamente disposto l’assegnazione della casa familiare con unico riferimento ai loro interessi. Occorre ricordare tuttavia che la predetta assegnazione può avvenire anche in considerazione del concorrente interesse del coniuge assegnatario, così che il godimento di questi può continuare ad esistere anche dopo la cessazione della convivenza con i figli. Resta, infine, l’ipotesi dell’assegnazione disposta solo in favore del coniuge, perché non affidatario o in assenza di figli. Trattasi di ipotesi tutte ugualmente riconducibili, in un unico quadro sistematico, allo schema del diritto di godimento senza determinazione di tempo.

Il problema della natura del diritto dell’assegnatario, non pare possa affrontarsi prescindendo dalla considerazione che molto varia si presenta la tipologia delle situazioni originarie sulle quali il provvedimento di assegnazione va ad incidere. In linea di principio, sembra potersi affermare che, a seconda della diversa natura del titolo posto a fondamento del godimento comunitario del bene nella fase fisiologica della convivenze familiare, diversa sarà la posizione dell’assegnatario.

La situazione originaria attributiva del godimento non potrà, infatti, non riverberarsi sui diritti ed i doveri che derivano al coniuge beneficiario e la posizione dell’assegnatario resterà soggetta a quegli stessi limiti ed oneri che caratterizzavano ab origine la disponibilità del bene da parte della comunità domestica.

Non si sono posti particolari problemi interpretativi, in dottrina come in giurisprudenza, nelle ipotesi in cui l’alloggio fosse condotto in locazione da entrambi; ovvero da uno soltanto dei due coniugi, stante tra l’altro la previsione, ad opera dell’art. 6 della l. n.392/78, del meccanismo della successione a titolo particolare del contratto di locazione. Il disposto legislativo è stato, infatti, interpretato dalla giurisprudenza prevalente nel senso che “il coniuge al quale è attribuito il diritto di abitare nella casa coniugale succede all’altro nel rapporto di locazione in qualità di conduttore diventando così titolare dei diritti e delle obbligazioni che strutturano il rapporto e perciò anche dell’obbligazione di pagare i canoni”. E’ da segnalare, in proposito, che la giurisprudenza di legittimità abbia ritenuto che, in detta fattispecie, trovi applicazione la disciplina generale della successione a titolo particolare nella posizione negoziale di uno dei due contraenti. Pertanto, dalla premessa che il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare comporta una ipotesi di successione ex lege del contratto, la Suprema Corte ha desunto la conseguenza che il rapporto in capo al coniuge originario conduttore si estingue, non essendo più suscettibile di reviviscenza neanche nell’ipotesi in cui la cosa locata venga abbandonata dal coniuge separato nuovo conduttore.

Più complessa appare, invece, la questione della qualificazione giuridica del diritto attribuito al coniuge assegnatario, e, conseguentemente della disciplina applicabile, nell’ipotesi in cui il titolo alla base del godimento dell’immobile durante la convivenza familiare sia un diritto di proprietà vantato sul bene in via esclusiva o in comunione con terzi, dal coniuge estromesso. Abbiamo visto come si sia negata la realità del diritto, nonché la natura di comodato, e si sia arrivati a qualificare il diritto de quo, come un diritto personale di godimento, sia pure avente contenuto analogo a quello di un diritto reale, ma ove l’analogia dei contenuti non esclude la differenza della tipologia, senza che la mancata previsione di un corrispettivo economico per il coniuge estromesso configuri un contrasto con gli artt.li 3 e 42 Cost., rappresentando l’assegnazione una misura diretta a tutelare l’interesse della famiglia per cui rientra tra i limiti che possono essere apposti alla proprietà allo scopo di assicurare la funzione economico sociale.

Nelle ipotesi in cui l’immobile sia stato acquistato in comunione legale o di diritto comune, dai coniugi, si presenta il problema dell’ammissibilità della richiesta di divisione dell’immobile eventualmente avanzata da uno dei coniugi.

La posizione dell’acquirente pro quota, infatti, non sarà dissimile da quella del terzo avente causa dal coniuge esclusivo titolare, la giurisprudenza che ha affrontato la questione della divisibilità dell’immobile assegnato ad uno dei coniugi non ha trovato soluzioni univoche. Infatti, da un lato è stato sostenuto, che la domanda di divisione é inaccoglibile perché “il coniuge comproprietario della casa familiare sarebbe, di fatto, ancor meno tutelato del coniuge assegnatario che non sia titolare di alcun diritto reale: mentre, infatti, quest’ultimo ben potrebbe tutelare appieno nei confronti dell’altro coniuge titolare unico, il proprio diritto reale di abitazione mediante trascrizione dell’assegnazione; il coniuge assegnatario che sia addirittura nel contempo comproprietario della casa vedrebbe irrimediabilmente ridotto o addirittura vanificato il proprio diritto. Inammissibile, perché costituendo l’assegnazione della casa fami­liare una modalità del mantenimento, ogni modificazione che inerisca al provvedimento di assegnazione dovrebbe essere adottata con le forme e le garanzia procedurali di cui all’art.710 C.p.C., che regola, per l’appunto le modificazioni dei provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole conse­guenti alla separazione.

Una diversa conclusione, che pure é stata adottata in giurisprudenza, e che impedisce la divisione del bene allo scioglimento della comunione, significa pregiudicare e sostanzialmente espropriare, senza ragione alcuna, il proprietario pro quota dei diritti e delle facoltà che gli spettano in quanto contitolare del bene. Nei casi, tutt’altro che infrequenti, in cui il godimento dell’immobile adibito a casa familiare sia assicurato alla famiglia da un comodato, dovrà ritenersi che, estromesso uno dei coniugi dal godimento, l’assegnatario goderà della stessa situazione a titolo esclusivo, ovvero succederà all’altro nel rapporto, solo se quest’ultimo era parte nel relativo contratto. Le obiezioni a questa impostazione sono state già espressa nei paragrafi precedenti.

Per le ipotesi in cui il coniuge estromesso vanti un diritto reale in re aliena, il provvedimento del giudice non potrà comportare in capo all’assegnatario il trasferimento della stessa posizione goduta dal titolare; ma, analogamente a quanto previsto nei casi in cui escluso dal godimento sia il proprietario dell’immobile, è da ritenersi che il provvedimento giudiziale comporti un diritto personale di godimento a vantaggio dell’assegnatario.

Le classificazioni che si sono identificate non hanno un sapore astratto, infatti, il propendere per l’una o per l’altra delle accennate connotazioni vale a configurare in modo diverso la soluzione al problema de quo.

Inutile sottolineare come la tesi tendente ad individuare una situazione di carattere reale in capo all’assegnatario, da ricostruire secondo il modello del diritto di abitazione ex art. 1022 cod. civ., sia quella più attenta a tutelare le ragioni di quest’ultimo. In particolare nessun problema si presenterebbe al punto di vista dell’opponibilità ai terzi, dato che essa sarebbe garantita dall’immediata operatività della disciplina della trascrizione del provvedimento giudiziale ex art. 2643, n.4 e 14 cod. civ..[14]

Anche le ragioni del coniuge titolare escluso non sarebbero, in tale prospettiva, destinate ad essere del tutto pregiudicate: egli, infatti, non perderebbe la libera disponibilità dell’immobile, che potrebbe continuare a circolare, sia pure gravato dal diritto di abitazione derivante dall’assegnazione.[15]

Tuttavia la dottrina prevalente, oltre che la giurisprudenza di legittimità, hanno escluso, come visto, che si trattasse di diritto reale di abitazione sostenendo la tesi della personalità del diritto dell’assegnatario.[16]

Tale ricostruzione produce naturali conseguenze sul piano dell’inopponibilità del diritto de quo nei confronti dei terzi. Così la giurisprudenza di legittimità ha affermato, ripetutamente, che, qualora la casa assegnata ad uno dei coniugi fosse alienata dall’altro, proprietario dell’immobile, il terzo acquirente, in mancanza di esplicito accollo, non era tenuto a rispettare l’obbligazione dell’alienante nei confronti degli assegnatari, con la conseguenza che il diritto personale di abitazione, inesorabilmente veniva ad estinguersi. Agli assegnatari, pregiudicati dall’alienazione e dalla perdita di disponibilità del bene, rimaneva solo la possibilità di ottenere un adeguamento dell’assegno di mantenimento o, eventualmente, di far valere una responsabilità per danni nei confronti del coniuge proprietario e venditore.[17]

Un simile dibattito perse parte la sua ragion d’essere, allorché la questione dell’opponibilità del provvedimento di assegnazione a terzi fu definitivamente risolta a seguito della presa di posizione del legislatore che con la riforma della legge sul divorzio, nel 1987, sanciva espressamente, all’art. 6, comma 6, l. n. 898/70 che “l’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 del codice civile”.[18]

In sede di dibattito parlamentare era stato rilevato che l’opponibilità dell’assegnazione nei confronti del terzo proprietario locatore, prevista dall’art. 6 l. n. 392 del 1978, configurava una estensione della materia nel settore locatizio e rendeva ancor più inaccettabile la mancata previsione di una analoga opponibilità nell’ipotesi in cui il proprietario dell’immobile fosse l’ex coniuge.[19]

Fu così proposto un emendamento alla legge sul divorzio del seguente tenore: “L’assegnazione è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 del codice civile”.[20]

La formulazione non apparve integralmente satisfattiva delle esigenze oggetto di tutela, in considerazione della circostanza che l’art.1599 cod. civ., prevede un opponibilità limitata al novennio in assenza di trascrizione. Ritenendo, dunque, tale forma di pubblicità l’unica in grado di assicurare l’opponibilità del provvedimento di assegnazione al di là di quel limite temporale assegnato dalla norma, fu proposto ed approvato un sub emendamento consegnato alla locuzione “in quanto trascritta” dopo la parola “assegnazione”.

Tuttavia, nell’intenzione di mettere fine alla disputa giurisprudenziale circa la sufficienza o meno, ai fini dell’opponibilità all’avente causa, della conoscenza del provvedimento di assegnazione, si adottò una formulazione che, più che chiarificatrice del senso e della portata della norma, ha finito col compromettere la sua stessa intelligibilità creando un problema interpretativo.

Mentre, infatti, l’originaria dizione dell’emendamento, limitandosi al semplice richiamo della norma codicistica, individuava l’opponibilità dell’assegnazione nel novennio se non trascritta e, al di là di quel termine, solo in presenza della trascrizione; secondo la successiva formulazione della norma, la trascrizione sembrava operare in termini di presupposto condizionante l’applicazione dell’intero art. 1599 cod. civ. in entrambe le previsioni disciplinate, e quindi anche dell’opponibilità infranovennale; con la conseguenza che a parte l’effetto di dissonanza e contraddizione che ne risultava, la mancanza di trascrizione, nell’assetto della disposizione divorzistica, sembrava escludere integralmente ogni tipo di opponibilità derivante dall’art. 1599 cod. civ. al terzo acquirente.

Ciò posto si era tentato, con uno sforzo interpretativo, di recuperare l’effettiva intenzione del legislatore, proponendosi di individuare, al di là del dato testuale, un significato che si ponesse in termini di coerenza sistematica, identificando, dunque, la necessità del richiamo alla trascrizione, da un lato, come espressione di una scelta consapevole, sul piano delle qualificazioni giuridiche, intesa ad adottare una formula diversa dal meccanismo del diritto di abitazione in senso tecnico, e dall’altro, come mera conferma in favore dell’assegnatario che l’opponibilità da lui utilizzabile nei confronti del terzo acquirente non era solo quella infranovennale bensì anche quell’altra ulteriore, e senza determinazione di tempo conseguente all’assolvimento dell’onere della trascrizione.[21]

Il rinvio esplicito all’art. 1599 cod. civ., così, risultava giustificato, anche alla luce dei lavori parlamentari, nel senso di rendere comunque opponibile il provvedimento di assegnazione nei confronti del terzo acquirente per nove anni decorrenti dalla sua assunzione, in assenza di trascrizione.

Il riferimento a quest’ultima, se intervenuta, ribadiva la possibilità che a differenza di quanto accadeva ex art. 6 l. n. 392 del 1978 per l’assegnazione di casa condotta in locazione, tale opponibilità non avesse un termine finale precostituito e si estendesse oltre il novennio.

Infatti è noto, in proposito, che la norma da ultimo indicata prevede, in caso di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso, la successione ex lege nel contratto dell’altro coniuge cui sia stato attribuito il diritto di abitare nella casa familiare, con la conseguenza che la durata di tale diritto finisce col seguire quella del contratto di locazione. In questo senso si assiste a un primo rovesciamento di posizioni la norma divorzistica opera, quanto alla stabilità del diritto e alla sua conseguente opponibilità, su una posizione più avanzata rispetto a quella alla quale intendeva adeguarsi.

Alcuni autori avevano poi rilevato che l’opponibilità in questione, specie se conseguente alla trascrizione del provvedimento, poteva implicare gravissime remore alla circolazione del bene. Interrogandosi, tuttavia, sui rapporti che il terzo acquirente avrebbe dovuto instaurare in relazione alla utilizzazione economica dello stesso, non sembrava da escludere la possibilità che salvo diverse e specifiche pattuizioni in contrario inserite nell’atto di trasferimento e legate anche a particolari previsioni circa la misura e le modalità di versamento del prezzo di cessione, l’acquirente potesse richiedere e ottenere dall’alienante un corrispettivo proporzionale al canone dovuto per la locazione dell’immobile, restando sempre e comunque indenne l’assegnatario da ogni obbligo a titolo di corrispettivo nei confronti del nuovo titolare in quanto ciò che contava era l’effettività del godimento, mantenuto negli stessi termini in cui lo stesso era stato concesso.[22]

Laddove si trattasse, invece, di assegnazione di immobile soltanto locato, trattandosi di successione nel relativo contratto, il soggetto tenuto al pagamento dei canoni nei confronti del proprietario locatore non avrebbe potuto che essere l’assegnatario, salvo rivalsa nei confronti dell’altro coniuge se così fosse stato stabilito nel provvedimento del giudice o da questo fosse desumibile, a meno che i doveri economici dell’altro coniuge non risultassero già integralmente soddisfatti dalla erogazione degli assegni posti a suo carico.[23]

Il principio introdotto dal legislatore in tema di divorzio non indusse, comunque la giurisprudenza di legittimità ad estendere interpretativamente la nuova disciplina anche alle ipotesi di assegnazione della casa familiare nel corso del giudizio di separazione personale dei coniugi: fu infatti necessario un intervento della Corte Costituzionale che, risolvendo ogni dubbio in proposito, dichiarava l’illegittimità dell’art. 155, comma 4°, cod. civ. “nella parte in cui non prevede l’opponibilità al terzo acquirente del provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario ella prole mediante trascrizione” apparendo “del tutto priva di giustificazione” a parere della Consulta, la diversità di disciplina tra le due situazioni, “ispirate all’eadem ratio dell’esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale della prole”.[24]

Se allo stato attuale non è più possibile dubitare dell’opponibilità ai terzi dell’assegnazione della casa familiare, tuttavia la dizione non chiara del nuovo testo dell’art. 6, sesto comma, l. 898/70, allorché rinvia all’art. 1599 cod. civ., nonché la lacunosità della pronuncia n.454/89 della Corte Costituzionale, lasciano sussistere perplessità circa le condizioni e i limiti dell’opponibilità ai terzi dell’assegnazione.

Del rinvio possono farsi essenzialmente due letture.[25]

La prima ritiene richiamata nel suo complesso la norma dell’art. 1599 cod. civ., cioè sia il primo comma (secondo cui il contratto di locazione è opponibile al terzo acquirente, anche se non trascritto, se ha data certa anteriore all’alienazione), sia il comma terzo, che subordina l’opponibilità alla trascrizione a seconda che il rapporto di locazione duri nove anni o più. La seconda ritiene richiamato solo il primo comma riconducendo così l’opponibilità del diritto all’adempimento sempre e comunque degli oneri di trascrizione. La trascrizione, infatti, è riferita dalla norma al provvedimento di assegnazione senza minimamente distinguere tra assegnazione infra e ultranovennale, con la conseguenza che il provvedimento andrebbe trascritto in ogni caso, anche se l’assegnazione fosse destinata a durare per un periodo breve.[26]

La decisione della Corte Costituzionale non aveva quindi chiarito se il provvedimento di assegnazione fosse opponibile, ai sensi dell’art. 1599, primo comma, solo quando esso fosse stato trascritto ovvero, anche se non trascritto, nei limiti di un novennio dalla data del suddetto provvedimento, applicandosi così l’intera disciplina dell’art. 1599 cod.civ.

Con successiva ordinanza la Corte Costituzionale chiariva la portata della precedente pronuncia, interpretandola e integrandola, affermando come l’onere di trascrivere il provvedimento di assegnazione in caso di separazione, ai fini della sua opponibilità ai successivi acquirenti dell’immobile, riguarda, in analogia con la normativa vigente in materia di divorzio ed ai sensi dell’art. 1599 cod.civ., la sola assegnazione ultranovennale, “ferma restando l’opponibilità del provvedimento in tutte le altre ipotesi”.[27]

Anche se contenuta in una semplice ordinanza e, dunque, a rigore non vincolante al di là del procedimento cui si riferisce, la pronuncia interpretativa della Corte non può essere ignorata e costituisce un argomento decisivo a favore della tesi che propugna un’integrale applicabilità dell’art. 1599 cod. civ. all’assegnazione della casa familiare sia in sede di separazione che di divorzio.[28]

Parte della dottrina, nonché alcune pronunce giurisprudenziali di merito successive agli interventi della Corte Costituzionale hanno tuttavia sostenuto che il provvedimento di assegnazione della casa familiare è opponibile ai terzi esclusivamente mediante trascrizione, dovendosi ritenere che l’art. 6, 6° comma richiami solo il primo comma dell’art. 1599 cod. civ. In tal senso l’inciso della norma “in quanto trascritta” sembra costituire un argomento insuperabile a favore della tesi della necessità della trascrizione.[29]

Viene inoltre sottolineata la natura eccezionale dell’art. 1599 cod. civ., nella parte in cui consente che il diritto personale di godimento possa essere fatto valere nei confronti dei terzi, che quindi impedirebbe l’estensione analogica della disciplina della locazione alla situazione del coniuge assegnatario della casa familiare.[30]

In realtà, se si vuole dare un senso al rinvio operato dalla norma sul divorzio, in accordo con gli intenti perseguiti dal legislatore in ordine al rafforzamento della posizione dell’assegnatario della casa familiare il rinvio stesso è da interpretare come rivolto all’intero art. 1599 cod. civ, e pertanto anche, e principalmente, alle ipotesi in cui non vi sia stata trascrizione del provvedimento di assegnazione, senza che possa opporsi in proposito l’eccezionalità dell’art. 1599, essendo letterale il richiamo alla norma.[31]

A rafforzare tali affermazioni vi è anche un rilievo sistematico: l’art. 6, 2° comma, L. n. 392/78, prevede, come si è visto, per i casi di separazione o divorzio la successione ex lege nel contratto per il coniuge cui sia stato attribuito dal giudice il diritto di abitare nella casa familiare: sarebbe incongruo che il legislatore prevedesse, per il coniuge assegnatario, un trattamento deteriore nel caso in cui il coniuge estromesso sia titolare di un diritto reale, rispetto all’ipotesi in cui possa vantare un semplice diritto personale di godimento, il che avverrebbe se si ritenesse sempre richiesta la trascrizione ai fini dell’opponibilità.[32]

E’ possibile quindi affermare in maniera definitiva, sulla scia delle più recenti pronunzie della Corte di Cassazione, che la disciplina dell’art. 1599 cod.civ., per il quale le locazioni di durata inferiore ai nove anni sono comunque opponibili al terzo senza che occorra la trascrizione, è applicabile integralmente sia al divorzio che alla separazione, avendo la Corte Costituzionale equiparato il regime dell’assegnazione a quello della locazione.[33]

Autorevole dottrina ha altresì sottolineato che, a sostenere la tesi contraria, il diritto all’abitazione assumerebbe proprie e autonome connotazioni e finirebbe per ricadere sotto la previsione generale dell’art. 2644 cod. civ., riguardante gli effetti della trascrizione. Se il legislatore avesse voluto prevedere l’inopponibilità in assoluto avrebbe richiamato tale ultimo articolo e non già l’art. 1599 cod. civ. Sennonché il preciso rinvio all’art. 1599 cod. civ. non può non comportare una assimilazione quoad effectum del diritto dell’assegnatario al diritto di locazione ultranovennale, prevista ai fini della trascrizione, dall’art. 2643 n. 8.[34]

In tal senso si ritiene che il provvedimento di assegnazione vada definitivamente ricompreso nell’ambito della previsione di cui all’art. 2643 n. 14, il quale prevede tra gli atti soggetti a trascrizione anche le sentenze che operano la costituzione, il trasferimento o la modificazione di uno dei diritti menzionati nei numeri precedenti, ovvero, nel nostro caso il n. 8.[35]

Va precisato che il provvedimento di assegnazione in sede di separazione è di regola costituito dall’ordinanza presidenziale ex art. 708 c.p.c. con la quale vengono presi i provvedimenti temporanei e urgenti per i coniugi e i figli. Tale ordinanza, si ritiene, potrà essere trascritta ai sensi dell’art. 2645 cod. civ., il quale prevede che “deve rendersi pubblico ogni altro atto o provvedimento che produce in relazione a beni immobili o diritti immobiliari alcuni degli effetti dei contratti menzionati nell’art. 2643 cod. civ.”, mentre la successiva sentenza andrà annotata a margine della trascrizione ed a sua volta trascritta autonomamente ex art. 2643 n. 14.[36]

Per quanto riguarda il divorzio la prassi giudiziaria esclude che in sede di provvedimenti presidenziali ex art. 4, 8° comma, 1. 898/70 si possano modificare le condizioni della separazione, dal momento che, a tal fine, i coniugi avrebbero potuto adire il giudice ordinario in sede di modificazione delle condizioni della separazione ai sensi dell’art. 710 c.p.c.

Si dovrebbe così procedere alla trascrizione della sola sentenza di divorzio, la quale dovrà, peraltro, essere anche annotata a margine della trascrizione del provvedimento di separazione, il quale viene meno.[37]

La giurisprudenza di legittimità ha precisato che l’opponibilità, nei confronti del terzo titolare del diritto di proprietà, del provvedimento di assegnazione della casa al coniuge divorziato o separato, riguarda le ipotesi in cui detta titolarità sia stata acquisita dopo l’indicato provvedimento, mentre, nel caso in cui l’acquisto della proprietà stessa sia anteriore, il relativo diritto non può essere pregiudicato dalla assegnazione.[38]

La giurisprudenza ha fatto applicazione di questo principio pure nel caso in cui il diritto del coniuge non assegnatario consisteva in un uso precario e gratuito della casa familiare, concessogli dal genitore, con la conseguenza di accogliere la domanda di restituzione avanzata da quest’ultimo nei confronti del coniuge assegnatario, poiché la proprietà dell’immobile risultava acquisita in epoca anteriore rispetto al provvedimento di assegnazione[39].

Le conclusioni sinora sviluppate possono apparire inique nei confronti del terzo in buona fede che, nel diverso caso della locazione, vede bilanciata l’opponibilità infranovennale con il subentro nel pagamento del canone. La dottrina sottolinea, però, che nell’ipotesi in cui il proprietario abbia alienato l’immobile tacendo all’acquirente il provvedimento giudiziale di assegnazione, il terzo potrebbe agire per ottenere l’annullamento del contratto per errore essenziale e riconoscibile su una delle qualità dell’oggetto della prestazione, determinante del consenso, ed il venditore potrebbe rispondere a titolo di responsabilità precontrattuale per aver taciuto il godimento dell’altro coniuge, rimanendo tenuto al risarcimento del danno nei confronti del contraente in errore.[40]

Con riferimento, invece, alla analoga situazione in cui la posizione giuridica del coniuge estromesso non corrisponde a quella di proprietario bensì a quella di comodatario dell’immobile, è da registrare un contrasto di giurisprudenza.

Difatti, secondo un primo orientamento il coniuge assegnatario della casa familiare ex art. 155, 4° comma, c.c., subentrando per effetto del provvedimento di assegnazione nella medesima posizione giuridica dell’altro coniuge, nella specie comodatario dell’appartamento, è tenuto a subire, ai sensi dell’art. 1810 cod.civ., gli effetti del recesso del comodante, non essendo opponibile ai terzi il provvedimento di assegnazione, attributivo non di un diritto reale, ma di un diritto atipico di godimento.[41]

In tal senso viene precisato che l’opponibilità al terzo acquirente dell’assegnazione della casa familiare in sede di separazione o divorzio, in seguito alla trascrizione del relativo provvedimento, corrisponde al contenuto del preesistente titolo in base al quale i coniugi godevano dell’immobile, la cui natura rimane immutata, e ciò in accordo con gli effetti meramente dichiarativi della trascrizione degli atti di disposizione di beni immobili, previsti dall’art. 2644 c.c.[42]

Difformemente, sia pure con riferimento all’ipotesi in cui il proprietario comodante rivesta tale qualità da epoca anteriore al provvedimento reso dal giudice (e quindi non possa considerarsi terzo acquirente ai fini della necessità della trascrizione) si pone un’altra pronuncia della S.C., ad avviso della quale nel caso in cui “il provvedimento di assegnazione della casa familiare si renda opponibile e quando l’alloggio in questione sia utilizzato dai coniugi in virtù di un comodato senza predeterminazione di un termine finale, la durata dell’utilizzazione dell’immobile è governata dalla disciplina fissata dal provvedimento giurisdizionale di assegnazione, e non da quella propria del rapporto originario di comodato”.[43]

In realtà tale pronuncia, non appare ai più condivisibile, e pare destinata a rimanere isolata in base ai nuovi orientamenti della Corte, laddove si ritiene che, in linea di principio, la posizione dell’assegnatario dovrebbe riportarsi al titolo posto a fondamento del godimento dell’immobile da parte della famiglia nel periodo della convivenza matrimoniale, senza che, per effetto del provvedimento giudiziale, possano ampliarsi i diritti dell’assegnatario e comprimersi quelli dei terzi.[44]

In tal senso la Corte di Cassazione ha escluso che il richiamo all’art. 1599 cod. civ. operato dall’art. 6, comma 6° l. div., possa comportare il conferimento al coniuge assegnatario di “presidi ulteriori rispetto a quelli … già previsti dall’ordinamento”. Invero, rileva la Corte, “nel riferirsi alle disposizioni sulla locazione, il richiamo indicato non integra una norma a fattispecie esclusiva, ma ha avuto riferimento ai casi più frequenti di godimento della casa coniugale e non esclude, quindi, che lo stesso sistema di opponibilità si applichi ad altri titoli di godimento senza mutarne la natura”.[45]

Quindi si può ritenere che, come nell’ipotesi di locazione, così nel caso in cui il godimento dell’immobile da parte del nucleo familiare sia stato acquisito a seguito di comodato, il rapporto si trasferirà in capo all’assegnatario con lo stesso contenuto originario, con la conseguenza che entrambe le parti dovranno rispettare gli accordi originariamente intercorsi.

Recependo il principio dettato in sede Costituzionale, altre pronunce hanno affermato che è opponibile anche l’assegnazione disposta in sede di separazione consensuale omologata, laddove viene ammessa la trascrivibilità del verbale di separazione consensuale contenente attribuzioni patrimoniali immobiliari a titolo di diritto personale di abitazione.[46]

Infatti, se è vero che l’art. 155 cod. civ., 4° comma, concerne l’assegnazione disposta con provvedimento del giudice, non si può dubitare che gli effetti della declaratoria di incostituzionalità si riflettano anche sull’assegnazione che trova il suo fondamento nella volontà espressa dalle parti in occasione di una separazione consensuale in quanto si tratta di un aspetto che, riguardando l’interesse dei figli, attiene ai tratti fondamentali dell’istituto della separazione, sia che questa tragga origine dal provvedimento del giudice, che dalla volontà delle parti.[47]

E perciò, in applicazione dell’art. 2645 cod. civ., deve riconoscersi la trascrivibilità di questo diritto, avendo esso il medesimo contenuto e i medesimi effetti del diritto attribuito al coniuge affidatario dei figli nella separazione giudiziale.[48]

Tuttavia parte della dottrina dubita che il verbale di separazione, sia pure omologato, possa costituire titolo idoneo alla trascrizione da un punto di vista formale. In tal senso non si accetta la tesi, di origine giurisprudenziale, secondo la quale il verbale di separazione costituisce atto pubblico, quindi trascrivibile ai sensi dell’art. 2657 cod. civ., in quanto il Presidente del tribunale è un pubblico ufficiale, e riceve le dichiarazioni delle parti formando egli stesso il verbale, cioè l’atto.[49]

In tal senso si ritiene che l’accordo di separazione, pure omologato, non costituisca un atto pubblico suscettibile di trascrizione, dovendosi a tal fine ripetersi l’atto innanzi al notaio, il solo che possa dare pubblica fede agli atti soggetti a trascrizione e riceverli senza necessità di espressa autorizzazione di legge caso per caso, come è, invece, per gli altri pubblici ufficiali.[50]

La trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare, infine è ammesso anche quando il diritto reale sull’immobile è in comune tra i due coniugi, al fine di garantire la quota appartenente all’assegnatario.

Con riferimento alla pubblicità della nuova situazione giuridica venutasi a creare con il provvedimento giudiziale di attribuzione della casa familiare, ci si chiede innanzitutto se sia applicabile la norma dell’art. 2655 cod. civ. (Annotazione di atti e di sentenze), che prevede l’annotazione a margine di una precedente trascrizione. In tal caso si tratterebbe di una registrazione accessoria, riferita ad una pubblicità già esistente.

L’altra alternativa, ritenuta preferibile, è che trovi applicazione l’art. 2643 n. 14 in combinato disposto con l’art. 2643 n. 4 cod. civ., relativi alla trascrizione di quei provvedimenti giudiziali (testualmente: «sentenze ») che costituiscono o modificano il diritto di abitazione, qualora si intenda per sentenza qualsiasi pronuncia giudiziale in senso lato che non abbia necessariamente la forma della sentenza.

Quanto alle modalità in base alle quali si attua la trascrizione, al conservatore dei registri immobiliari dovranno essere presentate, in base alla previsione dell’art. 2658 cod. civ. (atti da presentare al conservatore), una copia autentica della sentenza, o del provvedimento presidenziale che dispone l’assegnazione e una nota di trascrizione in doppio originale che dovrà contenere tutte le indicazioni prescritte dall’art. 2659 cod. civ. (dati anagrafici del beneficiario del provvedimento, il titolo di cui si chiede la trascrizione, l’autorità che ha pronunciato il provvedimento, la natura e la situazione dei beni cui si riferisce il titolo), in modo che la situazione giuridica venga esattamente individuata.

Quanto alla individuazione dei soggetti tenuti all’adempimento di questo onere pubblicitario, sembra potersi concludere che la trascrizione vada richiesta dal soggetto beneficiario dell’attribuzione, per rendere opponibile il godimento dell’immobile al terzo avente causa dal coniuge estromesso dalla casa.

La legge non è esplicita in materia, e si potrebbe pensare che il compito di eseguire le formalità previste spetti al cancelliere del Tribunale che ha pronunciato la sentenza di divorzio o il provvedimento di attribuzione della casa in sede di separazione anche perché l’art. 6 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347 e successive modifiche, che approva il T.U. delle disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale, prevede che i cancellieri. per gli atti e i provvedimenti soggetti a trascrizione da essi ricevuti o ai quali essi abbiano comunque partecipato, devono richiedere la formalità entro il termine di trenta giorni dalla data dell’atto o del provvedimento ovvero della sua pubblicazione.

Ciò peraltro non esclude che sia il coniuge stesso ad incaricarsi di trascrivere l’atto a suo favore (per una questione di celerità e di sicurezza), presentando al Conservatore la documentazione e curando l’adempimento degli oneri tributari.

In primis va versata l’imposta ipotecaria che va commisurata all’imponibile determinato ai fini dell’imposta di registro) o dell’imposta sulle successioni e donazioni.

A questo punto è rilevante la qualificazione del diritto (in termini di realità o di personalità) ai fini della determinazione della base imponibile, su cui calcolare l’imposta di registro.

Ex art. 43 del dpr. 26 aprile 1986, n. 131 la base imponibile su cui calcolare l’imposta di registro è data, per i contratti costitutivi di diritti reali (usufrutto, abitazione), dal valore del bene (cioè il valore venale in comune commercio: art. 43, n. 1. lettera a. e art. 51).

Per i contratti diversi, aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, dall’ammontare del corrispettivo in denaro (nel contratto di locazione è il canone dovuto dal conduttore).

L’ambito di applicazione delle norme sopraccitate è chiarito dall’art. 12 del dl. del 14 maggio 1988, n. 70 convertito nella legge 13 maggio 1988 n. 154, entrato in vigore dal 14 maggio 1988, al punto 3: « Le disposizioni del presente articolo si applicano agli atti pubblici formati, agli atti giudiziari pubblicati o emanati e alle scritture private autenticate a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto nonché alle scritture private non autenticate presentate per la registrazione e alle successioni aperte da tale data ».

Le affermazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale n. 459/89 citata, si sono rivelate importanti anche per lo sviluppo della giurisprudenza sul punto dell’ammissibilità della domanda di divisione della casa familiare promossa dal coniuge non assegnatario dell’alloggio coniugale in ipotesi di comproprietà.

Prima di tale sentenza, infatti, mentre da una parte si escludeva che potesse essere proposta domanda di divisione dell’immobile, traendo ragione dalla necessità di garantire in qualche modo il coniuge assegnatario, in assenza di norme esplicite a ciò poste dall’altra si affermava il contrario.[51]

Dopo la dichiarazione di incostituzionalità del quarto comma dell’art. 155 cod. civ., la trascrizione del provvedimento di assegnazione rende immutabile la destinazione dell’immobile fino a quando ne ricorrano i presupposti. Quindi la giurisprudenza si è pronunciata più volte per l’ammissibilità della domanda di divisione, e quindi dello scioglimento della comunione legale, ma con preferenza per l’assegnazione in proprietà dell’intera casa al coniuge affidatario della prole, previo accertamento della non comoda divisibilità dell’appartamento.[52]

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L’assegnazione della casa familiare in caso di separazione o divorzio

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[1] G.CHIANTERA, La casa familiare dopo i divorzio, in Il diritto di famiglia e delle persone, 1988, II, p.1514 e seg.

[2] E. ANDREOLA, Sull’opponibilità dell’assegnazione della casa familiare nella separazione coniugale in Riv. Diritto Civile, 1994, I, p.348

[3] GRASSI, La separazione personale dei coniugi nel nuovo diritto di famiglia, Napoli, 1975, pp.166 e segg; BIANCA, Diritto Civile, II, Milano, 1985, p.159; TAMBURRINO, Lineamenti del nuovo diritto di famiglia italiano, Torino, 1976, p.277; AMAGLIANI, Separazione e assegnazione della casa familiare in Rassegna del diritto civile, 1982, p.20, nota 55

[4] B. MINUNNO, Le nuove leggi civili commentate, in N. LIPARI Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, Padova, 1989, p. 264 e segg..

[5] F. CIPRIANI, E. QUADRI, La nuova legge sul divorzio, II, Napoli, 1988, p. 224 e segg..

[6] B. MINUNNO, Le nuove leggi civili commentate, in N. LIPARI Nuove norme sulla disciplina dei casi.., op. cit.

[7] La realità del diritto dell’assegnatario appare comunque di difficile adattamento sul piano operativo. Ad esempio ci si chiede se tutte le norme che regolano l’usufrutto, richiamate espressamente dalle disposizioni relative al diritto di abitazione, siano applicabili al caso di specie. In particolare ci si domanda se la causa di estinzioni dell’usufrutto, cioè l’abuso che l’usufruttuario del suo diritto, alienando i beni o deteriorandoli o lasciandoli andare in perimento per mancanza di ordinarie riparazioni sia applicabile anche al diritto attribuito all’assegnatario. Se, infatti, l’assegnatario della casa familiare dovesse compiere uno degli atti sopraddetti, non sarebbe sufficiente per l’estinzione del diritto accertare giudizialmente la causa estintiva, ma sarebbe necessario un provvedimento di revoca di quello precedente attributivo del godimento, un provvedimento cioè costitutivo negativo.

[8] Cass. Civ., 16/10/1985 n. 5082, in Foro It., 1986, I, p. 1317, e in Giust. Civ.,1986, I, p. 701 e in dir. Famiglia, 1986, p. 43 e in Nuova giur. Civ., 1986, I, p. 353.

[9] FINOCCHIARO, Riforma del diritto di famiglia, III, Milano, 1979, p. 293 e segg.; Cass. Civ., 7/05/1983, n. 3111, in Dir. Famiglia, 1983, p. 928; ancora Cass. Civ., 2/04/1992 n. 4016 in Mass. Giust. Civ., 1992, fasc. 4.

[10] M. DI NARDO, L’assegnazione della caa familiare: evoluzione legislativa ed attuali orientamenti giurisprudenziali in Nuova Giust. Civ. e Comm., 1988, II, p. 342 e segg., Cass. Civ., 20/10/1997 n.10258 in Nuova Giustizia Civ. Comm.1998.

[11] R. GRINGERI Presente e passato dell’assegnazione della casa familiare in Quadrimestre, 1988, p.788; G. CHIANTERA, La casa familiare dopo il divorzio in Diritto di Famiglia e Persone, II, 1988, p. 1515.

[12] Nel senso che l’assegnazione della casa familiare sia una modalità per dare sistemazione ai rapporti patrimoniali fra i coniugi si è espressa la sentenza Cass. Civ. 15/05/1993 n. 5567 in Riv.Dir. Civ.,1994, I, p. 354, nota 36

[13] Va precisato che la problematica relativa alla qualificazione de diritto dell’assegnatario della casa coniugale si pone nell’ipotesi in cui l’altro coniuge sia proprietario dell’immobile attribuito in godimento con provvedimento del giudice. Se invece questi fosse solo conduttore opererebbe la disposizione dettata in materia di locazioni art. 6 L. 27/07/1978 n. 392 e successive modifiche.

[14] Trib. Catania, 11/07/1985 in Rep. Foro it., 1994, voce Separazione dei coniugi, n. 65

[15] Cass. 31/01/1986 n.624 e 16/10 1985 n. 5082 in Foro it., 1986, I, 1318.

[16] In giurisprudenza nel senso che il diritto derivante dall’assegnazione sia un diritto di godimento atipico Cass. 5/07/1988 n.4420, Dir. Fam. Pers., 1988, II, p.1650, e più recentemente Cass. 17/10/1992 n.11424, Rep. Foro It.,1992, voce cit. n.64. In dottrina ritengono si tratti di diritto personale M.MANTOVANI, La separazione personale tra i coniugi – aspetti sostanziali – in Enciclopedia Giuridica Treccani, XXVII, Roma, 1992, p.27; F. FINOCCHIARO, Il matrimonio, art. 150 – 158, in Commentario del Codice Civile Scialoja – Branca, Roma, 1993, p.415; M. DOGLIOTTI, La separazione personale tra i coniugi ed il divorzio, 1995, p.90; JANNARELLI, L’assegnazione della casa familiare nella separazione personale dei coniugi, Foro it., 1981, I, p.1389; G. OBERTO, Assegnazione consensuale della casa familiare nella crisi coniugale, parte prima, Fam. e dir., 1998, p.464.

[17] Nel senso dell’opponibilità a terzi del diritto personale di godimento JANNARELLI op. cit., p.1391; Trib. Lucca 11/02/1983 in Giur. It., 1986, I, 2, p.75 Contra Cass. 31/01/1986 n.624, in Rep. Foro it., 1986, voce cit., n.62; Cass. 5/07/1988 n.4420 in Dir. Fam. pers., 1988, II, p.1650

[18] In giurisprudenza, il problema dell’opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione della casa familiare anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 74/1987, era stato risolto in senso negativo da Cass. 16 ottobre 1985, n. 5982, in Diritto di famiglia e delle persone, 1986, 43, in Giust. civ., 1986, I, 70, con nota di A. FINOCCHIARO, in Foro it., 1986, 1, 1317, con nota di JANNARELLI, in Nuova giur. civ. comm., 1986, I, 353, con nota di Di NARDO; Cass. 31 gen­naio 1986 u. 624, in Foro it., 1986, I, 1317, con nota, cit., di JANNARELLI, in Giur. it., 1987, I, 1, 1291, con nota di MARCHIO, in Vita not., 1986, I, 193, con nota di CAPUTO-BIYITITTA.

[19] Cfr. Atti parlamentari, Senato della Repubblica, IX, res. Sten., 562 seduta, 18/02/1987, 026/562 – L -b.

[20] G.MINUNNO, Le nuove leggi civili commentate, in N. LIPARI Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento cit.,p.268

[21] G.MINUNNO, Le nuove leggi civili commentate,.. cit.,p.269

[22] JANNARELLI, L’assegnazione della casa familiare nella separazione personale dei. op. cit.; G.MINUNNO, Le nuove leggi civili commentate, in N. LIPARI Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento cit.,p.270

[23] Dopo la legge 74/1987, cfr. comunque, anche con riferimento alla giurisprudenza di merito: Cass. 9 febbraio 1990 n. 901, in Diritto di famiglia e delle persone, 1990, 814; Cass. 22 dicembre 1988 n. 7010, ibidem, 1989,79; Cass. 17 marzo 1989 n.1315, ibidem, 558; Trib. Mantova 25 maggio 1989, ibidem, 720; Cass. 1 lu­glio 1987 n. 5750, ibidem, 1988, 183; Cass. 23 luglio 1987 n. 6424, ibi­dem, 791; Cass. 11 novembre 1986 n. 6570, ibidem, 1987, 147; Trib. Cata­nia 11 luglio 1986, ibidem, 228; Cass. 23 marzo 1987 n. 2838, ibidem, 621;Cass. 30 gennaio 1985 n. 578, ibidem, 1985, 487; Trib. Roma 4 aprile1985, ibidem, 629; Cass. 9 dicembre 1983 n. 7303, ibidem, 1984, 64; Trib.Lucca 4 ottobre 1983, ibidem, 167; Trib. Siena 19 gennaio 1983, ibidem 572; Trib. mm. Roma 25 giugno 1984, ibidem, 1051; Cass. 1 febbraio 1983 n.858, ibidem, 1983, 485; Cass. 19 ottobre 1981 n. 5446, ibidem, 1982,409; Cass. 21 ottobre 1981 n. 5507, ibidem, 422; Cass. sez. un. 23 aprile1982 n. 2494, ibidem, 1204; Cass. 18 giugno 1982 n. 3734, ibidem, 1224;Cass. 7 settembre 1982 n. 4843, ibidem, 1233; cfr. anche Trib. Palermo 18 giugno 1981, ibidem, 1981, 813. In dottrina il problema de quo è stato principalmente affrontato da TRABUCCHI, Un nuovo divorzio. Il contenuto e il senso della riforma, in Riv. dir. civ., 1987, I, 125; E. QUADRI, in CIPRIANI-QUADRI, La nuova legge sul divorzio, II, Jovene, Napoli, 1988, 231; CECCHERINI, Brevi osservazioni in tema di assegnazione della casa familiare, in La riforma del divorzio, Atti Conv. Napoli, 22 maggio 1987, Jovene, Napoli, 1988, 185; BELVEDERE, Residenza e casa familiare: riflessioni critiche, in Riv. crit. dir. priv., 1 988, 285; MAGGIO, L’assegnazione della casa familiare nelle fasi patologiche della vita coniugale, in Giur. it., 1988, I, 1, 623; DE MARI, Assegnazione della casa familiare e poteri del giudice in sede di separazione e di divorzio, in Giur. it., 1989, I, 1, 1508; PRINCIGALLI, Nota a Cass. 5 luglio 1988 n. 4420, cit., in Foro it., 1989, 1, 2573.

[24] Corte Costituzionale, 27/07/1989, n. 454 in Foro it., 1989, I, 3336

[25] E. ANDREOLA, Sull’opponibilità dell’assegnazione della casa familiare nella separazione coniugale cit., p.356

[26] G. GABRIELLI., Pubblicità legale e circolazione dei diritti: evoluzione stato attuale del sistema, in Riv. dir, civ., 1988, I, 433.

[27] Ordinanza della Corte Cost., 23 gennaio 1990, n. 20, Giur. Cost.,1990, 1, 54, con cui si è dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Pretore di Firenze con ordinanza del 26 aprile 1989, Giur. Cost., 1989, Il, 1851, su questa parte dell’art. 155 4° comma cod. civ., in quanto già dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza 454/89. Nello stesso senso Cass. 10dicembre 1996, n. 10977, Fam. e dir., 1997, p.172.

[28] In tal senso CATENACCI, Assegnazione della casa familiare di proprietà comune ad uno dei due coniugi, sua opponibilità ai terzi e ammissibilità della domanda di scioglimento della comunione, in Vita not., 1994, p.1151; DE FILIPPIS/CASABURI, Separazione e divorzio nella dottrina e giurisprudenza, 1998, p.317. Al contrario, coloro che sostengono l’avversa tesi della necessità della trascrizione in ogni caso ai fini dell’opponibilità fanno leva sulla natura meramente processuale dell’ordinanza emanata dalla Corte in sede di dichiarazione di manifesta infondatezza della questione di illegittimità Costituzionale: cfr. ANDREOLA, Sull’opponibilità dell’assegnazione della casa familiare nella separazione coniugale..cit., p.359.

[29] Trib. Bologna 27 ottobre 1992, Vita not., 1994, p.1141, con commento critico di Catenacci, cit. Corte d’Appello di Cagliari 16 maggio1994, Rep. Foro it., 1995, voce cit., n. 104

[30] GRASSANO, L ‘inopponibilità a terzi dell’assegnazione della casa familiare avvenuta ai sensi dell’art. 155,4° comma cod.civ., in Stato civile, 1,p.254; Cass. 28 marzo 1990, n. 2529, Dir. fam. pers., 1991, p.73, con commento critico di DI NARDO, Coniuge assegnatario ex art. 155 cc. della casa familiare ed opponibilità ai terzi del godimento dell’immobile, che pur dopo l’intervento della Corte Costituzionale continua a ritenere inopponibile ai terzi l’assegnazione della casa familiare, indipendentemente dalla trascrizione. In quest’ultimo senso, in materia di separazione consensuale Cass. 17 ottobre 1992, n. 11424, Rep. Foro it., 1992, voce Separazione dei coniugi, n. 64

[31] Così DI NARDO, op. cit., 82; CATENACCI, op. cit., p1149.

[32] DE RITA, Diritto di abitazione nella casa familiare e opponibilità ai terzi acquirenti del provvedimento di assegnazione ,in Giur. Cost., 1990, p.917. Secondo GAZZONI, La trascrizione immobiliare, Codice civile commentato Shlesinger, 1998, p.340, però, il legislatore, con il richiamo alla trascrizione, ha inteso ribadire che il provvedimento di assegnazione è a tempo indeterminato, o meglio con termine finale incerto, e quindi, a tutti gli effetti come provvedimento ultranovennale.

[33] E’ uno dei principi di diritto affermati da Cass. 10 dicembre 1996. n. 10977, in Giur. it., 1977, 1, p.1510, con nota critica di QUARANTA, Osservazioni in tema di opponibilità ai terzi del provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare, sia pure con riferimento al caso, analizzato più ampiamente infra, in cui l’alloggio veniva utilizzato dai coniugi prima della separazione in virtù di un contratto di comodato. Più recentemente Cass. 18 agosto 1997, n. 7680, in Giust. civ. Mass. 1997,1442, ha ribadito il principio affermando che “il provvedimento di assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi all’esito del procedimento di separazione personale non è idoneo a costituire un diritto reale di uso o di abitazione a favore dell’assegnatario, ma solo un diritto di natura personale, opponibile, se avente data certa, ai terzi entro il novennio ai sensi dell’art. 1599 c.c., ovvero anche dopo i nove anni se il titolo sia stato in precedenza trascritto. Così già in precedenza Trib. Roma, 12 luglio 1990, Rep. Foro it., 1991,voce matrimonio, n. 200.

[34] GAZZONI, La trascrizione immobiliare, Codice civile commentato Shlesinger, cit, il quale precisa che tale assimilazione deve essere intesa sul piano della circolazione e della opponibilità ai terzi, atteso che, sotto questo aspetto, è del tutto irrilevante che il diritto sia stato acquistato a titolo oneroso o a titolo gratuito.

[35] GAZZONI, op. cit., 343

[36] GAZZONI, op. cit., 347

[37] GAZZONI, loc. ult. op. cit. In giurisprudenza si ammette pure la possibilità di trascrivere la domanda di assegnazione della casa familiare formulata nel contesto del ricorso per divorzio o separazione personale ai sensi dell’art. 2653 cod. civ. ., così, Trib. Venezia 20 luglio 1993, in Giust. civ., 1994, I, p.262.

[38] Cass. 2 febbraio 1993, n. 1258, in Rep. Foro it., 1993, voce cit., n. 54; nello stesso senso, in materia di separazione consensuale, Cass. 27 maggio 1995 n. 5902, Foro it., 1996, 1, 184. In dottrina GAZZONI, op. cit., 342, secondo il quale l’assegnatario prevale solo se il provvedimento precede l’alienazione e quindi soccomberà se esso, pur trascritto prima, è di data successiva.

[39]Cass. 27 maggio 1994 n.5236, in Dir. fam. pers., 1994, p.1241. Inconsapevolmente contra Cass. 10977/96

[40] In questo senso DI NARDO, Coniuge separato assegnatario… cit., per il diritto al risarcimento del danno anche GAZZONI, op. cit., 342

SS.

[41]Cass. 27 gennaio 1995 n. 929, in Dir. fam. pers., 1995, p.990; Cass. 20 ottobre 1997, n. 10258, in Foro it., 1998, p.850.

[42] Cass. 20ottobre 1997,n. 10258; fa applicazione ditale principio, in materia di locazione, anche Cass. 18giugno 1993 n. 6804, Arch. loc., 1993, p.721; Il principio dovrebbe valere pure per il caso deciso con Cass. 27maggio 1994, n. 5236, cit.

[43] Cass. 10dicembre 1996, n. 10977, cit., che giunge così alla conclusione che è impossibile per il comodante l’estinzione ad nutum del rapporto ai sensi dell’art. 1810 cod civ.

[44]M DI NARDO, Casa familiare, comodato, ed opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione, cit, p.597, ss.

[45] Cass. 10258/1997 cit.;

[46]Cass. 27 maggio 1995 n. 5902, Foro it. 1996, 1, 184; contra Cass.17 ottobre 1992 n. 11424, in Rep. Foro it., 1992, voce Separazione dei coniugi, n. 64, che dopo duee anni dalla pubblicazione della pronuncia della Corte Costituzionale sostiene comunque l’inopponibilità al terzo acquirente dell’assegnazione della casa familiare disposta in sede di separazione consensuale.

[47] Trib. Verona 9 marzo 1994, decreto, in Fam. e dir., 1994, p.441, con nota adesiva di F. PADOVINI, Dati catastali e pubblicità dell’assegnazione al coniuge separato della casa familiare.

[48] Così Cass. 27 maggio 1995 n. 5902 cit. Nello stesso senso in dottrina DE FILIPPIS/CASABURI, Separazione e divorzio in dottrina e giurisprudenza, 1998, cit.. E’ d’accordo sulla trascrivibilità del diritto d’assegnazione in sede di separazione consensuale solo dal punto di vista sostanziale GAZZONI, op. cit., 686.

[49] G. GABRIELLI, Il diritto di abitare nella casa già familiare dopo la dissoluzione della famiglia, in Vita not., 1997, p.1282; PADOVINI, op. cit., 442; Trib. Verona 9 marzo 1994, cit.; Trib. Bergamo 15 novembre1984, Giust. civ. , 1985, 1, 215; App. Brescia 4 dicembre 1984, Vita not., 1984, 1595.

[50]GAZZONI, op. cit., 687 ss.

[51] Cass. 4938/81, Rep. Foro it., voce Divisione, n. 17; FINOCCHIARIO A e M., op. cit., 578.

[52] Trib. Bologna 21 gennaio 1993, cit.; nello stesso senso Cass.4938/81, cit. In dottrina PAJARDI, op. cit., 412

Redazione

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