Il Caso
La vicenda trae origine dall’opposizione, promossa da alcuni correntisti di una banca, avverso un decreto ingiuntivo ottenuto da quest’ultima a titolo di saldo debitore di conto corrente.
Nel corso del giudizio di primo grado era stata concessa la provvisoria esecuzione del decreto per un importo inferiore a quello ingiunto ed era stato assegnato il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione ma il Tribunale adito, dato atto che nessuna delle due parti aveva introdotto la mediazione e ritenendo che tale obbligo incombesse sull’opponente, aveva dichiarato l’opposizione improcedibile.
Gli opponenti proponevano appello avverso la sentenza di primo grado che, tuttavia, veniva dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c.
Gli stessi, quindi, si rivolgevano alla Corte di Cassazione dolendosi della violazione e falsa applicazione dell’art. 5 D.Lgs. n. 28 del 2010 affermando, in particolare, che è onere del creditore opposto, in quanto attore sostanziale nel giudizio di opposizione, instaurare il procedimento di mediazione.
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L’ordinanza interlocutoria
Ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in una delle materie ivi indicate[1] è tenuto, preliminarmente, a esperire il procedimento di mediazione. L’esperimento di tale procedimento è condizione di procedibilità della domanda giudiziale e l’eventuale improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Se, invece, la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di durata del procedimento di mediazione (non superiore a tre mesi).
Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda. Il termine, come si evince dalla disciplina indicata, è assegnato contestualmente alle parti ma è evidente che è interesse della parte che ha proposto la domanda esperire il procedimento di mediazione, posto che ne va della procedibilità della domanda.
Il comma 4 dell’art. 5 prevede che la suddetta disciplina non si applica ai procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione.
Ne discende che, costituendo i provvedimenti di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c. una mera eventualità nel processo, il procedimento di mediazione potrebbe non trovare per nulla applicazione nell’opposizione a decreto ingiuntivo. Inoltre, mentre per l’esecuzione provvisoria è previsto che il giudice istruttore provveda in prima udienza, non altrettanto è disposto per la sospensione dell’esecuzione provvisoria concessa in sede di emissione del decreto ingiuntivo.
La disciplina dell’eccezione o rilievo d’ufficio alla prima udienza dovrebbe, quindi, essere coordinata con la specialità del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo ed, infatti, benché il legislatore non indichi chi, fra l’opposto e l’opponente debba ritenersi onerato della proposizione dell’istanza di mediazione, si deve accertare su quale soggetto ricadano le conseguenze negative dell’improcedibilità nel caso di mancata proposizione dell’istanza nonostante il termine assegnato dal giudice.
All’interno della giurisprudenza di merito si sono formati due orientamenti contrastanti circa l’individuazione del soggetto tenuto all’instaurazione del procedimento di mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, mentre fino ad oggi, si registra un solo intervento della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 24629 del 3 dicembre 2015 ha affermato che l’onere di introdurre la mediazione obbligatoria grava sull’opponente.[2]
Il primo orientamento formatosi all’interno della giurisprudenza di merito – e, attualmente, maggioritario – conformemente a quanto statuito dalla Cassazione con la citata sentenza del 2015, sostiene che nell’ambito del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, l’onere processuale ricade in capo al debitore opponente in quanto parte interessata all’instaurazione e alla prosecuzione del processo ordinario di cognizione posto che, in mancanza di opposizione o in caso di estinzione del processo, il decreto acquista esecutorietà e passa in giudicato. Proprio perchè la parte interessata ad instaurare il giudizio di cognizione, ed a coltivarlo affinchè pervenga alla decisione di merito, è il debitore opponente, su di lui dovrebbero ricadere le conseguenze negative nel caso di mancato esperimento del procedimento di mediazione.
Tale posizione ermeneutica è espressione del principio – illustrato da Cass. 3 dicembre 2015, n. 24629 – per cui “attraverso il decreto ingiuntivo l’attore ha scelto la linea deflattiva coerente con la logica dell’efficienza processuale e della ragionevole durata del processo. E’ l’opponente che ha il potere e l’interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore. E’ dunque sull’opponente che deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria perchè è l’opponente che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga. La diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale perchè premierebbe la passività dell’opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice”. Si fa, quindi, riferimento, oltre che alle ragioni proprie del procedimento monitorio, ispirate ad efficienza ed economia processuale, al principio costituzionale di ragionevole durata del processo.
Il secondo orientamento, sostiene, invece, che l’onere processuale sia a carico del creditore ingiungente. Militerebbe in tal senso la circostanza che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale e che nel caso dell’opposizione a decreto ingiuntivo, attore in senso sostanziale è l’ingiunto che ha proposto la domanda di ingiunzione. Con la proposizione dell’opposizione, infatti, la vertenza torna ad essere quella dell’accertamento dell’an e del quantum del credito in sede di cognizione piena e il D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5 onera dell’attivazione della condizione di procedibilità “chi intende esercitare in giudizio un’azione”.
Secondo questa tesi l’esigenza che viene in rilievo è quella che l’accesso alla giurisdizione condizionata al previo adempimento di oneri non può tradursi nella perdita del diritto di agire in giudizio tutelato dall’art. 24 Cost. (come affermato da Corte Cost. 16 aprile 2014, n. 98).
Il diritto di agire in giudizio, in termini di diritto di accertamento negativo del credito, potrebbe essere compromesso dall’esecutività ed immutabilità del decreto ingiuntivo che conseguirebbe alla pronuncia di improcedibilità per non avere il debitore opponente assolto l’onere a suo carico, senza che tale ipotesi possa equipararsi a quella dell’acquisto dell’efficacia esecutiva da parte del decreto per effetto dell’estinzione del processo (art. 653 c.p.c., comma 1), la quale è conseguenza dell’inattività della parte all’interno del processo, una volta che il diritto di azione sia stato esercitato, mentre nell’ipotesi in esame l’irretrattabilità del decreto ingiuntivo, e la relativa perdita del diritto di agire in giudizio, deriverebbero dall’inattività relativa ad un rimedio preventivo rispetto al processo.
Nel caso, invece, di onere incombente sul creditore opposto, alla pronuncia in rito di improcedibilità dovrebbe accompagnarsi la revoca del decreto ingiuntivo, ma resterebbe pur sempre ferma la possibilità per il creditore di riproporre la domanda (anche di semplice ingiunzione).
Con l’ordinanza n. 18741 del 12 luglio 2019 la terza sezione civile, ritenendo che entrambe le posizioni sostenute dalla giurisprudenza di merito siano assistite da valide ragioni tecniche e appaiono proiezione di diversi principi costituzionali, ha ritenuto sussistente il presupposto della questione di massima di particolare importanza che giustifica la rimessione alle Sezioni Unite.
La questione, infatti, riveste particolare importanza perchè tocca un tema sul quale “si registra non solo un ampio dibattito in dottrina ma anche un tuttora non sopito contrasto nella giurisprudenza di merito, reso più acuto dalla frequenza delle questioni che in siffatta materia vengono sottoposte a giudizio”[3].
Oltretutto la vastità del contenzioso interessato dalla mediazione ed il diffuso ricorso al procedimento monitorio, richiedono in considerazione dei presupposti evidenziati l’intervento delle Sezioni Unite. Per tali ragioni la Corte, con l’ordinanza in commento, ha rimesso gli atti al Primo presidente per consentirgli di valutare l’opportunità che il ricorso sia sottoposto all’esame delle Sezioni Unite.
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Note
[1] Ossia condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari.
[2] Sulla questione si veda per un approfondimento MINELLI G., Permane il contrasto su chi sia onerato tra opponente ed opposto ad introdurre il tentativo obbligatorio di mediazione, in Le Società n. 10/2016.
[3] Queste le parole di Cass. 15 dicembre 2011 n. 27063 con cui fu chiesta la valutazione di opportunità della rimessione alle Sezioni Unite in ordine alla questione della fattibilità del concordato preventivo.
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