Con l’ordinanza in commento, la Suprema Corte ha avuto occasione di chiarire che l’impugnazione dell’ordinanza ex art. 702-ter c.p.c., conclusiva del procedimento sommario di cognizione, può essere proposta esclusivamente nella forma ordinaria dell’atto di citazione. Pertanto, ove l’appello sia stato erroneamente introdotto con ricorso, la sanatoria è ammissibile solo se quest’ultimo sia stato (i) depositato nella cancelleria del giudice competente e (ii) notificato alla controparte nel termine perentorio di cui all’art. 702-quater c.p.c.
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Il giudizio di merito e la questione controversa
L’avv. Tizio instaurava un procedimento sommario di cognizione ex artt. 702-bis ss. c.p.c. innanzi al Tribunale di Roma, al fine di ottenere il pagamento dei propri compensi professionali. Il procedimento di primo grado si concludeva con un’ordinanza di rigetto pubblicata in data 21 ottobre 2014.
L’avv. Tizio, soccombente, impugnava dunque la predetta ordinanza, optando per la forma del ricorso quale atto introduttivo del gravame.
Il ricorso veniva tempestivamente depositato presso la Corte d’appello di Roma, ma notificato alla controparte solamente in data 3 dicembre 2014, vale a dire ben oltre il termine perentorio di 30 giorni portato dall’art. 702-quater c.p.c.
La Corte d’appello di Roma, rilevato che l’appello era stato proposto con ricorso anziché con atto di citazione, e rilevato altresì che il ricorso era stato notificato oltre il termine perentorio ex art. 702-quater c.p.c., dichiarava l’inammissibilità dell’impugnazione.
Con il proprio ricorso per cassazione, l’avv. Tizio deduceva come, in realtà, all’art. 702-quater c.p.c. il legislatore nulla dice in merito alla forma che deve rivestire l’atto introduttivo del giudizio d’appello avverso l’ordinanza conclusiva del rito sommario di cognizione; sicché, per il principio di ultrattività del rito e in ossequio al principio di conservazione dell’impugnazione, anche l’appello previsto dall’art. 702-quater c.p.c. dovrebbe proporsi con ricorso.
L’ordinanza della Suprema Corte
Con una puntuale e schematica motivazione, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dall’avv. Tizio, stigmatizzando che:
(a) l’impugnazione dell’ordinanza conclusiva del giudizio sommario di cui all’art. 702-ter c.p.c. può essere proposta esclusivamente nella forma ordinaria dell’atto di citazione, non essendo espressamente prevista dalla legge l’adozione del rito sommario per il secondo grado di giudizio;
(b) nel caso di appello introdotto erroneamente mediante ricorso, non è possibile sanare gli effetti dell’impugnazione mediante lo strumento del mutamento del rito (previsto dall’art. 4 comma 5 d.lgs. n. 150 del 2011);
(c) ciononostante, l’appello erroneamente introdotto con ricorso è suscettibile di sanatoria a patto che, nel termine previsto dalla legge, l’atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice, ma anche notificato alla controparte.
Osservazioni
L’ordinanza in commento si pone come un provvedimento, per quanto sintetico e stringato, di indubbia utilità per l’operatore alle prese con il rito sommario di cognizione, spesso assai mutevole da Foro a Foro e foriero di numerose “varietà” applicative (sia sufficiente pensare alla fase di trattazione e alla prassi, più o meno invalsa, di concedere alle parti, dopo la prima udienza ex art. 702-ter c.p.c., un doppio termine per il deposito di memorie dedicate ad ulteriore attività assertiva e istruttoria).
In primo luogo, la Corte chiarisce che l’impugnazione avverso l’ordinanza conclusiva del rito sommario di cognizione deve proporsi con atto di citazione. Si tratta, a ben vedere, di una regola ampiamente consolidata in giurisprudenza ([1]) e fondata sul presupposto per cui, da un lato, il principio di ultrattività del rito seguito in primo grado può trovare applicazione soltanto in caso di esplicita previsione normativa e, dall’altro lato, all’art. 702-quater c.p.c. il legislatore non ha espressamente previsto l’adozione del rito sommario anche per la fase di gravame.
In secondo luogo, richiamando il proprio precedente n. 8757/2018, la Corte ribadisce che, nel caso di appello erroneamente introdotto con ricorso, non è ammissibile la sanatoria degli effetti dell’impugnazione attraverso lo strumento del mutamento del rito.
Tale strumento, per sua natura, può riguardare solo i casi in cui, essendo previsti più riti applicabili alla fattispecie, l’attore abbia errato nella scelta. Ed infatti, considerato che per il giudizio di primo grado è prevista una molteplicità di riti (ordinario e sommario), l’art. 702-ter comma 3 c.p.c. stabilisce che il giudice, rilevata l’incongruenza della scelta del rito sommario da parte dell’attore, disponga la modificazione del rito, fissando l’udienza ex art. 183 c.p.c.
Per converso, con riferimento al giudizio di appello avverso l’ordinanza ex art. 702-ter c.p.c., non è previsto dalla legge alcun rito alternativo: esiste soltanto un rito, quello ordinario, integrato dalle disposizioni di cui all’art. 702-quater c.p.c.
Ne deriva l’assoluta inconfigurabilità di un mutamento del rito in fase di gravame, con le ovvie conseguenze in punto di eventuale sanatoria degli effetti di un’impugnazione erroneamente proposta con ricorso.
In terzo luogo, venendo invece ora alle possibilità di una siffatta sanatoria, la Corte riprende il proprio saldo orientamento ([2]) in forza del quale, in linea generale:
(i) qualora l’impugnazione sia stata proposta erroneamente ricorso, in luogo del corretto atto di citazione, la sanatoria è ammissibile solo se l’atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice competente, ma anche notificato alla controparte nel termine perentorio di cui all’articolo 325 c.p.c. ([3]);
(ii) specularmente, quando l’appello deve essere proposto mediante ricorso, è ammissibile la sanatoria dell’impugnazione introdotta erroneamente mediante citazione purché questa risulti non solo notificata, ma anche depositata in cancelleria nel termine perentorio di legge ([4]).
È rilevante osservare, in conclusione, che tali assunti non sono inficiati dalle differenti statuizioni adottate in tema di sanatoria dell’impugnazione condominiale in Cass. SS. UU. n. 8491/2011 ([5]); tali statuizioni, infatti, trovano giustificazione nella specificità morfologica e funzionale dell’atto impugnato (delibera di assemblea condominiale) e della relativa opposizione (rispetto alla quale, l’imposizione del termine di cui all’articolo 1137 comma 3 c.c. risponde ad esigenze di certezza facenti capo al condominio ed attinenti a materia sottratta alla disponibilità delle parti).
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Note
([1]) In specie maturata relativamente al procedimento sommario in materia di protezione internazionale. Cfr., ex pluribus, Cass. n. 26326/2014, Cass. n. 8757/2018.
([2]) Autorevolmente fatto proprio da Cass. SS. UU. n. 2907/2014, in relazione ai giudizi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione introdotti con ricorso ai sensi della l. n. 689/1981, prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2011.
([3]) Cfr. Cass. n. 11657/1998; Cass. n. 23412/2008; Cass. n. 4498/2009; Cass. S.U. n. 21675 e n. 22848/2013.
([4]) Cfr. Cass. S.U. n. 4876/1991; Cass. n. 17645/2017; Cass. n. 21161/2011.
([5]) Secondo cui “In tema di condominio negli edifici, le impugnazioni delle delibere dell’assemblea, in applicazione della regola generale dettata dall’art. 163 cod. proc. civ., vanno proposte con citazione, non disciplinando l’art. 1137 cod. civ. la forma di tali impugnazioni; possono, comunque, ritenersi valide le impugnazioni proposte impropriamente con ricorso, sempreché l’atto risulti depositato in cancelleria entro il termine stabilito dall’art. 1137 citato.”
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