La Corte di Cassazione con una recente sentenza (n. 46380 del 16 novembre 2023), ha chiarito, in tema di misure cautelari personali, che non trova applicazione, nei confronti dell’imputato in stato di libertà, in quanto scarcerato per decorrenza del termine di durata massima, l’ordinanza di sospensione dei termini ex art. 304, comma 2, cod. proc. pen., emessa prima del ripristino della misura (nella specie, in conseguenza dell’annullamento con rinvio del provvedimento dichiarativo della perdita di efficacia della stessa).
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Indice
1. I fatti
La pronuncia della Corte di Cassazione scaturisce dal ricorso dell’imputato avverso l’ordinanza di ripristino della custodia cautelare in carcere nei suoi confronti emessa dal Tribunale di Catanzaro su appello proposto dal Pubblico Ministero, in riforma dell’ordinanza di scarcerazione emessa precedentemente dalla Corte di appello di Catanzaro.
Il Tribunale, nella motivazione dell’ordinanza impugnata, dà conto dell’errore in cui sarebbe incorsa la Corte di appello nell’avere ritenuto non operativa nei confronti dell’imputato l’ordinanza di sospensione dei termini di custodia cautelare perché intervenuto quando lo stesso era in stato di libertà.
In particolare, si è affermato che la sospensione di cui all’art. 304, commi 2 e 3, cod. proc. pen. presuppone la complessità del dibattimento o del giudizio abbreviato e fa astrazione dalle posizioni dei singoli imputati, con la conseguenza che la sospensione opera anche nei confronti dell’imputato che sia stato sottoposto a custodia cautelare nel corso del giudizio, dopo l’emissione dell’ordinanza di sospensione.
Il ricorso presentato dall’imputato si articolava in un unico motivo per violazione di legge relativa al fatto che lo stesso era libero alla data dell’ordinanza di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare e che, in quanto libero, non avrebbe potuto impugnare detta ordinanza per carenza di interesse, con conseguente lesione dei suoi diritti di difesa, ove si ritenesse che la sospensione operi anche nei suoi confronti, una volta applicatagli la custodia cautelare.
Si obietta che il P.M. da tale momento avrebbe dovuto e potuto richiedere anche nei confronti dell’imputato la sospensione del termine di durata all’A.G. procedente, così da mettere in condizione il predetto di esercitare il proprio diritto di difesa su tale questione formale da cui dipende la sua libertà personale, essendo, peraltro, anche censurabile la ritenuta complessità del dibattimento.
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2. Ordinanza di sospensione dei termini e imputato in stato di libertà: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso, innanzitutto riprende un precedente di legittimità ormai consolidato tracciato dalle Sezioni Unite (n. 23381/2007), secondo cui “la sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare per la particolare complessità del dibattimento, quando si proceda per taluno dei reati indicati nell’art. 407, comma secondo, lett. a), cod. proc. pen., riguarda anche i coimputati sottoposti a custodia in carcere per reati non compresi nell’elenco di cui al menzionato art. 407“.
Nello specifico, in detta sentenza si discuteva se la sospensione, essendo correlata all’oggettiva complessità del dibattimento, ma al contempo riferita ad una determinata categoria di reati, fosse efficace solamente nei confronti degli imputati detenuti per uno dei predetti reati, o se dovesse valere anche nei confronti dei coimputati ristretti per altri reati non compresi in detto elenco.
La soluzione adottata è stata quella di affermare “l’estensione della sospensione per tutti i coimputati per i quali è in corso una misura cautelare, sulla base del rilievo principale che laddove vi sia una valutazione prognostica che la complessità del dibattimento possa far superare gli ordinari termini di fase, il pericolo rilevato è collettivo: non riguarda solo coloro tra i coimputati che rispondono dei reati indicati nel citato art. 407 c.p.p., ma tutti quelli che devono essere giudicati nel medesimo processo“.
Chiarito ciò, la Corte cerca di risolvere la questione analizzando i diversi orientamenti al riguardo, optando per quello che delimita l’estensione dell’ordinanza di sospensione ai soli imputati che siano detenuti al momento della sua adozione.
La Suprema Corte, dunque, osserva come “nei confronti di chi si trovi libero al momento dell’ordinanza di sospensione non per essersi sottratto volontariamente alla esecuzione della custodia cautelare emessa nei suoi confronti, ma perché non raggiunto da alcun titolo cautelare valido, come l’odierno ricorrente, appare ancora più arduo ritenere che la sospensione possa aver effetto rispetto ad una misura che non solo non è stata ancora disposta, ma che neppure era prevedibile che lo fosse, essendo stato scarcerato per decorrenza dei termini di durata della custodia in applicazione della retrodatazione del termine a norma dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.. Né può valere nei suoi riguardi, trattandosi di imputato libero, la considerazione, posta a sostegno della tesi della necessaria estensione al latitante della sospensione, secondo cui la mancata estensione favorirebbe paradossalmente la persona volontariamente sottrattasi alla esecuzione del provvedimento coercitiva rispetto a coloro nei cui confronti il provvedimento sia stato invece eseguito“.
3. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione, dopo un’articolata analisi della questione, è giunta alla conclusione secondo cui “non trovando certamente applicazione la disciplina del termine di impugnazione prevista per il latitante dall’art. 310, comma 3, cod. proc. pen. che ammette la riapertura del termine subordinatamente alla prova dell’ignoranza del provvedimento genetico della misura, l’imputato in stato di libertà sarebbe di fatto privato del diritto di appellare l’ordinanza all’insorgere del suo interesse, per effetto dell’applicazione della misura custodiale successivamente alla decorrenza del termine di impugnazione correlato, come detto, alla notificazione dell’ordinanza di sospensione“.
Conclude la Corte affermando che l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio, dovendosi ritenere errato il computo della durata del termine di fase per il giudizio di appello, in conseguenza della estensione al ricorrente della sospensione del termine di fase disposto con l’ordinanza emessa dalla Corte di appello, da ritenersi inefficace nei suoi confronti.
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