Organismo di Vigilanza ex 231: natura e responsabilità

Ai fini dell’esclusione della responsabilità dipendente da reato nei confronti della società l’art. 6 D.lgs. n. 231/ prevede, oltre all’adozione ed efficace applicazione di modelli organizzativi, anche l’istituzione di un Organismo di Vigilanza con il precipuo scopo, tra gli altri, di vigilare sulla corretta applicazione dei protocolli previsti nel predetto modello.

Occorre preliminarmente precisare che, tanto l’adozione del modello quanto l’istituzione dell’Organismo di Vigilanza, non costituisce obbligo di legge che, piuttosto, lascia liberi gli enti destinatari del decreto se adottare o meno il sistema di prevenzione 231. Si tratta dunque di un mero impegno della società che si premunisce degli strumenti necessari ai fini del funzionamenti dell’esimente di cui all’art. 6 del decreto n. 231/2001. Tanto premesso, sin dalle primissime applicazioni della normativa de quo, è stato oggetto di acceso dibattito la natura giuridica e la responsabilità dell’Organismo di Vigilanza in caso di commissione di taluno dei reati-presupposto previsti dal decreto 231.

Per un corretto inquadramento delle quaestio juris è opportuno precisare, quanto meno in linee generali, quali sono i compiti dell’Organismo di Vigilanza. Con il conferimento dell’incarico il soggetto che ricopre il predetto ruolo assume il compito (rectius l’obbligo) di:

• vigilare sulla corretta applicazione del modello organizzativo;

• analizzare i flussi informativi da parte dei soggetti destinatari dei protocolli di prevenzione previsti dal MOG;

• verificare periodicamente la diffusione del modello tra i suoi destinatari; cura l’aggiornamento e l’implementazione dello stesso;

• comunicare eventuali falle o distorsioni nell’applicazione dei modelli organizzativi da parte dei destinatari. È di fondamentale importanza sottolineare che all’OdV, tuttavia, non vengono conferiti diretti poteri impeditivi; questi, ove dovesse riscontrare delle anomalie o mal funzionamenti relativi all’applicazione dei modelli di prevenzione contenuti nel modello, può solo riferire all’organo amministrativo o dirigenziale che avrà, dunque, l’onere di provvedere.

La natura dell’Odv

Tanto doverosamente premesso, in ordine alla prima questione il dibattito sulla natura dell’OdV ha visto contrapporsi due diversi indirizzi: uno che qualifica l’OdV come un vero organo della società; un altro che lo classifica come mero ufficio della stessa.

La prima soluzione è assolutamente minoritaria poiché paragonerebbe l’Organismo di Vigilanza ad un organo sociale quale il collegio sindacale o il revisore dei conti.

A sostegno di questa soluzione si è fatto riferimento al dettato del dettato del comma 4 bis dell’art. 6 del decreto il quale recita: “Nelle società di capitali il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il comitato per il controllo della gestione possono svolgere le funzioni dell´organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b)”. Si è sostenuto che i compiti di vigilanza dell’OdV si trovassero in rapporto di specialità con quelli del collegio sindacale e, pertanto, deve trattarsi di un organo avente medesima origine. A conforto di tali considerazioni, alcuni autori hanno rimarcato i requisiti di autonomia e indipendenza nei confronti degli altri organi sociali richiesti dalla legge nonché il carattere originario e la posizione di vertice attribuita all’Organismo di Vigilanza1. L’opinione maggioritaria, tuttavia, sposa la tesi opposta. Invero, appare più corretto a chi scrive schierarsi dalla parte di chi ritiene l’Organismo di Vigilanza un mero ufficio della società, non fosse altro per il principio di tipicità degli organi sociali. Altre considerazioni possono svolgersi in favore di questo orientamento, in particolare: il ruolo dell’OdV che attiene più al funzionamento della società che alla sua organizzazione; il carattere opzionale della sua istituzione2; l’attività di vigilanza sull’attività dell’impresa e non sulla società.

L’indipendenza

In questi termini si è espressa la giurisprudenza di merito, aderendo a quest’ultimo orientamento, si è espressa in questi termini: “è evidente che l’Organismo di Vigilanza costituisce un soggetto necessariamente indipendente dalla società della cui vigilanza è incaricato, e ciò deve ritenersi sufficiente per negare che esso possa avere natura di organo sociale3”. Quanto alla seconda vexata quaestio, per diverso tempo si è dibattuto sulle possibili ripercussioni, di natura civile e penale, sull’attività – malamente – svolta dall’Organismo di Vigilanza ex D.Lgs. n. 231/2001, in altri termini sulla responsabilità dell’Odv. Quanto alla responsabilità di natura civile si rileva, in primis, che nei confronti dell’OdV incorre ictu oculi una responsabilità di tipo contrattuale. Con il conferimento dell’incarico, infatti, il professionista incaricato s’impegna a svolgere le funzioni di Organismo di Vigilanza (prestazione principale), per come sopra succintamente elencate, a fronte della corresponsione di un compenso annuale predeterminato (controprestazione).

In ragione di quanto rilevato in ordine ai compiti e alle attribuzioni, allorquando l’OdV non dovesse adempiere correttamente alle sue “obbligazioni” contrattuali sarà inadempiente e, pertanto, responsabile ex art. 1223 c.c. Le conseguenze di un siffatto inadempimento sarebbero, lo scioglimento e/o la revoca dell’Organismo oltre che una tutela risarcitoria in favore della società. Questo presuppone ovviamente che la società dovrà provare l’inadempimento del soggetto incaricato di ricoprire il ruolo di Organismo di Vigilanza nonché, eventualmente, il danno cagionato dal mancato adempimento dei propri compiti.

È doveroso ricordare, tuttavia, che l’obbligazione contratta dal professionista incaricato non è un’obbligazione di risultato bensì di mezzi, sicché il suo inadempimento si configura allorquando questi non svolge correttamente le attività di vigilanza sulla corretta applicazione del MOG, non segnala tempestivamente le criticità nel sistema di prevenzione previste dal Modello Organizzativo sicché, il verificarsi dell’evento reato non comporta automaticamente la responsabilità contrattuale dell’Organismo di Vigilianza. Diversa è la questione relativa alla responsabilità penale dell’OdV. Eccetto i casi di concorso, attivo o passivo, ex art. 110 c.p. nei delitti commessi dai soggetti di cui agli artt. 6 e 7 del decreto nell’interesse e vantaggio dell’ente o di favoreggiamento personale ai sensi dell’art. 378 c.p., non pare potersi ascrivere una responsabilità penale in capo all’OdV ex art. 40, secondo comma c.p. La citata disposizione prevede: “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”; in altri termini ascrive una responsabilità penale nei confronti di chi, ricoprendo una posizione di garanzia, non adempie ai propri doveri di impedire l’evento dannoso o pericoloso.

Ebbene, la Corte di Cassazione a più riprese ha chiarito come una simile responsabilità può ravvisarsi solo in capo a chi ricopre una tale posizione di garanzia ed è dotato, dalla Legge o da altra fonte legittima, di poteri impeditivi: “essenziale al fine di delimitare il confine tra l’obbligo di garanzia e di sorveglianza […] il riferimento agli effettivi poteri – doveri impeditivi giuridicamente conferiti all’obbligato”4. Ebbene, l’Organismo d Vigilanza ha funzioni di controllo e vigilanza ma non possiede alcun potere di impeditivo né disciplinare nei confronti dei potenziali autori dei reati – presupposto. Tanto è sufficiente per ritenere inapplicabile la disposizione di cui all’art. 40, secondo comma c.p. all’OdV poiché questi risponderebbe di reati che non ha commesso né avrebbe potuto/dovuto evitare. In definitiva, in accordo con lo spirito della Legge, non può ascriversi una responsabilità penale in capo all’OdV che, a causa dell’inerzia nello svolgimento dei suoi doveri di vigilanza, abbia favorito la commissione di taluni dei reati-presupposto previsti dal D.Lgs. n. 231/2001.

Note
1 Cfr. C.E. Paliero, il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231: da ora in poi, societas delinquere (et puniri) potest, in Corr. Giur., 2001, VIII; A. De Nicola, L’organismo di Vigilanza 231 nelle società di capitali, Giappichelli Ediore – Torino, 2015

2 Invero questa considerazione non è determinante poiché alcuni organi sociali hanno anch’essi carattere opzionale: si pensi al collegio sindacale istituito in quelle S.r.l. che non raggiungono determinate soglie di cui all’art. 2477 c.c.. In siffatte ipotesi, benché la sua istituzione è facoltativa, non può certo dirsi che il collegio sindacale non è un organo sociale nel senso proprio del termine.
3 Trib. Milano, 8 agosto 2012, n. 9258.
4 Cass. Pen., Sez. IV, 19 febbraio 2008, n. 22614; nello stesso senso cfr. Cass. Pen., Sez. IV, 13 marzo 2008, n. 19524.

Giovanni Bongiorno

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento