Mentre la Corte Costituzionale sta ridisegnando l’istituto del recesso, sia nella versione Fornero che nella versione Renzi – v. da ultimo Corte Costituzionale Sentenza n.22 del 23 gennaio 2024, con nota in questa Rivista 20/03/2024 – ci pare opportuno fare il punto sulla materia che presenta indubbiamente una certa complessità, seguendone il percorso e il relativo dibattito dottrinale. Per approfondire sul rapporto di lavoro subordinato consigliamo il volume: Il lavoro subordinato -Rapporto contrattuale e tutela dei diritti. Sul tema potrebbe anche interessarti l’articolo “Jobs Act: ok alle tutele crescenti nelle piccole imprese“
Indice
- 1. Panoramica storica
- 2. Il problema dell’organizzazione del lavoro nell’impresa
- 3. Breve excursus sullo sviluppo del dibattito sulla configurazione dell’istituto giuridico dell’organizzazione
- 4. Sull’interesse rilevante
- 5. L’organizzazione del lavoro e licenziamento
- 6. Le note tappe essenziali del percorso di regolamentazione del recesso del datore di lavoro
1. Panoramica storica
Lo sviluppo industriale che si è avuto nel nostro paese negli ultimi due secoli (‘900 e ‘800) ha comportato un forte aumento del lavoro subordinato rispetto al lavoro autonomo. Se negli ultimi anni dell’800 e nei primi anni del ‘900 la tipologia di lavoro subordinato era rappresentata da lavoratori domestici, lavoratori braccianti, lavoratori agricoli, lavoratori/lavoratrici a domicilio ,successivamente si affermò in maniera rilevante il “tipo” lavoratore subordinato nell’impresa. Così si esprime Autorevole giurista, M. Biagi, in Istituzioni di diritto del lavoro, ed. Giuffrè, 2001, pag. 103 : <Il prototipo normativo del diritto del lavoro-Il diritto del lavoro italiano-in modo del tutto conforme a quanto è avvenuto nei principali Paesi europeo-continentali — si è progressivamente edificato attorno alla figura del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (e pieno) nella impresa. E’ questa la ragione che porta a definire, ancora oggi, tale ipotesi contrattuale alla stregua del prototipo normativo del diritto del lavoro. Sin dai primi interventi del Legislatore diretti a disciplinare già agli albori della Rivoluzione Industriale, le modalità di incontro tra domanda e offerta di lavoro, l’archetipo del lavoro subordinato nell’impresa, stabile e in una prospettiva di carriera, ha in effetti costituito il referente empirico della regolamentazione dei rapporti di lavoro (c.d. giuridificazione), operando con vocazione egemonica e totalizzante rispetto a ogni altra manifestazione dei modi di utilizzazione del lavoro altrui. Questa tendenza è stata confermata dalla normativa successiva e progressivamente rafforzata nel corso del tempo, trovando nello Statuto dei lavoratori del 1970 e nella disciplina limitativa dei licenziamenti il suo punto di massima espressione, prima di registrare una significativa battuta d’arresto che la porterà a intraprendere la fase discendente della parabola.>.
Da ciò è derivata la necessità di organizzare e quindi di regolare normativamente la prestazione di lavoro nell’ambito dell’impresa.
In primis notiamo che la normativa che regola tale contratto non viene trattata nel Libro IV, titolo III ,dei singoli contratti, bensì nel libro V, titolo II, del lavoro nell’impresa. Il che ci fa capire subito della specialità di questo rapporto. Anziché seguire lo schema del c.d. sinallagma ,prestazione/corrispettivo, tipico dei contratti di scambio, nel caso del contratto di lavoro il lavoratore viene definito, Sez. II, Dei collaboratori dell’imprenditore ,<<E’ prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore>>. Il che ci fa capire anche il duplice piano su cui si svolge il rapporto, quello contrattuale e quello dell’inserimento nell’impresa, con tutto quello che tale inserimento comporta. Vi saranno quindi posizioni riconducibili al contratto, quali ad. es. prestazione/retribuzione, recesso e posizioni riconducibili all’organizzazione, quali ad es. lo jus variandi e il potere di stabilire un ordine gerarchico tra i vari collaboratori, potere regolamentare. Per approfondire sul rapporto di lavoro subordinato consigliamo il volume: Il lavoro subordinato -Rapporto contrattuale e tutela dei diritti
Il lavoro subordinato
Il volume analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni). L’opera è stata realizzata pensando al direttore del personale, al consulente del lavoro, all’avvocato e al giudice che si trovano all’inizio della loro vita professionale o che si avvicinano alla materia per ragioni professionali provenendo da altri ambiti, ma ha l’ambizione di essere utile anche all’esperto, offrendo una sistematica esposizione dello stato dell’arte in merito alle tante questioni che si incontrano nelle aule del Tribunale del lavoro e nella vita professionale di ogni giorno. L’opera si colloca nell’ambito di una collana nella quale, oltre all’opera dedicata alla cessazione del rapporto di lavoro (a cura di C. Colosimo), sono già apparsi i volumi che seguono: Il processo del lavoro (a cura di D. Paliaga); Lavoro e crisi d’impresa (di M. Belviso); Il Lavoro pubblico (a cura di A. Boscati); Diritto sindacale (a cura di G. Perone e M.C. Cataudella). Vincenzo FerranteUniversità Cattolica di Milano, direttore del Master in Consulenza del lavoro e direzione del personale (MUCL);Mirko AltimariUniversità Cattolica di Milano;Silvia BertoccoUniversità di Padova;Laura CalafàUniversità di Verona;Matteo CortiUniversità Cattolica di Milano;Ombretta DessìUniversità di Cagliari;Maria Giovanna GrecoUniversità di Parma;Francesca MalzaniUniversità di Brescia;Marco NovellaUniversità di Genova;Fabio PantanoUniversità di Parma;Roberto PettinelliUniversità del Piemonte orientale;Flavio Vincenzo PonteUniversità della Calabria;Fabio RavelliUniversità di Brescia;Nicolò RossiAvvocato in Novara;Alessandra SartoriUniversità degli studi di Milano;Claudio SerraAvvocato in Torino.
A cura di Vincenzo Ferrante | Maggioli Editore 2023
59.85 €
2. Il problema dell’organizzazione del lavoro nell’impresa
Questo nuovo fenomeno dell’organizzazione del lavoro nell’impresa ha posto molti problemi di inquadramento giuridico. Ne è sorto un ampio dibattito.
Invero la visione codicistica si caratterizza per una prospettiva soggettivistica; il codice regolamenta la materia nell’ottica dell’imprenditore piuttosto che nell’ottica oggettivistica dell’impresa. A questa visione si conforma il Pera. In linea colla impostazione codicistica il Pera chiarisce la posizione maggiormente seguita, v. Atti del convegno infra richiamati, in particolare l’ introduzione del Mazzoni:< Il Pera, nella sua bella e lucida relazione alle giornate dì studio dell’Associazione di diritto del Lavoro, affrontò decisamente l’argomento delle scelte di fondo dell’imprenditore, riaffermando energicamente la nozione tradizionale della impresa, che è quella soggettiva.> Il che, ci pare, non escludere la distinzione su vista tra posizioni contrattuali e posizioni riconducibili alla organizzazione. In tal caso la visione sarà quella di un fascio di contratti individuali tra i vari lavoratori e l’imprenditore, il coordinamento tra i vari rapporti sarà demandato al potere direttivo che il codice, non il contratto, gli attribuisce.
Ma ciò non consente di ignorare il problema, appunto dell’impresa/organizzazione.
3. Breve excursus sullo sviluppo del dibattito sulla configurazione dell’istituto giuridico dell’organizzazione
A prescindere da quanto su detto della prospettiva soggettivistica, sul tema dell’organizzazione del lavoro nell’impresa si sono conteso il campo due teorie , quella contrattualistica, c.d. teoria del contratto di organizzazione ( V. Persiani Contratto di lavoro e organizzazione, Padova 1966 ) e quella istituzionale (sull’istituzione v. Santi Romano, L’ordinamento giuridico, ed. Sansoni 1977.). La prima ,superando le teorie tradizionaliste, afferma, op.cit. pag.81: “ l’ordinamento assegna al contratto di lavoro la funzione caratteristica di determinare l’esistenza dell’organizzazione del lavoro” e dopo ampia analisi e trattazione conclude ,op.cit. pag.290 “ la funzione del contratto di lavoro in quanto da essa deriva l’obbligazione di lavorare in modo subordinato e fedele,consiste nel realizzare il coordinamento dell’altrui attività lavorativa all’interesse del creditore ed in definitiva nel porre in essere l’organizzazione”. La teoria istituzionale configura l’impresa e la fabbrica come un vero e proprio ordinamento giuridico, che presuppone un interesse autonomo dell’impresa o quanto meno un “interesse comune” alle parti dell’impresa: v. Santi Romano ,op.cit. pag.128.<secondo noi, siamo in presenza di un fenomeno giuridico a doppia faccia, che non si può completamente spiegare, se non ammettendo che esso si svolge, nel medesimo tempo e con atteggiamenti diversi e magari contrari, nelle rispettive orbite di due distinti ordinamenti giuridici. L’uno quello dello stato, e per esso la figura del contratto è , almeno di regola ,la sola che può avere rilevanza: tutto ciò che non riesce a comporsi in essa rimane non tutelato da tale ordinamento e rischia anche di essere dichiarato illegittimo .L’altro è l’ordinamento particolare che si concreta in una istituzione….,e ciò che pel diritto dello stato è un contratto ,per tale ordinamento vale come un sistema a sé, più o meno autonomo, di diritto obiettivo, che si fa valere con i mezzi di cui l’organizzazione dispone nell’interno di essa>. Più attenuato il Mazzoni, in Atti cit. pag.14:< Ora se è vero che un ordinamento, ove assuma rilevanza per l’ordinamento statuale, scompare come tale, mentre è da considerarsi autonomo nella misura in cui l’ordinamento statuale lo ignora ,non può non essere vero che l’autonomia dell’impresa, dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro, costituisca un vero e proprio “diritto dei privati” in quanto non sia preso in diretta considerazione dalle norme statuali; anzi è proprio la possibilità della creazione, nell’impresa di un sistema di norme autonome (sia pure come ordinamento sussidiario di norme) che costituisce la riprova del carattere istituzionale dell’organizzazione di lavoro nell’impresa.>.
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4. Sull’interesse rilevante
Si è quindi posto il problema dell’interesse perseguito dall’impresa/organizzazione, se cioè l’interesse dell’imprenditore sia preminente se non unico, come parrebbe dalla normativa codicistica e come vogliono gli studiosi d’area liberale (v. Pera) o se sussista un altro interesse, concomitante se non addirittura a sua volta prevalente, ossia l’interesse dell’impresa/organizzazione (v. Cessari infra), che guarda anche agli altri soggetti del rapporto, quali i lavoratori, o anche della <comunità>,comprendente imprenditore e collaboratori se non addirittura la <comunità> nazionale, come fu per il “corporativismo” e come, forse, dovrebbe essere anche per entità democratiche, pur senza arrivare alla c.d.<programmazione> di ispirazione socialista. Più specificatamente l’interesse dell’imprenditore può individuarsi nell’interesse al lucro/utile e quello del lavoratore può individuarsi nel salario, che gli consente la sopravvivenza sua e della sua famiglia, e quindi nella conservazione del posto, quello della <comunità> alla sua conservazione e sopravvivenza., anche se quest’ultimo ,tipico della comunità, sotteso all’interesse di tutte le parti.
Diverse quindi saranno le posizioni a seconda che si dia prevalenza all’interesse dell’imprenditore o all’interesse dell’impresa ( e quindi agli interessi degli altri soggetti, oltre all’ imprenditore, appunto i lavoratori e la <comunità> medesima ).
Quanto alla prima si vedano sempre, gli Atti citati:< Il Pera disse che l’art. 41 della Costituzione, legittima l’imprenditore nelle sue scelte dì fondo, in modo assolutamente libero, sia per il se dell’impresa, sia per il quanto, sia per il come, con la conseguenza, egli aggiunse « che c’è un campo trincerato, nel quale dominano sovrane, per il se, per il quanto e per il come, le scelte del soggetto e queste scelte debbono essere prese come un dato, insindacabile, allorché ci si appresta a tutelare l’interesse del lavoratore alla conservazione del posto. Detto in altre parole, questo interesse del lavoratore non può essere tutelato oltre il limite superato il quale verrebbero in giuoco o in questione quelle scelte rispetto alle quali vale la garanzia costituzionale di libertà. In sostanza l’impresa, una volta posta in essere, non è per il soggetto promotore ed organizzatore come una sorta di gabbia nella quale egli si trovi per sempre chiuso e condizionato, bensì una attività di cui egli è di volta in volta, di giorno in giorno, arbitro. E se questo è vero, secondo una coerente interpretazione del principio costituzionale, ognuno può constatare come non possa parlarsi né di interessi dell’impresa in sé , né di una comunità di lavoro costruita avendo come punto ideale di riferimento un interesse obiettivo ed astratto.
Se l’interesse del lavoratore alla conservazione del posto deve essere tutelato nei limiti di un sostanziale rispetto della libertà di iniziativa economica in tutte le sue naturali implicazioni, ciò esige, quindi, che questo interesse sia preso in considerazione facendo salve le insindacabili scelte imprenditoriali, onde queste scelte potranno aver corso nel senso di travolgere quel interesse, ove ed in quanto il licenziamento del lavoratore ne derivi come strumentalmente necessario ».
Quanto alla seconda, stante la diversità di forza economica fra le parti, occorreva trovare un giusto equilibrio, che si potè raggiungere solo in un secondo tempo, quando attraverso la contrattazione collettiva venne ad essere maggiormente tutelato l’interesse del lavoratore. V. Cessari, Fedeltà, lavoro e impresa, Milano 1969, pag.72,il quale molto opportunamente individua una linea evolutiva che prendendo le mosse dalla contrattazione collettiva pre-corporativa, attraverso la legge sull’impiego privato approda infine al codice civile del 1942 dove” il termine impresa che affiora in vari articoli a partire dallo stesso art.2086 sta almeno ad indicare l’organizzazione di lavoro”. L’Autore così efficacemente conclude” Il sospetto che la nozione di interesse dell’impresa costituisca il frutto spurio di una particolare ideologia anziché il portato della moderna penetrazione dell’idea di attività animata da una destinazione obiettiva di scopo, riceve vivace smentita. Essa proviene esattamente dalle associazioni sindacali….interpreti della realtà più genuina di quanto possa essere il legislatore” e meglio precisa “ l’interesse dell’impresa… le ragioni obiettive inerenti allo svolgimento dell’attività produttiva costituiscono ( non l’interesse dell’imprenditore bensì) il diaframma protettivo contro le pretese soggettive del capo dell’impresa”.
5. L’organizzazione del lavoro e licenziamento
La distinzione tra posizioni contrattuali e posizioni inerenti all’inserimento nell’impresa si riverbera( nelle causali) anche nell’istituto del licenziamento.
Superato il regime del libero licenziamento mercé l’opera della contrattazione collettiva ( v. infra) la legislazione ha introdotto l’obbligo della “motivazione” del recesso. Si fa obbligo al datore di lavoro di porre alla base (ma, inizialmente di non esplicitare, se non su richiesta del lavoratore licenziato) del licenziamento un valido motivo. La legge n.604 del 1966 ha introdotto due tipologie di licenziamento :a)il licenziamento per giustificato motivo soggettivo , “ motivato da un grave inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro”, riconducibile senz’latro al contratto; b) il licenziamento per giustificato motivo oggettivo , “motivato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” riconducibile all’organizzazione/impresa.
A questi ultimi dobbiamo aggiungere i licenziamenti collettivi.
Certamente alla nascita dell’impresa il potere dell’imprenditore dovette essere assoluto ( v. Viceconte L’organizzazione del lavoro nell’impresa ,ed. Giappichelli 1982, con ampia trattazione della materia),considerata l’endemica disoccupazione ,che ha caratterizzato il nostro paese, che induceva, tra l’altro, all’emigrazione verso altri paesi.
Questa posizione di particolare vantaggio dell’imprenditore si manifestava in varie forme nell’ambito dell’impresa, ad. es. nella fissazione degli orari di lavoro nella fissazione delle tariffe prima dell’avvento dei concordati di tariffa- ed in altri numerosi aspetti.ma soprattutto nel potere di denuncia unilaterale, previo preavviso, del rapporto alla quale sono legittimati sia il datore di lavoro che il lavoratore ,solo apparentemente paritaria .Così infatti si pronuncia Riva Sanseverino Il lavoro nell’impresa,Trattato di diritto civile italiano sotto la Direzione di Filippo Vassali ,vol. XI^, pag.535,ss.:”A ciò si aggiunga cheladenuncia, unilaterale……… viene di regola posta in essere secondo quella forma libera, particolarmente rilevante nei riguardi del contratto di lavoro . Il licenziamento o le dimissioni possono pertanto essere date in qualsiasi forma, per iscritto, oralmente ( n.b. , ndr) o mediante atto concludente, dal quale possa tuttavia desumersi la volontà di recedere. A questo proposito va tuttavia tenuto presente … che la suddetta parità di posizione fra le parti contraenti è puramente formale, in quanto la libertà di denuncia unilaterale, mentre risponde in ogni caso ad interessi positivi per l’imprenditore, significa in genere, per il prestatore di lavoro, semplicemente la libertà di perdere, se non altro temporaneamente, l’unico od il prevalente mezzo per il sostentamento proprio e della propria famiglia: è questa infatti una delle situazioni in cui risulta particolarmente evidente come la simmetria nella posizione dell’imprenditore ed in quella del prestatore di lavoro, manchi della necessaria premessa di un corrispondente ed adeguato equilibrio economico.
La denuncia del contratto di lavoro è stata da tempo oggetto di particolare disciplina, tanto da parte della legge, quanto, e soprattutto, da parte dei contratti collettivi, i quali hanno specificato la sostituzione dell’ordinamento generale di cui attualmente all’art. 1453 e segg. cod. civ. . E, a partire dall’ultimo dopoguerra, i contratti collettivi hanno poi gradualmente portato ad una notevole alterazione dello stesso ordinamento speciale sintetizzato nell’art. 2118 cod. civ. (< ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato >) : questo, specialmente nel senso che il recesso unilaterale dell’imprenditore deve risultare obiettivamente giustificato ; e tale sistema, attualmente proprio alle imprese industriali le quali abbiano raggiunto una certa dimensione.La regola della non necessaria enunciazione dei motivi per il recesso unilaterale, era stata conunque derogata in determinate circostanze previste dalla legge, dai singoli interessati e, soprattutto, dai contratti collettivi
Tale disciplina contrattuale era data, nel settore dell’industria, ai licenziamenti collettivi e, più ancora, ai licenziamenti individuali, dagli accordi interconfederali rispettivamente del 20 dicembre 1950 e del 18 ottobre 1950,-poi sostituiti dagli accordi 5 maggio 1965 per i licenziamenti collettivi e 20 aprile 1965 per i licenziamenti individuali- che rappresenta la più importante deroga al principio della non necessaria enunciazione dei motivi per il recesso unilaterale dell’imprenditore. L’ordinamento risultante dai suddetti accordi intersindacali, al quale può anche ricollegarsi il diritto al lavoro di cui alla norma posta dall’art. 4 della costituzione , ha infatti superato il principio del licenziamento ad nutum : in virtù di tale ordinamento, il licenziamento ha cioè perso il carattere di negozio astratto quale risulta generalmente configurato dall’art. 2118 cod. civ.>.
6. Le note tappe essenziali del percorso di regolamentazione del recesso del datore di lavoro
Con la legge n.604 del 1966 si è definitivamente introdotto nell’ordinamento giuridico del nostro paese- in aggiunta al licenziamento per giusta causa di cui all’art.2119 c.c.- il principio dell’obbligo di forma scritta per il recesso del datore di lavoro nonché di motivazione del recesso medesimo , anche se inizialmente-come su detto- senza obbligo di esplicitazione-, con il riconoscimento al lavoratore ingiustamente licenziato del diritto alla riassunzione in alternativa al versamento di una indennità. ( c.d. area della tutela obbligatoria).
Successivamente con la legge 20 maggio 1970 n.300, modificata dalla l. 11 maggio 1990 n.108, si è introdotto l’obbligo della reintegrazione nel posto di lavoro, per i datori di lavoro di dimensioni superiori ad una soglia fissata dal legislatore per qualsiasi caso di licenziamento illegittimo ( c.d. area della tutela reintegratoria o area della stabilità reale). Che comportò la massima tutela mai raggiunta dal lavoratore nel nostro ordinamento giuridico.
Ma la crisi industriale dell’ultimo decennio del XIX^ secolo e dei primi anni del XX^ secolo hanno indotto il legislatore a ripensare il sistema del recesso con la modifica introdotta dalla legge Fornero che , se da un lato ha introdotto l’obbligo dell’enunciazione dei motivi del licenziamento, dall’altro ha fortemente minimizzato l’area della reintegrazione e l’ha sostituita con l’area “indennitaria” e la riforma del Jobs Act che ha espulso l’art. 18 dall’ordinamento giuridico del nostro paese, aumentando l’area indennitaria e mantenendo la tutela obbligatoria per le piccole imprese.
Si vede per tal modo come la tutela dell’interesse dell’imprenditore ( ex art. 41 Cost.) e la tutela dell’interesse del lavoratore ( ex art.4 Cost.) abbiano avuto un moto pendolare .Ci preme evidenziare, in particolare, quale sintomo del forte restringimento dei poteri dell’imprenditore, in forza del processo su visto, il capovolgimento del regime della forma del recesso del datore di lavoro che da libera è diventata vincolata e la cui violazione è stata valutata di tale gravità da essere, alfine, rimasta una delle non molte cause di reintegrazione nel posto di lavoro ( v. Carinci e altri, Diritto del lavoro, Il rapporto di lavoro subordinato,UTET,9^ edizione pag.443).
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