Secondo quanto disposto dall’art. 248, commi 2 e 4, t.u. enti locali, «2. Dalla data della dichiarazione di dissesto e sino all’approvazione del rendiconto di cui all’articolo 256 non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell’ente per i debiti che rientrano nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione. Le procedure esecutive pendenti alla data della dichiarazione di dissesto […] sono dichiarate estinte d’ufficio dal giudice con inserimento nella massa passiva dell’importo dovuto a titolo di capitale, accessori e spese. […]» 4. Dalla data della deliberazione di dissesto e sino all’approvazione del rendiconto di cui all’articolo 256 i debiti insoluti a tale data e le somme dovute per anticipazioni di cassa e già erogate non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria. Uguale disciplina si applica ai crediti nei confronti dell’ente che rientrano nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione a decorrere dal momento della loro liquidità ed esigibilità».
La disposizione in questione, in parte qua sostanzialmente riproduttiva della norma sancita dall’art. 81, d.lgs. n. 77 del 1995 (a sua volta mutuata dall’art. 21, d.l. n. 8 del 1993), impedisce dalla data di dichiarazione di dissesto:
- a) ai singoli creditori, di intraprendere o proseguire azioni esecutive per i debiti rientranti nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione;
- b) ai debiti insoluti, di produrre rivalutazione monetaria ed interessi di qualsivoglia natura.
La procedura di liquidazione dei debiti è essenzialmente dominata dal principio della par condicio dei creditori, sicché la tutela della concorsualità comporta, in linea generale, l’inibitoria anche del ricorso di ottemperanza in quanto misura coattiva di soddisfacimento individuale del creditore (Cons. Stato, sez. IV, n. 8363 del 30 novembre 2010 che richiama sez. VI, 26 novembre 2007, n. 6035; sez. V, 3 marzo 2004, n. 1035; sez. IV, 23 aprile 1999, n. 707; e, soprattutto Ad. plen., 24 giugno 1998, n. 4, resa in fattispecie governata dall’art. 21, d.l. n. 8 del 1993).
Come già evidenziato dal Consiglio di Stato (IV Sezione, sentenza n. 8363 del 2010) una importante, parziale, deroga a tale divieto è stata elaborata dalla menzionata pronuncia dell’Adunanza plenaria n. 4 del 1998 nella parte in cui ha riconosciuto che la speciale disciplina normativa per gli enti dissestati, inibendo le azioni esecutive «pure», ammette quelle aventi un sostanziale contenuto di cognizione perché rivolte, ad esempio, a quantificare le somme effettivamente dovute in base ad un giudicato che si sia limitato (come nel caso di specie) a fissare criteri generali; in tal caso il giudice dell’ottemperanza, anche mediante un proprio commissario, può liquidare le somme effettivamente dovute, segnalando l’esistenza e l’importo del credito all’organo straordinario di gestione.
Sebbene in ordine all’applicazione delle norme in esame si rilevino precedenti giurisprudenziali non sempre conformi, secondo il Collegio, a mente dell’art. 99 comma 3, c.p.a., si intende aderire a quello elaborato dalla Plenaria n. 4 del 1998 (successivamente, nel medesimo senso, cfr. Cons. giust. amm., n. 423 del 2015).
Siffatta ricostruzione interpretativa sopra sintetizzata ha trovato, inoltre, un decisivo avallo da parte delle Corte costituzionale, nella sentenza n. 154 del 21 giugno 2013, relativa alle analoghe disposizioni vigenti per le obbligazioni rientranti nella gestione commissariale del Comune di Roma (cfr., in particolare, l’art. 4, comma 8-bis, ultimo periodo, del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, conv. con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 marzo 2010, n. 42, nella parte in cui prevede, «ai fini di una corretta imputazione del piano di rientro», che il primo periodo del comma 3 dell’articolo 78 del d.l. n. 112 del 2008 «si interpreta nel senso che la gestione commissariale del comune assume, con bilancio separato rispetto a quello della gestione ordinaria, tutte le obbligazioni derivanti da fatti o atti posti in essere fino alla data del 28 aprile 2008, anche qualora le stesse siano accertate e i relativi crediti liquidati con sentenze pubblicate successivamente alla medesima data»).
La Corte ha ribadito che «in una procedura concorsuale – tipica di uno stato di dissesto – una norma che ancori ad una certa data il fatto o l’atto genetico dell’obbligazione è logica e coerente, proprio a tutela dell’eguaglianza tra i creditori, mentre la circostanza che l’accertamento del credito intervenga successivamente è irrilevante ai fini dell’imputazione».
Secondo la Corte, sarebbe infatti «irragionevole il contrario, giacché farebbe difetto una regola precisa per individuare i crediti imputabili alla gestione commissariale o a quella ordinaria e tutto sarebbe affidato alla casualità del momento in cui si forma il titolo esecutivo, anche all’esito di una procedura giudiziaria di durata non prevedibile. La fissazione di una data per distinguere le due gestioni avrebbe un valore soltanto relativo, né sarebbe perseguito in modo efficace l’obiettivo di tenere indenne la gestione ordinaria [….] dagli effetti del debito pregresso [….]».
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