Santi Romano, uno tra i più eminenti tra i teorici istituzionalisti, ebbe a teorizzare[1] che il diritto non è un prodotto sociale, perché è nella necessità che esso trova fondamento e, quindi, se l’istituzione è essa stessa diritto, allora ubi ius ibi societas; tale concettualizzazione ha in effetti trovato riscontro nei rinvenimenti archeologici effettuati a Nippur, antica città della Mesopotamia, che ha restituito il cosiddetto Codice di Ur-Nammu, un’antica tavola contenente scritti una raccolta/codice di leggi – i più antichi fino ad oggi conosciuti – redatto in lingua sumera verso il 2100-2050 a. C[2].
Indice
1. Il codice di Ur-Nammu
La prima parte del Codice, che è stata restituita da due frammenti a Nippur, fu tradotta da Samuel Kramer nel 1952. Poiché le tavolette d’argilla si sono solo parzialmente conservate, erano disponibili solo la “Prefazione” e cinque “leggi”[3]. Successivamente, sono state trovate diverse altre tavolette poi tradotte nel 1965, consentendo la ricostruzione di circa 40 delle 57 leggi[4]. Un’altra copia è stata in seguito pure trovata presso Sippar e mostra, in confronto alla precedente, delle leggere variazioni. Il Codice di UR-NAMMU si offre così come il primo testo sopravvissuto ai secoli d’una certa “codificazione” umana fissata su supporti giunti fino a noi, anticipando di molto tempo il successivo, celebre Codice di HAMMURAPI scritto solo nel XVIII sec. a.C. Un percorso come vedremo segnato da ulteriori, significative legislazioni intervenute nei territori vicino orientali, e che culmina nella grande sintesi dell’età persiana (V sec. a.C.) unificatrice di tutto il Vicino Oriente Antico. In sostanza il codice di UR NAMMU è il primo “codice” – ancora non definibile come tale, in senso letterale comee in senso terminologico, poiché la parola «codice» discende da una tradizione d un uso posteriori – dell’umanità, redatto nel 2100 a.C. dal re sumero Ur-Nammu, che regnò sulla città di Ur.
Il Codice di UR-NAMMU è composto da 28 articoli, che regolano una vasta gamma di questioni, tra cui un’area trasversale che regola le sfere civile, penale, commerciale e religiosa. Il codice, presumibilmente, era stato preceduto da un certo numero di leggi orali e consuetudinarie che ne prepararono il terreno per secoli, ma è la prima raccolta di istituzioni normative scritta e conservata. Esso è anche importante per la sua funzione educativa: il codice, infatti, non solo stabiliva le regole da seguire per la convivenza civile, ma serviva anche a educare i cittadini al rispetto della legge e dell’ordine sociale. In particolare, il Codice di UR NAMMU sottolineava l’importanza della giustizia e dell’uguaglianza di fronte alla legge, stabilendo che tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro classe sociale, dovevano essere sottoposti alle stesse leggi[5]. La codificazione delle leggi in Mesopotamia rappresenta un fenomeno cruciale nella storia del diritto Codice di UR-NAMMU segna una svolta nella concezione del diritto, passando da una giustizia basata su consuetudini orali a una giustizia scritta e sistematizzata: questo codice, composto da norme che regolano vari aspetti della vita sociale, dall’amministrazione della giustizia alle transazioni commerciali, riflette un avanzato livello di organizzazione sociale e giuridica.
2. I codici di Lipit-Istar ed Esnunna
Storicamente, su questo cammino delle codificazioni antiche troviamo quindi il cosiddetto “codice” di LIPIT-IŠTAR, prodotto dalla “legislazione” dell’ultimo sovrano della dinastia di Išin, in un periodo storico in cui tale dinastia si trovò minacciata dalle incursioni degli Amorrei. Tale momento legislativo di LIPIT-IŠTAR come vedremo più avanti si colloca in una posizione significativa, poiché costituisce al confronto con le legislazioni di UR-NAMMU un momento di inasprimento delle pene, con una speciale attenzione di severità normativa verso i reati contro la proprietà privata. In questo quadro evolutivo troviamo poi le cosiddette Leggi «ana ittišu», una testimonianza normativa della quale, però, sono giunti a noi solo pochi paragrafi in prospettiva frammentaria, seppur rivestendo comunque alcuni aspetti di interesse, nella evoluzione delle concezioni legali. Un momento normativo nel quale si indovina una elaborazione capace di differenziare le diverse fattispecie di reato, per esempio, così come di indicare una serie articolata di azioni “risarcitorie”. Con esso si chiude anche il ciclo più direttamente riconducibile al mondo politico e culturale sumero e poi neo sumerico.
Ulteriore corpus di indicazioni legislative giunto dall’antichità mesopotamica è il cosiddetto “Codice” di EŠNUNNA, generato dall’omonimo, alquanto fiorente regno[6], posizionato nella Mesopotamia centro-orientale. Esso, composto di circa una sessantina di Leggi, rispondeva alle esigenze di una società divisa in tre sorte di “caste” sociali, secondo un modello che arriverà fino alla Babilonia dei secoli successivi; in effetti, tale prodotto giuridico viene riportato nel contesto della “cultura babilonese”. Il regno di Ešnunna, d’altra parte, attesta un’organizzazione sociale ed un’economia ancora prevalentemente basate sull’agricoltura, cui il “codice” dedica di fatti numerose sistemazioni normative. Una differenza in confronto alla stessa Babilonia, la quale vedrà svilupparsi una società invece piuttosto integrata di funzioni, ed in cui accanto all’agricoltura si imporrà sempre di più anche un modello allargato di economia commerciale. Va sottolineato come le leggi di EŠNUNNA appaiano essere pressoché coeve al regno di Hammurapi, generate sotto il regno di Dadausa, nel 1770 circa a. C.
3. Il codice di Hammurapi e le leggi neo-babilonesi
Il Codice di HAMMURAPI (II millennio a.C.) è riconosciuto oggi come patrimonio giuridico della storia umana. Esso si presenta quale raccolta di leggi promulgata dal re Hammurabi di Babilonia nel corso del XVIII secolo a. C, con un’influenza significativa sullo sviluppo successivo del diritto in tutto il mondo antico. La struttura del Codice di HAMMURAPI è organizzata in 282 articoli, suddivisi in 28 sezioni: le sezioni spaziano anch’esse attraverso una vasta gamma di questioni e coprono un po’ tutte le aree della vita civile, offrendosi come un dispositivo regolatore epocale della civiltà mesopotamica, con tangibili sviluppi – “prodromi”, come vedremo più avanti – delle giurisdizioni penali, civili, commerciali. Il Codice di HAMMURAPI è importante per diversi motivi, soprattutto in quanto sviluppo della capacità di regolazione organizzativa di una società divenuta, all’epoca del grande sovrano, oramai realmente diversificata e complessa, costituendo di fatto una testimonianza di una certa sofisticatezza giuridica e legale raggiunta nell’antichità, con innovazioni significative nel campo del diritto commerciale e delle legislazioni sulla navigazione. Il Codice di HAMMURAPI ha influenzato l’intera storia successiva delle pratiche normative tra Vicino Oriente e in seguito anche nel mondo mediterraneo, riemergendo dopo millenni di oblio a offrire alcuni modelli persino al Codice civile francese, ad esempio, basato in parte proprio sul Codice di HAMMURAPI.
Andranno pure nominate in questa rapida rassegna le cosiddette “leggi neo-babilonesi”, delle quali però sono state scoperti solo alcuni paragrafi residuali, relativi perlopiù a un certo diritto di regolazione civile; si parla in proposito anche di “diritto neo-babilonese”[7]. Siamo oramai giunti all’epoca di Nabucodonosor e alle successive evoluzioni che porteranno l’affermazione del cosiddetto Nuovo Regno Assiro.
Non andrà taciuto anche il ruolo in questa evoluzione giocata dallo stesso mondo assiro già definite quali in precedenza, del quale abbiamo ereditato un lotto di tavolette nell’ambito degli studiosi “Leggi Medio-Assire”, probabilmente assegnabili come redazione al periodo di regno relativo al re Tiglat-Pileser I, ma risalenti nella loro stesura originaria a copie di testi precedenti. Importanti furono anche le leggi hittite, le quali in un territorio molto più spostato verso occidente, nelle regioni dell’Asia minore, sostennero gli ordinamenti di un regno riuscito, per un certo tempo, a profilarsi con forza come una delle potenze vicino orientali più significative. Le leggi hittite[8] in questa evoluzione mostrarono una cultura diversa all’opera, segnata da legislazioni più miti, come più avanti vedremo.
4. L’evoluzione del pensiero giuridico nella codificazione antica
L’evoluzione del pensiero legale e giuridico nell’antico Vicino Oriente costituisce in realtà un mosaico complesso, che prefigura ma già, almeno in parte, sistema un tracciato per le codificazioni future, dimostrando l’importanza di queste prime codificazioni mesopotamiche nella storia del diritto[9]. Questi antichi testi giuridici, quindi, non solo hanno segnato il passaggio da un sistema basato su tradizioni orali a uno scritto, ma hanno anche introdotto una rivoluzionaria nozione di legge universale e codificata. La loro esistenza dimostra che la codificazione delle leggi non è un fenomeno recente, ma un’idea che ha radici profonde nella storia umana, evolvendosi in risposta alle esigenze e alle strutture sociali di ogni epoca. Il Codice di UR-NAMMU, in particolare, con la sua enfasi su principi come giustizia e uguaglianza di fronte alla legge, rappresenta un precursore di molte delle idee giuridiche moderne, influenzando non solo la storia del diritto, ma anche la formazione di sistemi giuridici e di governo nel corso dei secoli[10]. L’eredità dei codici di UR-NAMMU e di HAMMURAPIsi estende oltre i loro contesti storici e geografici, influenzando direttamente o indirettamente le tradizioni giuridiche di numerose civiltà[11].
Le leggi erano organizzate in modo sistematico, con disposizioni specifiche per ogni tipo di reato o contratto, stabilendo così un primo schema di ordine giuridico che trascendeva le decisioni individuali e arbitrarie. Questo aspetto dei codici mesopotamici è particolarmente rilevante in quanto sembra rappresentare uno dei primi esempi di un sistema legale in grado di distanziarsi dalla semplice vendetta personale, proponendo soluzioni più meditate, non raramente segnate dall’essere eque e misurate. Oltre a ciò, la presenza di sanzioni specifiche per ogni tipo di reato dimostra un’evoluzione significativa nel pensiero giuridico.
La trasmissione di tali codici rifletteva le tecnologie e le strutture sociali dell’epoca. Tavolette di argilla incise con scrittura cuneiforme erano il supporto per diffondere le norme legali, segnando un’era in cui la scrittura svolgeva un ruolo fondamentale nella conservazione e nel trasferimento del sapere[12]. Le primordiali testimonianze di “codici” legali, come quelli della Mesopotamia, si rivelano esempi eclatanti dell’abilità umana nell’organizzare la società secondo principi di equità e ordine. Nel Vicino Oriente Antico, d’altronde, la diffusione delle leggi era strettamente legata alla vita religiosa e politica. Leggi, spesso attribuite a divinità o al volere degli dei, venivano insegnate e interpretate in un contesto che univa credenze religiose e prassi giuridiche, in una fusione tra dimensione del sacro e sfera legale la quale conferiva alle leggi un’autorità indiscussa, rendendole colonne portanti delle società antiche.
La scrittura delle leggi incise su monumenti pubblici, come la stele di Hammurapi, dimostra non solo l’intento di codificare le norme, ma anche di renderle accessibili, in qualche modo “tangibili” di fronte a tutta la popolazione. Simile pratica serviva a diffondere la conoscenza delle leggi tra i membri della comunità, rafforzando la loro presenza costante nella vita di tutti i giorni di ogni persona. Sebbene la lettura diretta dei testi legali fosse appannaggio di pochi, la loro esposizione pubblica simboleggiava universalità e importanza per la collettività. Aspetti per così dire “didattici” nelle società antiche non erano limitati alla trasmissione formale delle leggi nei templi o nelle scuole, ma si estendevano alla vita quotidiana. Racconti, esempi e aneddoti integravano norme e principi legali nel tessuto sociale, educando implicitamente i cittadini al rispetto e alla comprensione delle leggi. In questa dimensione, la legge diventava un elemento di coesione, un ponte tra individuo e comunità, tra ordine terreno e ordine divino.
L’intreccio tra norme legali e dimensione religiosa costituiva una caratteristica distintiva delle società del Vicino Oriente Antico. In queste culture, le leggi non erano semplicemente regole di condotta sociale, ma emanazioni della volontà divina, profondamente radicate nelle credenze religiose e nelle tradizioni spirituali.
La percezione delle leggi come estensioni del volere degli dei conferiva loro un’autorità morale e spirituale che andava oltre il mero obbligo giuridico. In Mesopotamia, ad esempio, i codici legali venivano spesso presentati come diretti da una divinità o impartiti da un re considerato rappresentante o addirittura incarnazione della divinità sulla terra. Questa associazione tra potere legale e potere divino non solo rafforzava la legittimità delle leggi, ma infondeva anche un senso di sacralità nelle norme e nelle loro applicazioni. Nei vari regni e città-stato del Vicino Oriente Antico, era la figura del sovrano a svolgere il ruolo centrale in questo processo. Sovrani come Hammurapi di Babilonia si proclamavano guardiani delle leggi divine, sottolineando il loro ruolo come mediatori tra gli dei e il popolo[13]; la stele di Hammurabi, per esempio, non solo elenca le leggi ma inizia con un prologo che descrive il sovrano come scelto dagli dei per portare la giustizia sulla terra. Tale associazione non si esauriva in una rappresentazione puramente simbolica, ma si rifletteva anche profondamente nella vita quotidiana, dove le decisioni legali e i giudizi venivano percepiti come espressioni della volontà divina.
L’Antico Egitto, con la sua storia millenaria, offre un interessante contrasto con le società mesopotamiche. Mentre in Mesopotamia esistevano codici legali scritti come quello di Hammurapi, l’Egitto si distingueva per una maggiore enfasi sul diritto consuetudinario e per l’importanza cruciale della figura del faraone come fonte suprema di legge[14]– i faraoni, considerati divinità viventi, incarnavano in quanto tali la legge stessa. Non esisteva un “codice legale” formale né scritto, ma piuttosto una serie di decreti e ordini reali i quali fungevano ogni volta da direttive legali. In questo senso, il diritto egizio appare meno codificato ma anche più fluido rispetto a quello mesopotamico, adattandosi in maniera caratteristica ai cambiamenti e alle esigenze del tempo sotto la guida del sovrano.
Le civiltà mesopotamiche, come quella sumera e quella accadica, offrono a loro volta un esempio significativo di come le lingue e le culture possano influenzarsi a vicenda. I Sumeri, con la loro scrittura cuneiforme e le loro innovazioni legali, influenzarono profondamente i popoli accadici, che adottarono e adattarono sia la lingua sumera sia diversi aspetti del suo sistema legale. Questo processo di assimilazione e adattamento linguistico – quanto culturale, sotto diversi aspetti – non solo arricchì il patrimonio giuridico accadico, ma contribuì anche a creare un terreno comune per l’interazione tra diverse comunità nella regione.
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Note
[1] S. ROMANO, L’ordinamento giuridico, Sansoni, Firenze 1946; oggi ripubblicato dalle edizioni Quodlibet, Macerata 2018
[2] Una ricognizione ampia delle legislazioni antico mesopotamiche si può trovare in M. T. ROTH, Raccolte di diritto della Mesopotamia e dell’Asia Minore. Scritti dal mondo antico, Society of Biblical Literature, 1995
[3] S. N. KRAMER, I Sumeri alle origini della storia, Newton Compton editore, Roma 1979 (1958), pp. 52-55
[4] O. R. GURNEY; S. N. KRAMER, Two fragments of Sumerian laws, in Studies in honor of Benno Landsberger on his seventy-fifth birthday, April 21 (1965), 13-19
[5] Sulla civiltà sumerica più ampiamente considerata, G. PETTINATO, I Sumeri, Rusconi, Milano 1992
[6] E. SZLECHTER, Les lois d’Ešnunna. Transcription, traduction, commentaire, Recueil Sirey, Paris 1954
[7] Utile rassegna storica è quella presentata da C. SIMONETTI, Diritti mesopotamici, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2016
[8] Un testo storico rilevabile in materia è F. IMPARATI, Le leggi ittite, edizioni dell’Ateneo, Roma 1964
[9] Interessante la recente sintesi di respiro millenario proposta in F. PIRIE, The Rule of Laws: A 4,000-Year Quest to Order the World, Profile Books Ltd 2021
[10] K. TSUJIMURA; M. TSUJIMURA, Roman law in the national accounting perspective: Usus, fructus and abusus. Statistical Journal of the IAOS, 2021, Vol. 37.2, pp. 613-628.
[11] E. A. SPEISER, Early Law and Civilization, Can. B. Rev., 1953, Vol. 31, p. 863
[12] M. PUCHNER, The Written World: How Literature Shaped History, Granta Books, 2017
[13] A. BLACK, A World History of Ancient Political Thought: Its Significance and Consequences. Oxford University Press, 2016
[14] R. C. ELLICKSON; C. D. THORLAND, Ancient Land Law: Mesopotamia, Egypt, Israel, Chi.-Kent L. Rev., 1995, Vol. 71
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