Esclusa la responsabilità dell’ospedale se i genitori non provano che la tempestiva diagnosi li avrebbe indotti ad abortire. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Indice
1. I fatti: il decesso in ospedale
I genitori di una bambina deceduta dopo solo tre mesi di vita adivano il Tribunale etneo per chiedere il risarcimento dei danni subiti nei confronti della struttura sanitaria dove la bambina era nata e del medico che aveva in cura la madre durante la gestazione.
In particolare, gli attori sostenevano che la donna aveva partorito con l’assistenza del medico convenuto, a seguito di parto cesareo, dando alla luce la bambina che veniva trasportata d’urgenza presso un altro ospedale dove le era stata diagnosticata una Tetralogia di Fallot e che a seguito di cure e di un intervento chirurgico durato ben 10 ore la piccola era deceduta soltanto tre mesi dopo la nascita.
Secondo gli attori, sussisteva una responsabilità professionale del medico per mancata diagnosi della malattia di cui la piccola era affetta e per inadeguata e incompleta informazione con impossibilità di effettuare una scelta consapevole circa la prosecuzione della gravidanza nonché di scegliere una struttura attrezzata con reparto di cardiochirurgia ove far nascere la bambina. Infine, sostenevano di aver subito entrambi un danno non patrimoniale da lesione alla salute e da sofferenza interiore per la morte della figlia.
I convenuti si costituivano in giudizio negando una responsabilità del medico e eccependo che gli attori si erano già costituiti nel giudizio penale nei confronti del medico medesimo, dove questi era stato assolto. Infine, la struttura sanitaria eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva in quanto il medico aveva assistito l’attrice durante la gravidanza anche con attività intramoenia presso il suo studio privato e pertanto il rapporto contrattuale era insorto soltanto nei confronti del sanitario. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
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2. Le valutazioni del Tribunale
Preliminarmente, il Tribunale ha affrontato l’eccezione relativa al giudicato penale nei confronti del medico. A tal proposito, il giudice ha ricordato che il nostro ordinamento non è più inspirato al principio dell’unità della giurisdizione e della prevalenza del giudizio penale su quello civile, in quanto sussiste invece un sistema di completa autonomia e separazione tra i due processi, salvo limitate eccezioni. In altri termini, salvo i casi eccezionali previsti dal codice di rito, il processo civile non è influenzato dal processo penale e il giudice civile deve accertare i fatti e la responsabilità civile del convenuto con pienezza di cognizione senza essere vincolato alle soluzioni e alle qualificazioni del giudice penale. Soltanto nel caso in cui l’azione civile sia stata proposta dopo la costituzione di parte civile in sede penale o dopo che sia stata emessa la sentenza penale di primo grado si verifica una interferenza del giudicato penale nel giudizio civile di danno.
Nel caso di specie, il giudice ha accertato che il medesimo Tribunale di Catania aveva già assolto il medico con la formula “perché il fatto non sussiste”.
Pertanto, il giudice ha ritenuto che gli attori devono subire nel giudizio civile gli effetti della sentenza penale di assoluzione del medico, in quanto si sono costituiti parti civili e non hanno mai revocato detta costituzione ed essendo la sentenza penale passata in giudicato.
Tuttavia, il processo civile deve proseguire in quanto il medesimo è stato introdotto anche nei confronti della struttura sanitaria e delle compagnie assicurative, che non erano parti nel processo penale.
Ciò premesso, il giudice ha ricordato che la responsabilità medica ha natura contrattuale e che la sua fonte è il contratto di spedalità che nasce tra la struttura sanitaria e il paziente al momento della sua accettazione all’interno della struttura. Inoltre, detto regime di responsabilità contrattuale si applica sia per i fatti di inadempimento propri della struttura, sia per le condotte poste in essere dai medici dipendenti.
In secondo luogo, il giudice ha ricordato che il predetto regime di responsabilità contrattuale opera anche in favore del padre della bambina. Infatti, nelle ipotesi di prestazioni sanitarie rese in favore di una gestante, sussiste un rapporto contrattuale anche con il padre del nascituro, il quale non può considerarsi terzo rispetto alle prestazioni rese dai sanitari.
In altri termini, il padre del nascituro non può ritenersi estraneo rispetto agli effetti negativi della condotta del medico ed alla responsabilità della struttura sanitaria dove quest’ultimo opera.
Pertanto, il padre deve considerarsi tra i soggetti protetti dal regime di responsabilità contrattuale e quindi tra coloro rispetto ai quali la prestazione inesatta del medico è qualificabile come inadempimento (con conseguente diritto al risarcimento del danno).
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3. La decisione del Tribunale
Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto provato che la gestante abbia intrattenuto un rapporto di fiducia con il medico convenuto e che quest’ultimo l’abbia assistita durante il parto cesareo eseguito nella struttura sanitaria convenuta.
In ragione di ciò e di principi poc’anzi esposti, il giudice ha ritenuto che sia il medico sia la struttura sanitaria rispondono a titolo contrattuale nei confronti della gestante e del padre della bambina.
Tuttavia, applicando i principi in tema di onere di allegazione e di prova in tema di responsabilità medica, il giudice ha ritenuto di dover respingere la domanda risarcitoria proposta dagli attori.
In particolare, secondo il giudice nel caso di specie gli attori avevano allegato che, a causa dell’errore di omessa diagnosi (delle malformazioni) da parte del medico, i genitori della bambina non hanno potuto effettuare una scelta consapevole circa la prosecuzione della gravidanza, né scegliere una struttura sanitaria dotata di un reparto di cardiochirurgia dove far nascere la piccola.
Gli esiti della CTU svolta durante il giudizio hanno dimostrato sì che la bambina, dopo la nascita, risultò affetta da una grave malformazione genetica e che alcune delle conseguenti malformazioni al feto avrebbero potuto essere individuate dal sanitario durante l’ecografia già nel secondo trimestre di gestazione (con conseguente errore diagnostico del medico); tuttavia, non è stato provato che la tempestiva diagnosi avrebbe consentito agli attori di decidere di interrompere la gravidanza: ciò, sia perché gli attori non hanno neanche allegato che lo avrebbero fatto, sia perché non vi è prova che la patologia della bambina costituisse un pericolo per la salute della madre, con conseguente impossibilità per la stessa di esercitare la facoltà di aborto prevista dalla normativa di settore.
Inoltre, dalla CTU è emerso che se anche la bambina fosse nata in un centro specializzato in cardiochirurgia neonatale non avrebbe avuto alcun vantaggio, né in termini di sopravvivenza né in termini di perdita di chances, in quanto la patologia di cui la stessa era affetta non necessitava di alcun intervento in emergenza alla nascita.
In considerazione di quanto sopra, il Tribunale ha rigettato la domanda attorea e ha condannato i genitori della bambina deceduta al pagamento delle spese di giudizio a favore delle parti convenute.
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