Ospedali chiusi: può il diritto alla salute dei cittadini essere sacrificato sull’altare del pareggio di bilancio? Quel brutto pasticciaccio dell’ospedale “Guido Chidichimo”.

Risanare oramai è diventata la parola d’ordine negli Enti pubblici, e dopo la continua emorragia di denaro pubblico, perso tra migliaia di “rivoli” chiamati corruzione, mala gestione della cosa pubblica, eccessiva burocrazia e così via, si cerca di correre ai ripari, si deve tagliare.

Quando però i tagli coinvolgono le incolpevoli popolazioni ed i loro sacrosanti diritti, costituzionalmente garantiti, come il diritto alla salute, non è possibile fare calcoli da freddi ragionieri ma occorre necessariamente contemperare l’interesse dei cittadini.

Ed allora è necessario, prima di iniziare la disamina della sentenza oggi in commento, citare il primo comma dell’art. 32 della Costituzione, il quale testualmente riferisce: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

Ciò posto, il Consiglio di Stato, sembra tenere bene a mente il ricordato precetto costituzionale e con la sentenza n. 2151, pubblicata in data 27 aprile 2015, con la quale è stata “annullato il decreto 22 ottobre 2010 n. 18, del Presidente della Giunta regionale …, in qualità di Commissario ad acta, per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario, ed gli atti successivi commissariali ed aziendali legati a tale decreto da vincoli di presupposizione”, ne da piena attuazione.

La vicenda giudiziaria.

Con decreto 22.10.2010 n. 18, il Presidente della Giunta regionale, nella sua qualità di Commissario ad acta, per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario, disponeva – tra l’altro – la riconversione dell’ospedale generale “Guido Chidichimo” in ospedale distrettuale.

Con ulteriore decreto del Commissario ad acta datato 20.11.2011, di approvazione del riordino della rete ospedaliera, di individuazione dei siti per la realizzazione delle “case della salute”, l’ospedale “Guido Chidichimo”, veniva trasformato da distrettuale a Centro di Assistenza Primaria Territoriale (CAPT), sulla scorta di una ipotetica futura costruzione di un unico ospedale per l’intero comprensorio, dotato di pista di atterraggio per elicotteri.

Sostanzialmente, l’ospedale “Guido Chidichimo”, veniva dapprima trasformato in un Pronto Soccorso con numero limitato di specialità (ospedale distrettuale) e, quindi, una sorta di ambulatorio che avrebbe dovuto ospitare – a turno – i cd. medici di famiglia del comprensorio (CAPT).

Successivamente, con deliberazione dell’ASP competente per territorio, datata 29.12.2011, n. 4100, il Pronto Soccorso del medesimo ospedale, veniva trasformato in Punto di Primo Intervento rafforzato (PPIr). In altri termini, una struttura con allocati all’interno un medico e qualche infermiere, idonei esclusivamente a stabilizzare il paziente in emergenza sanitaria, per poi trasferirlo immediatamente all’ospedale più vicino, se disponibile.

Il Comune dove era ubicato l’ospedale “Guido Chidichimo”, con l’intervento ad adiuvandum di alcune associazioni del posto, impugnava i suddetti provvedimenti dinnanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria.

Il ricorso veniva rigettato con sentenza n. 65, del 24.01.2013 che, conseguentemente, veniva appellata dinnanzi al Consiglio di Stato.

L’appello si articolava attraverso cinque motivi, si costituivano e resistevano in giudizio l’Avvocatura generale dello Stato, nell’interesse dei Ministeri della salute e dell’economia e finanze, il Commissario alla sanità regionale, l’ASP e la Regione.

Nelle more del giudizio il Consiglio di Stato disponeva incombenti a carico del Commissario ad acta, sostanzialmente chiedeva ulteriore documentazione, il Comune appellante contestava la documentazione prodotta.

In estrema sintesi, il Comune appellante, con i predetti cinqui motivi di appello, deduceva l’illegittimità della nomina del Commissario ad acta e, pertanto, l’illegittimità dei suoi atti, l’incompatibilità del Presidente della Regione a rivestire anche la qualità di Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario, l’eccesso di potere e, infine, l’illegittimità del decreto 22 ottobre 2010 n. 18, del Presidente della Giunta regionale, nella qualità di Commissario ad acta, di attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario, nonché i successivi atti commissariali.

Come detto, il Consiglio di Stato, con la richiamata sentenza n. n. 2151, del 27.04.2015, rigettava i quattro motivi di appello ma accoglieva quello afferente la dedotta illegittimità del decreto 22.10.2010 n. 18, del Presidente della Giunta regionale (Commissario ad acta), in buona sostanza, disattese le eccezioni per così dire procedurali (inerenti la nomina del Commissario ad acta), riteneva meritevole d’accoglimento il motivo di merito, peraltro, – ad avviso di chi scrive – il più importante e pregno di significato, specie per le popolazioni locali.

La terza sezione del Consiglio di Stato ritiene, infatti: “fondate alcune doglianze, disattese dal primo giudice, sostanzialmente di irragionevolezza, difetto di adeguata istruttoria e difetto dei presupposti in relazione all’individuazione dell’ospedale “Chidichimo” di … quale presidio da riconvenrtire”.

In altri termini, la riconversione dell’ospedale “Guido Chidichimo” risulterebbe avvenuta senza appropriata indagine, in mancanza dei presupposti di legge e, pertanto, in maniera irragionevole.

A nulla, per il collegio, valgono le difese della Regione e del Commissario ad acta, che pure aveva opposto il rispetto degli standard minimi essenziali, vale a dire i cd. LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), riferendo come, nel caso di specie, i tempi di percorrenza dell’utenza relativa alle zone servite dall’ex ospedale “Guido Chidichimo”, verso i più vicini presidi ospedalieri (Hub, Spoke o ospedale generale) fossero comunque contenuti nei 60 minuti.

Neppure “la carta” relativa alla presenza presso il CAPT dell’ex “Chidichimo”, della fantomatica “apposita pista di atterraggio che nei casi più gravi di emergenza/urgenza garantirà un trasporto immediato dei pazienti attraverso l’elisoccorso”, viene giustamente presa in considerazione dal Consiglio di Stato.

Ma andiamo per ordine.

In primo luogo il giudice di secondo grado riferisce che ogni valutazione della vicenda deve essere, chiaramente, fatta all’attualità, pertanto, la futura (“ed incerta”) nuova realizzazione di un ospedale distrettuale non può entrare utilmente nel giudizio.

Anche la dedotta presenza di una pista di atterraggio per l’elicottero nei fatti non esiste, essendo “stato solo acquisito un preventivo per l’espletamento delle verifiche di fattibilità, mentre l’accennato documento (ancora in itinere) ne prevede la realizzazione da ultimarsi entro il 30 giugno 2015”. Per la cronaca, ad oggi, della “famigerata” pista di atterraggio non vi è traccia.

Sgomberato il campo da ipotetiche, futuristiche, strutture sanitarie e servizi elitrasportati, il Consiglio di Stato rileva per il “disposto riordino della rete ospedaliera, in particolare la trasformazione dell’ospedale generale di … in ospedale distrettuale, poi CAPT-casa della salute con P.P.I.r., si basi sulla situazione in atto esistente, … i presupposti fattuali oggettivi da cui essa muove non sussistono, come confermato dagli esiti dell’istruttoria svolta a tal riguardo ed articolata sulle distanze ed i tempi di percorrenza di 17 Comuni del distretto di … ai presidi ospedalieri di…”.

Ecco, quindi, che viene completamente smentita la tesi degli Enti resistenti.

In particolare, osserva il collegio, per diversi Comuni del comprensorio, così come rinveniente dalle attestazioni degli uffici tecnici comunali, “non è rispettato il tempo massimo di sessanta minuti per alcuno dei quattro presidi indicati, stante la distanza minima dal più vicino presidio di … di 64 minuti dal primo e di 81 minuti dal secondo… dovendosi seguire un tracciato di una strada provinciale tortuosa che si collega alla vecchia strada statale n. 106, caratterizzata da traffico intenso e pericoloso durante il periodo estivo”.

Inoltre: “… il contestato piano di riordino della rete ospedaliera non ha tenuto in debito conto il bacino d’utenza dell’ospedale “Chidichimo”, costituito non solo dalla fascia costiera ma anche dalle aree montane dell’Alto Ionio, nonché la conformazione oro-geografica e le condizioni di viabilità intera zona… In altri termini, poiché per la maggior parte del bacino è verosimilmente stimabile un tempo di percorrenza maggiore di 60 minuti verso i presidi di …, appare ben poco credibile che la contestata riconversione dell’ospedale “Chidichimo” consenta la concreta possibilità del rispetto del livello essenziale di assistenza concernente la c.d. golden hour”.

In altri termini, il piano di riordino della rete ospedaliera e, in particolare, la riconversione dell’ospedale “Guido Chidichimo”, avviata con il decreto 22 ottobre 2010 n. 18, del Presidente della Giunta regionale, nella qualità di Commissario ad acta, viene sonoramente bocciata e, conseguentemente, il predetto decreto ed i successivi atti commissariali ed aziendali legati a tale decreto da vincoli di presupposizione, sono dichiarati illegittimi e annullati, ai fini dell’adozione di nuove determinazioni.

A questo punto, considerata la sentenza di secondo grado, peraltro, passata in autorità di cosa giudicata, ci si aspetterebbe la riapertura totale dell’ospedale “Guido Chidichimo”, giuridicamente non esistendo più (siccome annullati) gli atti che ne disponevano la conversione.

E invece no!!!

Le autorità preposte, in primo luogo il Commissario ad acta e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ad oggi, non hanno ancora dato attuazione ad una sentenza di un organo giurisdizionale dello Stato.

Neppure un’interrogazione parlamentare è servita per ridare la luce all’ospedale “Guido Chidichimo”, in piena attuazione di una sentenza passata in giudicato.

Per inciso, le voci che pure si levano in merito al solo “parziale” accoglimento del ricorso avanzato dal Comune interessato alla ri-apertura dell’ospedale, così come sentite in sede di interrogazione parlamentare o da altri fautori della (illegittima) riconversione, risultano evidentemente errate.

Ed invero, per amore della verità, il ricorso è sì stato parzialmente accolto, ma i motivi di appello rigettati attengono esclusivamente ad aspetti procedurali della vicenda (legittimità della nomina del Commissario ad acta, incompatibilità dello stesso con la qualità di Presidente del Consiglio Regionale, eccetera), aspetti, quindi, che non involgono il merito del giudizio.

Il merito del giudizio, in realtà, ha indubitabilmente evidenziato che il piano di riordino della rete ospedaliera e, in particolare, la riconversione dell’ospedale “Guido Chidichimo”, avviata con il decreto 22 ottobre 2010 n. 18, del Presidente della Giunta regionale, nella qualità di Commissario ad acta, al pari dei successivi atti commissariali legati da vincoli di presupposizione al suddetto decreto sono illegittimi e, pertanto, sono stati annullati.

Purtroppo, ad oggi, come detto, nessuna esecuzione è stata data dagli organi prepositi al provvedimento giudiziale e, fermi restando gli ulteriori possibili sviluppi della vicenda, anche con riguardo agli aspetti penalistici della stessa, oltre che al necessario e doveroso giudizio di ottemperanza, che il Comune interessato ha già avviato, appare davvero paradossale, oltre che anacronistico, che per far rispettare una decisione di un organo giurisdizionale, da parte di altri organi dello Stato, occorre mettere mani ancora alla “carta bollata”, mentre le popolazioni interessate continuano a subire senza colpa alcuna i “tagli sanitari”, sia pure dichiarati illegittimi.

Avv. Accoti Paolo

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