Osservazioni (malgradite) sulle liquidazioni ex D.M. 55/2014 nel patrocinio a spese dello Stato e nei procedimenti di sorveglianza

          Sommario: 1. Premessa. Il vuoto normativo relativo ai procedimenti innanzi al magistrato di sorveglianza e sua integrazione. – 2. L’operatività dei parametri previsti dal D.M. 55/2014 rispetto ai procedimenti innanzi alla magistratura di sorveglianza.  – 3. La persistente vigenza dell’art. 1 D.M. 140/2012 e conseguente derogabilità (pure) dei parametri previsti dal D.M. 55/2014. –  4. La supposta inderogabilità dei “nuovi” parametri quale  causa di invalidità del D.M. 55/2014 e della sua disapplicabilità. Premessa. 4. 1. (Segue) La supposta inderogabilità dei “nuovi” parametri quale causa di disapplicabilità del D.M. 55/2014 per  violazione dell’art. 2, comma 1,  D.L. 223/2006 (c.d. Decreto Bersani). 4. 2. (Segue) La supposta inderogabilità dei “nuovi” parametri quale causa di disapplicabilità del D.M. 55/2014 per  violazione dell’art. 3 Cost. 4. 3. (Segue) La supposta inderogabilità dei “nuovi” parametri quale causa di disapplicabilità del D.M. 55/2014 per  violazione dell’art. 1, comma 5, L. 247/2012. 5. Conclusioni.

 

   1. Premessa. Il vuoto normativo relativo ai procedimenti innanzi al magistrato di sorveglianza e sua integrazione.

   La magistratura di sorveglianza ([1]) provvede di regola alla liquidazione dei compensi spettanti ai difensori di soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato [o in ipotesi a questa assimilate dagli artt. 115 ss. D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 ([2])].

   A prescindere da quanto si dirà in seguito sui rapporti intercorrenti col D.M. 140/2012 ([3]), tale liquidazione soggiace oggi alle disposizioni contenute nel D.M. 55/2014 ([4]), il cui art. 1 stabilisce: “Il  presente  regolamento   disciplina   per   le   prestazioni professionali i parametri dei compensi all’avvocato  quando  all’atto dell’incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione  consensuale degli  stessi,  comprese  le  ipotesi  di  liquidazione  nonché   di prestazione nell’interesse di terzi o prestazioni officiose  previste dalla legge,  ferma  restando  –  anche  in  caso  di  determinazione contrattuale del compenso – la disciplina del rimborso spese  di  cui al successivo articolo 2”.

   Le “disposizioni concernenti l’attività penale”, a loro volta, sono quelle contenute nel Capo III dello stesso D.M. 55/2014 (artt. 12-17).

   Fondamentale tra queste si rivela l’art. 12 (Parametri generali per la determinazione dei compensi), il cui comma 1, dopo avere (in modo ridondante) sostanzialmente ripetuto quanto (più icasticamente) scritto nell’art. 12 D.M. 140/2012 ([5]), prevede: “Il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali, possono, di regola,” ([6]) “essere aumentati fino all’80%, o diminuiti fino al 50%”.

   Sennonché, l’allegata Tabella 15. Giudizi penali prende in considerazione soltanto il “Tribunale di Sorveglianza”, mentre nulla dice a proposito del “Magistrato di Sorveglianza”: donde la necessità di individuare i parametri utilizzabili per la liquidazione dei compensi spettanti al difensore per l’attività svolta innanzi a quest’ultimo.

   Orbene!

   E’ vero che lo stesso D.M.  55/2014 fornisce lo strumento finalizzato a colmare tale lacuna, rappresentato (ovviamente: v. art. 12, comma 2, preleggi) dall’applicazione analogica prevista dall’art. 3 ([7]).

   Ma è parimenti vero che  l’utilizzazione di tale strumento determina nella fattispecie risultati equivoci perché:

a) una “analogia organica” (basata, cioè, sulla composizione dell’organo giurisdizionale) induce ad applicare al “Magistrato di  Sorveglianza” i parametri previsti dalla stessa tabella per il “Tribunale monocratico”;

b) una “analogia funzionale” (basata, cioè, sulla natura delle funzioni svolte) porta ad applicare al “Magistrato di Sorveglianza” i parametri ivi stabiliti per il “Tribunale di Sorveglianza”.

   A nostro avviso è preferibile la soluzione sub a) perché:

–  i parametri numerici esplicitamente previsti dalla tabella de qua per il “Tribunale di Sorveglianza” sono assolutamente speculari a quelli indicati per la “Corte di Appello”, di guisa che il criterio ispiratore della tabella stessa sembra essere quello della composizione dell’organo e non quello della funzione espletata;

–  l’assimilazione tabellare del “Magistrato di Sorveglianza” al “Tribunale monocratico” (e del “Tribunale di Sorveglianza” alla “Corte di Appello”)  era espressamente prevista dalla normativa precedente ([8]).

 

   2. L’operatività dei parametri previsti dal D.M. 55/2014 rispetto ai procedimenti innanzi alla magistratura di sorveglianza.

   Va osservato adesso che la Tabella 15. Giudizi penali allegata al D.M. 55/2014 (coerentemente con la disposizione contenuta nell’art. 12, comma 3, secondo cui “il compenso si liquida per fasi”) indica valori medi di liquidazione per ciascuna delle quattro distinte fasi esemplificativamente individuate dal comma 12, comma 3: fase di studio, fase introduttiva, fase istruttoria o dibattimentale e fase decisionale ([9]).

   Ciò posto, deve evidenziarsi che:

–   nei procedimenti di sorveglianza di solito non c’è un’istruttoria orale né si svolgono attività corrispondenti a quelle indicate a titolo esemplificativo dall’art. 12, comma 3, lettera c), D.M. 55/2014 (“le  richieste,  gli scritti, le partecipazioni o assistenze relative ad atti ed attività istruttorie procedimentali  o  processuali  anche  preliminari,  rese anche in udienze  pubbliche  o  in  camera  di  consiglio,  che  sono funzionali alla ricerca di mezzi  di  prova,  alla  formazione  della prova, comprese liste, citazioni e le relative notificazioni, l’esame dei consulenti, testimoni, indagati o imputati di  reato  connesso  o collegato”);

–   quest’ultima disposizione [art. 12, comma 3, lettera c)] non parla di “esame degli scritti o dei documenti delle altre parti” [a differenza di quanto previsto per l’attività giudiziale civile dall’art. 4, comma 5, lettera c)] e, comunque, nei procedimenti di sorveglianza “l’altra parte” normalmente è il P.M., che altrettanto normalmente non produce alcunché;

–   la ricerca dei documenti prodotti dalla parte viene già prevista per la fase di studio [art. 12, comma 3, lettera a)]: di guisa che riconoscere qualcos’altro a tale titolo si risolverebbe in una inammissibile duplicazione di compenso per la stessa attività.

   Pertanto, di solito nei procedimenti di sorveglianza nulla va riconosciuto per la fase istruttoria.

   Quanto alla fase introduttiva, poi, si evidenzia che:

–   la magistratura di sorveglianza provvede normalmente ex officio oppure su richiesta del P.M. oppure su istanza (o dichiarazione di impugnazione) sottoscritta personalmente dall’interessato;

–   quando proviene dal difensore, l’atto introduttivo del procedimento è solitamente redatto in modo sintetico, stante il carattere officioso del procedimento stesso [nell’ambito del quale l’accertamento  delle condizioni di ammissibilità e dei presupposti di merito del provvedimento richiesto è pressoché integralmente rimesso all’ufficio ([10])].

   Quanto alla fase decisionale dei procedimenti di sorveglianza, infine, la medesima [che può anche mancare: si pensi, ad esempio e tra le più frequenti, alle istanze di liberazione anticipata ([11]) o a quelle di riabilitazione ([12]), sulle quali il magistrato di sorveglianza o, rispettivamente, il tribunale di sorveglianza provvedono de plano] quasi sempre si esaurisce nella discussione in un’unica udienza in camera di consiglio ([13]), la quale (discussione) a sua volta ha spesso una durata assai breve (quando non si risolve in un laconico “insiste” o “si oppone” o “si rimette”…). 

   Da quanto precede deriva che l’applicazione ai procedimenti di sorveglianza dei parametri generali stabiliti dall’art. 12, comma 1, D.M. 55/2014 (l’importanza, la natura e la complessità del procedimento, l’urgenza ed il pregio dell’opera prestata, il numero delle udienze, il tempo necessario all’espletamento delle attività, ecc.):

–   raramente può giustificare un aumento ex art. 12, comma 1, ultima parte, (“fino all’80%”) dei valori tabellari medi previsti per la fase di studio e/o per quella introduttiva e/o per quella decisionale;

–   normalmente, invece, impone una diminuzione ex art. 12, comma 1, ultima parte, (“fino al 50%”) dei valori tabellari medi previsti per la fase di studio e/o per quella introduttiva e/o per quella decisionale.

   Deve sottolinearsi, infine, che:

–   l’art. 12, comma 2, ultima parte, D.M. 55/2014 prende (fittiziamente) in considerazione “le liquidazioni delle prestazioni svolte in favore dei soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato a norma del testo unico delle spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n. 115”, stabilendo (in modo anodino e comunque assolutamente superfluo) che “si tiene specifico conto della concreta incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa”;

–   per esse (liquidazioni delle prestazioni svolte in favore dei soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato), invece, non è stata inserita alcuna disposizione analoga a quella ex comb. disp. artt. 9, ultima parte, e 12, comma 7, D.M. 140/2012, che prevedeva l’abbattimento, di regola, del 50% delle liquidazioni de quibus pure nella materia penale, analogamente a quanto previsto per la materia civile dall’art. 130 D.P.R. 115/2002;

–   per le suindicate liquidazioni (delle prestazioni svolte in favore dei soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato), nondimeno, opera la riduzione di un terzo prevista dall’art. 106-bis D.P.R. 115/2002 ([14]);

–   “oltre al compenso ed al rimborso delle spese documentate in relazione alle singole prestazioni, all’avvocato è dovuta, in ogni caso…, una somma per rimborso spese forfettarie di regola nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione” (art. 2, comma 2, D.M. 55/2014), nonché un’indennità ed un rimborso  delle spese di trasferta a norma dell’art. 27 della materia stragiudiziale “per gli affari e le cause fuori dal luogo ove” l’avvocato stesso “svolge la professione in modo prevalente” (art. 15 D.M. 55/2014);

–   i compensi, però, non includono oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo (per esempio, IVA e CPA) (v. la disposizione generale contenuta nel comma 2 dell’art. 1, D.M. 140/2012, sulla cui persistente vigenza si dirà tra poco);

–   i criteri numerici indicati dalle tabelle allegate al decreto non sono vincolanti per il giudice, ma costituiscono solo criteri di massima: così come stabilito dall’ art. 1, comma 7, D.M. 140/2012, che deve considerasi ancora in vigore per le ragioni che passiamo ad esporre.

 

   3. La persistente vigenza dell’art. 1 D.M. 140/2012 e conseguente derogabilità (pure) dei parametri previsti dal D.M. 55/2014.

   Subito dopo l’entrata in vigore del D.M. 55/2014 è stato “ritenuto… che il DM 140/12 sia da intendersi abrogato in quanto il DM 55/2014 regolamenta ex novo l’intera materia dei compensi forensi con una disciplina di nuovo conio (cd. abrogazione implicita) e, là dove non conferma disposizioni che erano presenti nel DM del 2012, mette mano ad una precisa scelta legislativa che prevale sulla precedente (abrogazione tacita)” ([15]).

   Simili affermazioni rappresentano il portato di una lettura corriva dei due decreti in questione.

   Per rendersi conto di ciò occorre considerare, anzitutto, che:

– il D.M. 140/2012 è stato emanato in attuazione delle norme (costituzionalmente e comunitariamente necessarie) sulle c.d. liberalizzazioni e/o sulla concorrenza  contenute nel D.L. 24 gennaio 2012 n. 1 ([16]): più esattamente ed in particolare, anzi, in attuazione dell’art. 9, comma 2, primo periodo, stesso D.L. ed in conseguenza dell’abrogazione delle tariffe professionali regolamentate nel sistema ordinistico (operata dal comma 1 dell’art. 9 cit.);

–    la disciplina contenuta nel D.M. 140/2012 è così suddivisa:

     – Capo IDisposizioni generali (Art. 1);

     – Capo IIDisposizioni concernenti gli avvocati (Artt. 2-14);

     – Capo IIIDisposizioni concernenti i dottori commercialisti ed esperti  contabili (Artt. 15-29);

     – Capo IVDisposizioni concernenti i notai (Artt. 30-32);

     – Capo VDisposizioni concernenti le professioni dell’area tecnica (Artt. 33-39);

      – Capo V-bisDisposizioni concernenti gli assistenti sociali (Artt. 39bis– 39ter);

      – Capo V-terDisposizioni concernenti gli attuari (Artt. 39quater– 39septies);

      – Capo VIDisposizioni concernenti le altre professioni (Art. 40);

      – Capo VIIDisciplina transitoria ed entrata in vigore (Artt. 41-42).

   Il D.M. 55/2014, invece, è stato emanato in attuazione dell’art. 13, comma 6, L. 31 dicembre 2012 n. 247: Legge che, dettando la “nuova disciplina dell’ordinamento professionale forense”, come tale non ha inteso (né poteva) derogare al D.L. 1/2012 sulle liberalizzazioni e sulla concorrenza.

   Alla stregua di quanto precede è agevolare concludere che:

–   il D.M. 140/2012 ha un ambito applicativo generale perché riguarda i compensi di tutte le professioni regolamentate vigilate dal Ministero della giustizia, articolandosi a sua volta in disposizioni generali” applicabili a tutte le professioni considerate ed in 7 “discipline settoriali” interessanti altrettante (e specifiche) aree professionali;

–   il D.M. 55/2014, invece, ha un ambito applicativo esclusivamente settoriale perché riguarda i compensi di una sola tra le professioni regolamentate vigilate dal Ministero della giustizia: quella forense;

–   pertanto, il D.M. 55/2014 non ha regolato l’intera materia disciplinata dal D.M. 140/2012: di guisa che quest’ultimo non può considerarsi integralmente abrogato ex art. 15, ultima parte, preleggi;

–   la normativa contenuta nel D.M. 55/2014 (e nelle tabelle ad esso allegate), peraltro, “sovrapponendosi” (solamente) alle “disposizioni concernenti gli avvocati” comprese nel Capo II (art. 2-15) del D.M. 140/2012 e nelle tabelle ad esso allegate, ha regolato nuovamente (ma esclusivamente) la specifica materia già  disciplinata da codeste disposizioni: quella dei compensi per  la professione forense;

–   conseguentemente, queste ultime (disposizioni ex art. 2-15 D.M. 140/2012 e tabelle ad esso allegate) ed esse soltanto possono considerarsi abrogate per effetto del D.M. 55/2014;

–   invece (ed in mancanza di un’espressa abrogazione delle stesse e/o dell’intero D.M. 140/2012), restano in vigore le “disposizioni generali” contenute nel Capo I del D.M. 140/2012 e, in particolare, quella dell’art. 1, comma 7, secondo cui le soglie numeriche tabellarmente indicate “in nessun caso … sono vincolanti per la liquidazione”.

 

   4. La supposta inderogabilità dei “nuovi” parametri quale  causa di invalidità del D.M. 55/2014 e della sua disapplicabilità. Premessa.

   Mette conto ora evidenziare che soltanto questa conclusione [sulla persistente vigenza dell’art. 1 D.M. 140/2012 e sulla conseguente derogabilità (“sia nei minimi che nei massimi”) pure delle soglie numeriche indicate nel sopravvenuto D.M. 55/2014 e nella tabelle ad esso allegate] consente al giudice di applicare le “nuove” disposizioni introdotte dal D.M. 55/2014.

   In caso contrario, infatti, ed assumendosi per ipotesi l’inderogabilità dei “nuovi” valori tabellari da esso introdotti, il D.M. 55/2014 presenterebbe tanti e tali profili di illegittimità da esporsi a disapplicazione ai sensi dell’art. 5 L. 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E, trattandosi:

–     di atto (a contenuto normativo, ma) formalmente amministrativo, costituente l’oggetto di un mero “rinvio formale” da parte degli artt. 1, comma 3, e  13, comma 6, L. 31 dicembre 2012 n. 247 ([17]);

–   di atto incidente su materia nella quale si fa questione di diritto soggettivo ([18]).

 

   4. 1. (Segue) La supposta inderogabilità dei “nuovi” parametri quale causa di disapplicabilità del D.M. 55/2014 per  violazione dell’art. 2, comma 1,  D.L. 223/2006 (c.d. Decreto Bersani).

   La supposta inderogabilità dei valori minimi stabiliti dal D.M. 55/2014 e tabelle allegate, anzitutto, inficerebbe la validità di quest’ultimo per violazione di legge: per violazione, più esattamente, dell’art. 2, comma 1,  D.L. 4 luglio 2006 n. 223 (convertito dalla L. 4 agosto 2006 n. 248: c.d. Decreto Bersani), il quale dispone: “… in conformità al principio comunitario di libera concorrenza … al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali: a) l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti …” ([19]).

 

   4. 2. (Segue) La supposta inderogabilità dei “nuovi” parametri quale causa di disapplicabilità del D.M. 55/2014 per  violazione dell’art. 3 Cost.

   Con specifico riferimento ai “nuovi” valori tabellari relativi alla magistratura di sorveglianza, poi, la loro pretesa inderogabilità renderebbe il D.M. 55/2014 illegittimo per violazione dell’art. 3 Cost. e/o per eccesso di potere ([20]).

   Per rendersi conto di ciò, si deve ricordare che (come si è già detto: v. par. 1) la liquidazione giudiziale dei compensi spettanti ai difensori di soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato per l’attività svolta innanzi al “Magistrato di Sorveglianza” o innanzi al “Tribunale di Sorveglianza” avviene (alla stregua della Tabella 15. Giudizi Penali allegata al D.M. 55/2014) secondo parametri numerici  totalmente identici a quelli utilizzabili per la liquidazione giudiziale dei compensi spettanti ai difensori dei soggetti ammessi a patrocinio a spese dello Stato innanzi, rispettivamente, al “Tribunale monocratico” ed alla “Corte di Appello”.

   Il che, tuttavia, si risolve in una irragionevole parificazione normativa di situazioni sostanziali intrinsecamente diverse ([21]).

   I procedimenti giudiziari innanzi alla magistratura di sorveglianza, invero, indubbiamente implicano normalmente (anzi, quasi sempre) un impegno assai più modesto (per il pregio dell’opera prestata, per l’importanza, la natura, la complessità e la durata del procedimento, ecc.) rispetto a quello “speso” dal professionista nei procedimenti penali innanzi al tribunale monocratico ed alla corte di appello, atteso che:

–  statisticamente la maggior parte delle udienze innanzi alla magistratura di sorveglianza ha per oggetto (per quanto riguarda l’organo monocratico) il riesame della pericolosità di persone sottoposte a misure di sicurezza oppure (relativamente all’organo collegiale) la richiesta di misure alternative alla detenzione o l’impugnazione dei provvedimenti del magistrato di sorveglianza in tema di liberazione anticipata o di permessi:  procedimenti che normalmente sono avviati d’ufficio o su istanza-impugnazione personale dell’interessato, che quasi sempre sono istruiti ex officio, che spesso implicano l’esame di poche (al massimo 3-4) decine di fogli cartacei e che di regola vengono definiti in un’unica udienza camerale ed a seguito di brevissima discussione tra le parti;

– la stragrande maggioranza delle udienze (penali) innanzi al tribunale monocratico ed alla corte di appello, invece, ha per oggetto l’accertamento (rispettivamente, in primo ed in secondo grado) della responsabilità penale di soggetti imputati di uno o più reati, il quale (accertamento) impone notoriamente all’organo giudicante ed ai difensori il compimento di attività assai onerose per impegno, studio e durata.

   Risulta evidente, perciò, che solo una “flessibilità” (ex art. 1, comma 7, D.M. 140/2012) dei “nuovi” parametri tabellari consente al giudice di “bilanciare” adeguatamente i compensi e di differenziarli ragionevolmente ed equamente in base alle caratteristiche dell’attività svolta casu concreto dai difensori, evitando che l’opera professionale (normalmente “modesta”) espletata  innanzi alla magistratura di sorveglianza venga remunerata allo stesso modo (o quasi) di quella (ben più impegnativa ed importante) posta in essere davanti al tribunale monocratico o alla corte di appello. 

 

   4. 3. (Segue) La supposta inderogabilità dei “nuovi” parametri quale causa di disapplicabilità del D.M. 55/2014 per  violazione dell’art. 1, comma 5, L. 247/2012.

   L’ipotizzata inderogabilità dei valori minimi stabiliti dal D.M. 55/2014 e tabelle allegate, infine, concretizzerebbe un altro suo vizio di legittimità per violazione dell’art. 1, comma 5, L. 31 dicembre 2012 n. 247, il quale afferma perentoriamente che “dall’attuazione dei regolamenti di cui al comma 3” (ivi compreso quello in esame: v. art. 13, comma 6) “non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.

   A questo proposito mette conto evidenziare preliminarmente le forti “riserve” espresse dal Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi, Adunanza di Sezione del 24 ottobre 2013, numero affare 03398/2013,  punto III.2: “A diversa conclusione si deve pervenire per quanto concerne il profilo della liquidazione delle prestazioni svolte in favore di soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato nella materia penale, per la quale gli importi vengono ridotti, di regola, del 30 per cento, ai sensi dell’articolo 12, secondo comma, ultimo periodo, a fronte di quanto già previsto in materia civile (riduzione del 50 per cento). Pur condividendo solo in parte le ragioni del minore abbattimento esposte nella  relazione illustrativa (id est, specificità della attività di difesa in un ambito che investe la tutela di diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, quali la libertà e la dignità della persona), non sembra al Collegio ragionevole l’assunto alla base del minore abbattimento, identificabile, sostanzialmente, in una ritenuta maggiore “dignità” dell’attività defensionale nel settore giudiziale di cui trattasi.  Si suggerisce, pertanto, un ridimensionamento del parametro, in misura pari al 5/10 per cento, avuto altresì riguardo alle esigenze di bilancio prospettate dal competente ufficio del Ministero e, non ultimo, alla disposizione di cui all’articolo 1, comma 5, della norma primaria, secondo cui “dalla attuazione dei regolamenti di cui al comma 3 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.

   Ciò premesso in via generale e passando adesso a più dettagliate valutazioni specifiche alla magistratura di sorveglianza, si rileva che in base ai criteri del D.M. 140/2012 [recte, tenuto conto: a) del valore medio di liquidazione; b) del massimo della percentuale di diminuzione prevista dalla Tabella B, allegata al D.M. 140/2012; c) della riduzione del 50% ex art. 9, comma 1, secondo periodo, ultima parte, D. M. 20 luglio 2012 n. 140 (richiamato dall’art.  12, comma 7, stesso D.M.) prevista per le liquidazione dei compensi spettanti ai difensori di soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato (o di soggetti ad essi assimilati)] si avevano i seguenti importi minimi  per ciascuna fase:

   Magistrato di Sorveglianza

a) Fase di studio:               euro  75

b) Fase introduttiva:          euro 150

c) Fase istruttoria:             euro 135

d) Fase decisoria:              euro 135

e) Fase esecutiva:              euro 5 per ora o frazione di ora

   Tribunale di Sorveglianza

a) Fase di studio:               euro 120

b) Fase introduttiva:          euro 240

c) Fase istruttoria:             euro 216

d) Fase decisoria:              euro 216

e) Fase esecutiva:              euro 8 per ora o frazione di ora.

      L’art. 14, comma 7, D.M. 140/2012, peraltro, precisava che “nella fase esecutiva sono comprese tutte le attività connesse all’esecuzione della pena o delle misure cautelari”, le quali tuttavia non hanno attinenza con il procedimento di sorveglianza. Per “attività connesse all’esecuzione della pena”, invero, si era inteso far riferimento alle attività tipiche del giudice dell’esecuzione (artt. 665-676 c.p.p.): di guisa che nei procedimenti di sorveglianza praticamente non veniva riconosciuto alcunché per la fase esecutiva.

   In base ai “nuovi” criteri previsti dal D.M. 55/2014 e dalle tabelle ad esso allegate [recte,  tenuto conto: a) del valore medio di liquidazione; b) del massimo della percentuale di diminuzione prevista dall’art. 12, comma 1, ultima parte, D.M. 55/2014; c) della riduzione di un terzo prevista dall’art. 106-bis D.P.R. 115/2002 per le liquidazione dei compensi spettanti ai difensori di soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato (o di soggetti ad essi assimilati)], invece, si hanno i seguenti importi minimi per ciascuna fase:

   Magistrato di Sorveglianza

a) Fase di studio:               euro  150

b) Fase introduttiva:          euro 180

c) Fase istruttoria:             euro 360

d) Fase decisionale:          euro 450

   Tribunale di Sorveglianza

a) Fase di studio:               euro 150

b) Fase introduttiva:          euro 300

c) Fase istruttoria:             euro 450

d) Fase decisionale:          euro 450

   Il totale degli importi minimi, quindi, in base al D.M. 140/2012 risultava pari:

–       per i procedimenti innanzi al magistrato di sorveglianza ad euro 495,00;

–       per i procedimenti innanzi al tribunale di sorveglianza ad euro 792,00.

   Lo stesso totale, invece, in base al D.M. 55/2014 è oggi pari:

–       per i procedimenti innanzi al magistrato di sorveglianza ad euro 1.140,00;

–       per i procedimenti innanzi al tribunale di sorveglianza ad euro  1.350,00.

   Alla stregua di quanto precede nessuno può contestare il fatto che la liquidazione giudiziale dei compensi spettanti ai difensori di soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato (e di soggetti ad essi assimilati), se effettuata in base ad una “obbligatoria ed inderogabile” applicazione dei criteri e dei valori tabellari minimi contenuti nel D.M. 55/2014, comporterebbe necessariamente quei “maggiori oneri a carico della finanza pubblica”, che l’art. 1, comma 5, L. 247/2012 ha espressamente e perentoriamente vietato.

 

   5. Conclusioni.

   Tutte le superiori considerazioni portano logicamente alle seguenti soluzioni alternative:

A)   ritenere (come facciamo noi) che pure le “nuove” soglie numeriche indicate nel D.M. 55/2014 e nelle tabelle ad esso allegate non siano vincolanti per il giudice (né nei limiti minimi né in quelli massimi) in applicazione dell’ancor vigente disposizione “generalissima” contenuta nell’art. 1, comma 7, D.M. 140/20012;

oppure

B)   esclusa l’attuale vigenza dell’art. 1, comma 7, D.M. 140/2012, ritenere illegittimo [per le suesposte violazioni dell’art. 2, comma 1,  D.L. 223/2006 (c.d. Decreto Bersani) e/o dell’art. 3 Cost. e/o dell’art. 1, comma 5, L. 247/2012] il D.M. 55/2014 e disapplicarlo ai sensi dell’art. 5 L. 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E: con conseguente ricorso alla disciplina sussidiaria contenuta nella disposizione generale sul lavoro autonomo ex art. 2225 cod. civ. (secondo cui il compenso “è stabilito dal giudice in relazione al risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo”) e nella disposizione relativa alle professioni intellettuali ex art. 2231, comma 1 e comma 2, cod. civ. (secondo cui il compenso del professionista è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale, in “misura adeguata all’importanza dell’opera e del decoro della professione”).

   Tertium non datur!

   Non appare inutile, infine, sottolineare che potrebbe incorrere in responsabilità amministrativa per colpa grave ([22]) il giudice che, ritenendo (erroneamente) abrogato l’art. 1, comma, 7, D.M. 140/2012 ed applicando (pedissequamente ed erroneamente) i “nuovi” (illegittimi) parametri introdotti dal D.M. 55/2014, contribuisce di fatto con il suo provvedimento a determinare quei maggiori oneri a carico della finanza pubblica vietati dall’art. 1, comma 5, L. 247/2012 ([23]).

 

 


          ([1]) La delimitazione dell’oggetto delle presenti osservazioni ha motivazioni esclusivamente personali. Lo scrivente, infatti, esplica attualmente  le proprie funzioni giudiziarie presso l’Ufficio di Sorveglianza di Alessandria e presso il Tribunale di Sorveglianza di Torino.

          ([2]) V. art. 115 per il difensore di persona ammessa al programma di protezione dei collaboratori di giustizia; art. 116 per il difensore di ufficio; art. 117 per il difensore di ufficio di persona irreperibile.

          ([3]) Decreto Ministero Giustizia 20 luglio 2012 n. 140, Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012 n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012 n. 27.

   Su tale testo normativo v. VIGNERA, Brevi note sulle liquidazioni ex D.M. 140/2012 nel patrocinio a spese dello Stato e nei procedimenti di sorveglianza, in www.ilcaso.it,  II, 348/2013.

          ([4]) Decreto Ministero Giustizia 10 marzo 2014 n. 55, Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell’art. 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012 n. 247.

          ([5]) Per quest’ultima disposizione ai fini della liquidazione “si tiene conto di tutte le particolari circostanze del caso”, esemplificativamente specificate nell’importanza, nella natura e nella complessità del procedimento, nell’urgenza e nel pregio dell’opera prestata, nell’esito ottenuto per il cliente, nel numero delle udienze diverse da quelle di mero rinvio, nel tempo necessario all’espletamento delle attività, ecc.

          ([6]) BULGARELLI, Parametri forensi model year 2014, in www.altalex.it, articolo 03.04.2014, esattamente evidenzia “l’abuso nei vari articoli del decreto in esame del termine ‘di regola’, utilizzato ben 34 volte,  che per la sua vaghezza sembra lasciare una certa discrezionalità al giudice nel determinare il compenso concretamente liquidabile all’avvocato”.

          ([7]) Recita tale norma: “Nell’ambito dell’applicazione dei precedenti articoli 1 e 2, per i compensi ed i rimborsi non regolati da specifica previsione si ha riguardo alle disposizioni del presente decreto che regolano fattispecie analoghe”.

          ([8]) V. Tabella B-Avvocati allegata al D.M. 140/2012 e Tabella C-Penale allegata al D.M. 127/2004.

          ([9]) Non è più prevista la “fase esecutiva” contemplata, invece, dal D.M. 140/2012.

          ([10]) V. art. 666, comma 5, c.p.p., richiamato per il procedimento di sorveglianza dall’art. 678, comma 1.

          ([11]) V. art. 69-bis L. 26 luglio 1975 n. 354 (O.P.).

          ([12]) V. comb. disp. artt. 678, comma 1-bis,  e 667, comma 4, c.p.p.

          ([13]) V. artt. 666, comma 3, c.p.p., richiamato per il procedimento di sorveglianza dall’art. 678, comma 1.

          ([14]) In base a tale norma “gli importi spettanti al difensore…”  della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato (e dei soggetti assimilati) “sono ridotti di un terzo”.

          ([15]) Così testualmente Trib. Milano, decreto 9 aprile 2014, in www.ilcaso.it, Sez. Giurisprudenza, 10321.

   Analogamente e più specificamente v. in dottrina v. BULGARELLI, Parametri forensi model year 2014,cit., secondo cui “non è stato, per fortuna, riproposto il contenuto dell’art. 1, comma 7, dei vecchi parametri, che prevedeva che in nessun caso i parametri vincolassero la liquidazione del giudice, il quale dunque non potrà ora prescindere dai valori medi previsti, dovendo anche motivare le ragioni degli ammessi scostamenti percentuali in aumento o diminuzione” [assumendo così (a nostro avviso erroneamente) la sopravvenuta abrogazione della disposizione suindicata].

          ([16]) Tale D.L. è stato convertito con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012 n. 27.

          ([17]) V. esemplificativamente (e con specifico riferimento all’art. 5 D.M. 28 luglio 1992 n. 570 sulla liquidazione del compenso spettante al commissario giudiziale nella procedura di concordato preventivo) Cass. civ., Sez. unite, 26 maggio 1997 n. 4670, in Fallimento, 1998, 3, 256, nella cui motivazione sta scritto: “Il primo problema da affrontare attiene alla sussistenza, o non, del potere del Giudice ordinario di disapplicare un provvedimento regolamentare ritenuto illegittimo. Sul punto occorre richiamare la giurisprudenza della Corte Costituzionale (in particolare, per il caso di specie, l’ordinanza in data 30 dicembre 1993 n. 484), secondo cui il rinvio dell’art. 39 L.F. (e tramite esso dall’art. 165 L.F.), al D.M. 28 luglio 1992, n. 570 ha carattere formale, per cui il regolamento stesso non assume il valore di norma primaria. Si introduce così nella giurisprudenza di detta Corte, nell’ambito della sua competenza, una dicotomia fra i casi in cui la legge si limita a demandare al regolamento una disciplina (rinvio formale) e i casi in cui la legge recepisce, come una norma in bianco, il contenuto del regolamento (rinvio materiale) quando il richiamo sia indirizzato a norme determinate ed esattamente individuate dalla stessa norma che lo effettua. Nel primo caso, corrispondente alla situazione in esame, ravvisandosi negli artt. 39 e 165 L.F. una situazione di rinvio formale, viene esclusa l’ammissibilità della proposizione della questione di legittimità costituzionale, sotto il profilo dell’art. 3 Cost. Peraltro la Corte Cost. ha precisato sul punto: <<l’assunta violazione del parametro costituzionale evocato può essere sempre accertata incidentalmente dal giudice ordinario al fine della disapplicazione della norma regolamentare>>. Questa enunciazione non costituisce (come sostenuto dal ricorrente) un obiter dictum della Corte Costituzionale, per di più espresso in un’ordinanza, ma costituisce una precisa indicazione di principio che la Corte ha espresso in altre sentenza (Sent. 11 luglio 1991 n. 333; 27 aprile 1993 n. 199), precisando che i regolamenti non costituenti norme primarie <<al pari di qualsiasi norma regolamentare e come per ogni atto amministrativo, il riscontro della sua legittimità costituzionale è riservata a qualsiasi giudice chiamato ad applicarla e può condurre alla sua disapplicazione (art. 5 L. 20 marzo 1865 n. 1865 all. E)>>; ed inoltre <<‘eventuale illegittimità dell’integrazione amministrativa di norma …. primaria … radicherebbe il potere-dovere del giudice ordinario di disapplicare nel caso concreto la fonte normativa integratrice secondaria (nella parte in cui venga ritenuta illegittima) dato il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo che compete all’autorità giudiziaria>>. Queste indicazioni, ripetute nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, enucleano principi perfettamente condivisibili, in quanto inerenti al sistema normativo vigente, ed applicabili al caso di specie”.

   Analogamente Cass. civ., Sez. I, 26 agosto 2004 n. 16987; Cass. civ., Sez. I, 26 agosto 2004 n. 16989; Cass. civ., Sez. I, 28 aprile 2006 n. 9864 in Fallimento, 2006, 12, 1369.

   Sull’argomento v. in generale VIGNERA, Sui vigenti criteri per la determinazione dei compensi dei curatori, commissari giudiziali e liquidatori, in  Informazione prev., 2001, 290 ss.

     ([18]) Oltre a quelle menzionate nella nota precedente, v. Cass. civ., Sez. I, 28 ottobre 1998 n. 10745, in  Fallimento, 1999, 8, 883: “Il potere del giudice ordinario di disapplicazione dell’atto amministrativo sussiste, ed è legittimamente esercitato, tutte le volte in cui tale atto incida su materie nelle quali si fa questione di diritti soggettivi, come nel caso in cui venga disapplicata la norma regolamentare di cui al D.M. n. 570 del 1992, contenente criteri di liquidazione del compenso al commissario giudiziale (nominato in seno alla procedura di concordato preventivo), per contrasto con l’art. 3 della Costituzione”.

     ([19]) Sulla vigenza di tale norma v. Cons. Stato, Sez. VI, 6 marzo 2009 n. 1342, in Giornale Dir. Amm., 2009, 5, 531, che ha ricostruito il controverso avvicendarsi delle disposizioni inerenti le tariffe professionali minime ed affermato l’attualità della norma de qua anche a seguito dei successivi interventi operati sui testi normativi.

          ([20]) Sul punto v. sempre Cass. civ., Sez. unite, 26 maggio 1997 n. 4670, cit.: “Il sindacato del giudice ordinario sull’atto amministrativo, ai soli fini della sua disapplicazione al caso concreto, non è limitato alla mera violazione di legge, ma si estende anche all’accertamento del vizio di eccesso di potere, non comportando tale controllo l’esame delle ragioni di opportunità e di merito (rientranti nei poteri della P.A., incensurabili da parte dell’A.G.O.), bensì l’accertamento circa il rispetto di quei criteri generali ed astratti che debbono presiedere all’esercizio dei poteri peculiari della P.A. Pertanto, l’atto amministrativo può essere legittimamente disapplicato dal giudice ordinario per dedotta violazione dell’art. 3 Cost., che, costituendo un principio generale di diritto condizionante l’intero ordinamento nella sua obiettiva struttura ed esprimendo un generale canone di coerenza dell’ordinamento normativo, individua proprio l’eccesso di potere dell’organo amministrativo, il quale, se non si uniforma a tale principio, finisce per eccedere i limiti della propria competenza (nella specie, la S.C., sulla stregua dell’enunciato principio, ha confermato il provvedimento del giudice del merito che aveva disapplicato la norma regolamentare di cui al D.M. n. 570 del 1992, sulla liquidazione del compenso al commissario giudiziale alla procedura di concordato preventivo, ritenendolo posto in violazione dell’art. 3 Cost.)”.

          ([21]) V. esemplificativamente Cass. civ., Sez. unite, 26 maggio 1997 n. 4670, cit., in motivazione: “La norma dell’art. 3 Cost. integra un generale principio di ragionevolezza, per cui l’atto normativo, ancorché secondario, deve trattare in maniera eguale situazioni eguali ed in maniera razionalmente diversa situazioni diverse”.

   Per la giurisprudenza costituzionale v. in tal senso (e tra le tante) Corte cost. 28 aprile 1966 n. 30; Corte cost. 30 giugno 1971 n. 149; Corte cost. 26 maggio 1976 n. 135; Corte cost. 29 ottobre 1999 n. 402, in Cons. Stato, 1999, II, 1472; Corte cost. 4 luglio 2006 n. 255; Corte cost. 5 marzo 2010 n. 83, in Giur. It., 2010, 6.

   Sull’evoluzione della giurisprudenza costituzionale relativa al principio di eguaglianza-ragionevolezza ci permettiamo rinviare ad ANDOLINA-VIGNERA, I fondamenti costituzionali della giustizia civile, Torino, 1997, 111 ss.

 

          ([22]) V. artt. 82-83 R.D. 18 novembre 1923 n. 2440; artt. 18-20 D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3; art. 1, comma 4, L. 14 gennaio 1994 n. 20.

          ([23]) Cfr. C. Conti, Sez. riunite, 9 aprile 1990 n. 659, in Foro Amm., 1990, 2164: “L’economia nazionale è un bene giuridico pubblico e qualsiasi fatto che incida negativamente sulla situazione complessiva dell’economia è pregiudiziale per l’intero corpo sociale e, quindi, per lo stato che di tale interesse è istituzionalmente il portatore; e, pertanto, tale pregiudizio è economicamente valutabile e copre un’area che i profili di danno direttamente riconducibili al patrimonio dello stato o degli enti pubblici non esauriscono (interessi alla stabilità monetaria, all’equilibrio economico nazionale ecc.)”.

Vignera Giuseppe

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