Pagamenti delle quote condominiali: nessun obbligo di servizio pos per l’amministratore di condominio

In materia di pagamenti elettronici l’art. 15 comma quarto della Legge n. 221 del 17/12/2012, che ha convertito il D.L. n. 179 del 18/10/2012, stabilisce che: “A decorrere dal 1° gennaio 2014, i soggetti che effettuano l’attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito”. Tale norma, che si riferisce espressamente alle carte di debito, meglio conosciute come “bancomat”, in pratica impone a commercianti e professionisti di utilizzare il c.d. POS, ovvero il dispositivo che permette l’utilizzo delle carte di pagamento, per i pagamenti di importo superiore ai trenta euro, come indicato dall’art. 2, comma 1 del D.M. Sviluppo economico del 24/01/2014. Successivamente e precisamente nel 2016, con la Legge n. 208 del 28/12/2015, c.d. di Stabilità, è stato esteso l’obbligo, per commercianti e professionisti, di accettare anche i pagamenti effettuati con carte di credito, oltre che con il bancomat, e per di più per importi al di sotto dei cinque euro, tranne che nei casi di oggettiva impossibilità tecnica. In pratica il Governo sta provando a spingere i consumatori a pagare con la moneta elettronica, anche se gli obblighi citati non sembrano essere troppo convincenti, dal momento che non sono previste sanzioni in caso di una loro violazione. La suddetta normativa, infatti, non ha prodotto i risultati sperati, basti pensare che in Italia l’uso della moneta elettronica è soppiantato dai pagamenti in contanti, sia perché manca un sistema sanzionatorio in grado di obbligare davvero ad accettare i pagamenti elettronici e sia perché i costi connessi al POS sono elevati. Sotto tale profilo, però, è probabile che prossimamente, presumibilmente con un emendamento ad hoc alla Legge di Bilancio 2018, già approvata nella prima bozza del 16/12/2017, verrà introdotta una sanzione, forse fino a trenta euro, a carico di coloro che non adempiono all’obbligo di ricevere i pagamenti con la moneta elettronica. Mentre per quanto attiene alle spese connesse al POS il Consiglio dei Ministri ha già approvato il 15/09/2017, la bozza di decreto legislativo che recepisce la Direttiva europea 2015/2366 sui servizi di pagamento nel mercato interno (cosiddetta PSD 2 – Direttiva sui servizi di pagamento) e adegua la normativa italiana alle disposizioni del regolamento dell’Unione Europea n. 751/2015 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015, (cosiddetto IFR – Regolamento sulle tariffe di scambio), fissando un tetto alle commissioni interbancarie applicate ai pagamenti effettuati con carte di pagamento. In altre parole il Legislatore spera che una riduzione delle commissioni interbancarie possa contribuire a ridurre i costi per coloro che accettano pagamenti con “carte di debito e carte di credito”.

In tale contesto normativo ci si chiede se l’amministratore di condominio professionista è obbligato a dotarsi del POS, per accettare i pagamenti con bancomat e carte di credito da parte dei condòmini. 

La risposta necessita di un coordinamento con altre disposizioni vigenti in materia condominiale, atteso che il Legislatore non ha inteso fare chiarezza sull’argomento. Innanzitutto occorre evidenziare che, ad oggi, non sussiste nessun obbligo assoluto di possedere un POS, ma soltanto un obbligo generalizzato, ovvero un onere, peraltro non sanzionato, di accettare un pagamento elettronico in caso di richiesta. In condominio, pertanto, salvo il divieto di pagamento in contanti oltre 2.999,99 euro, stabilito con la Legge di Bilancio 2016, il riferimento principale per l’individuazione delle forme di pagamento resta l’autonomia decisionale dei condòmini e dell’amministratore. Per quanto riguarda i soggetti obbligati a ricevere un pagamento mediante POS, la normativa vigente indica soltanto i “commercianti”, che svolgono attività di vendita al dettaglio, ad esempio in un negozio di frutta e verdura, in un bar o in una sala da barba, ovvero indica i “professionisti” che svolgono un’attività di servizi professionali, o meglio che forniscono una prestazione di tipo intellettuale al pubblico, come ad esempio i procacciatori di affari presso agenzie immobiliari e assicurazioni. D’altronde, a ben vedere, il termine POS, acronimo di Point of Sale, che tradotto letteralmente significa “punto vendita”, in origine veniva utilizzato per definire il luogo in cui avveniva la vendita al dettaglio, ovvero lo scambio di un bene o di un servizio per una somma di denaro. Sotto tale profilo l’amministratore di condominio non svolge alcuna attività al dettaglio né esercita un’attività di servizi professionali a favore di terzi, limitandosi soltanto a rispondere del proprio operato nei confronti dei condòmini che lo hanno nominato, per amministrare il fondo condominiale ed erogare i servizi nei loro confronti. Più precisamente si tratta di necessità verso i condòmini e non a favore di altri. I condòmini che pagano le quote condominiali, non acquistano in proprio né beni né servizi ma accumulano le risorse nel fondo, che utilizza l’amministratore per pagare i terzi fornitori di beni o servizi. Quindi, premesso che l’amministratore di condominio si occupa soltanto delle ristrette esigenze dei condòmini, resta da capire cosa si intenda, giuridicamente, per oggettiva impossibilità tecnica all’utilizzo del Pos. Al momento le condizioni dell’oggettiva impossibilità tecnica non sono state chiarite dal Legislatore, e secondo alcuni sarebbero limitate soltanto alla mancanza di connessione ad internet, indispensabile per far funzionare il POS, qualora l’attività sia svolta in una sede non coperta dal servizio. A tale riguardo si osserva che l’amministratore di condominio non ha alcun obbligo di dotarsi di una sede aperta al pubblico, né tantomeno ha l’obbligo di ricevere i condòmini, dovendo semplicemente conservare i documenti e ricevere la posta, in qualità di rappresentante legale del condominio. E comunque, il domicilio dell’ente condominiale, che è sprovvisto di una sede legale vera e propria, coincide con quello dell’amministratore pro tempore (Trib. di Ivrea provvedimento n. 21 del 08/01/2016). Vale a dire che la sede del condominio potrebbe corrispondere con la casa dell’amministratore. In tal caso è impensabile che si possa obbligare l’amministratore di condominio a dotarsi, a proprie spese, di una linea internet in casa propria, per ricevere e favorire chi dovesse chiedergli di pagare le quote condominiali tramite POS. Alla luce di tali considerazioni, l’obbligo di POS in condominio è da ritenersi assolutamente vessatorio e costoso, nonché inutile in termini di tracciabilità dei versamenti, visto che i condòmini possono benissimo effettuare i propri pagamenti con bonifico, che costa la metà del pagamento via POS ed è comunque tracciabile. È risaputo, infatti, che il POS comporta spese di installazione e spese per il canone mensile, un costo fisso e uno percentuale per ogni transazione effettuata. Le condizioni di spesa variano a seconda dell’istituto di credito. Ciò non esclude che l’assemblea condominiale possa, legittimamente, stabilire tempi e modi di utilizzo del POS in condominio. La speranza è che il Legislatore proceda ad identificare, con chiarezza, i soggetti ai quali sia necessario il POS, che in condominio non rappresenta una necessità ma piuttosto una nuova tassa a carico dei condòmini.

 

Michele Orefice

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