Tizio e Caio stipulano un preliminare di vendita di un immobile dal quale risulta che Caio, obbligato all’acquisto, verserà la somma pattuita all’atto della stipula del contratto definitivo, che avverrà in un momento successivo, fissato allo scadere del sessantesimo giorno a partire da allora.
Giunto tale momento, Tizio, che nel frattempo ha trovato un acquirente che gli ha offerto condizioni più vantaggiose, non si presenta davanti al notaio per la stipula del contratto.
Caio pertanto gli comunica la propria intenzione di agire per ottenere una sentenza costitutiva che tenga luogo del contratto di vendita, ma si sente opporre da Tizio la improponibilità di tale azione, posto che egli non ha ancora eseguito la propria prestazione.
Nel dubbio Caio si rivolge al legale per ottenere un consiglio in merito alla propria pretesa.
Il codice civile, agli artt.1470 e sgg. (TITOLO III, CAPO I) disciplina la vendita. E, precisamente, all’art. 1470 ne fornisce nozione.
Esso articolo recita testualmente: La vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo.
La dottrina tradizionale ci insegna (parafrasando e riordinando il concetto codicistico) che il più diffuso contratto tipico è quello della compravendita, mediante il quale una parte (venditore) trasferisce ad un’altra parte (acquirente) la proprietà di una cosa o di un diverso diritto verso il corrispettivo di un prezzo determinato.
Si tratta di un contratto:
a prestazioni corrispettive: alla prestazione cui è tenuto un contraente (trasferimento del diritto di proprietà o di un altro diritto) corrisponde la prestazione dell’altro contraente (il pagamento del prezzo);
consensuale ad effetto reale: il semplice consenso delle parti permette di trasferire un diritto (principio del consenso traslativo);
non formale: le parti possono concludere una vendita in qualsiasi modo (verbalmente, per iscritto, a gesti) salvo i casi in cui la legge stabilisce l’obbligo della forma scritta, nel qual caso è un contratto solenne (sono i casi, in particolare, della vendita immobiliare o ereditaria);
a titolo oneroso, commutativo, ad esecuzione istantanea.
Per ciò che concerne il prezzo, occorre puntualizzare:
che può anche non corrispondere al reale valore del bene o del diritto trasferito, ma mai assumere una mera funzione simbolica (altrimenti si avrà una donazione);
che può essere stabilito anche da un terzo;
che può essere stabilito con metodi diversi, come nel caso delle vendite immobiliari (a misura o a corpo).
Ciò premesso, a nulla varrebbe il distico «somma pattuita» contenuto nella traccia esaminanda, se non raffrontabili in esso i concreti elementi testé elencati.
Se è vero che le parti sono libere di determinare la funzione economica del contratto, non altrettanto può pacificamente affermarsi in ragione della superiore e più complessa funzione economico-sociale dello stesso. Ciò che regge il traffico giuridico in tale preciso contesto è soprattutto la translatio seria e conveniente, l’equilibrio sociale ed economico alla trattativa sotteso e che sfocerà nel combinamento, a sinallagma verificatosi,delle posizioni soggettive preesistenti.
Così impostata, la quæstio richiede un’analisi proprio di e su un elemento che, prima facie, risulterebbe esente dall’interesse regolativi del sistema giuridico. E tale analisi riguarda, appunto, quella che la dottrina tradizionale ed il codice di diritto sostanziale civile ci indicano col termine «prezzo» e la traccia del quesito come «somma pattuita». Ciò che può essere utile comprendere, a tale proposito, è il rapporto tra l’inesistenza del prezzo e la nullità del contratto.
Il prezzo della compravendita deve ritenersi inesistente, con conseguente nullità del contratto per mancanza di un elemento essenziale (artt. 1418, 1470 cod. civ.), non nell’ipotesi di pattuizione di prezzo tenue, vile ed irrisorio, ma quando risulti concordato un prezzo obiettivamente non serio, o perché privo di valore reale (e perciò meramente apparente e simbolico), o perché programmaticamente destinato, nella comune intenzione delle parti, a non essere pagato.
La pattuizione di un prezzo notevolmente inferiore al valore di mercato della cosa compravenduta, ma non privo del tutto di valore intrinseco, può rilevare sotto il profilo dell’individuazione del reale intento negoziale delle parti e dell’effettività della causa del contratto, ma non può determinare la nullità del medesimo per la mancanza di un requisito essenziale. Del pari, non può incidere sulla validità del contratto la circostanza che il prezzo, pur in origine seriamente pattuito, non sia stato poi in concreto pagato (Cass. , sent. n. 9144 del 1993).
Tizio e Caio hanno stipulato un preliminare di vendita immobiliare dal quale risulta la somma pattuita che verrà versata all’atto della stipula del definitivo. Il prezzo, cioè la somma di cui trattasi, risulta (secondo quanto testé stilato) giusta. Ove per giusta s’intenda la serietà delle parti confrontande. E, stando a tale analisi, non rileverebbe nemmeno il mancato versamento del prezzo in concreto e quindi l’assenza del Tizio dinanzi al notaio rogante. E, potendo concludere manieristicamente, Caio ben potrebbe porre seguito alla sua intenzione di agire in giudizio per ottenere sentenza costitutiva che tenga luogo del contratto, del quale fidava e confidava la compiuta formalizzazione finale.
Non riordinando il già stilato, ma continuando l’analisi, dobbiamo soffermarci sull’unico atto giuridico esistente tra il sig. Tizio (promissario venditore) ed il sig. Caio (promissario acquirente). E l’unico atto esistente è quello che ci viene denominato quale «preliminare di vendita di un immobile».
È importante subito constatare che la rubrica dell’art. 1351 c.c. s’intitola CONTRATTO PRELIMINARE. Ed è, altresì, importante sapere che la norma de qua palesa quando esso possa/debba dirsi nullo: se non è fatto nella stessa forma che la legge prevede per il contratto definitivo.
È altamente probabile, e la norma lo consente (anzi, espressamente ciò disciplina) che, durante le trattative (quindi prima di raggiungere la conclusione dell’accordo) le parti stipulino un contratto, appunto il preliminare. Mediante tale atto, esse s’impegnano a concludere, in un secondo tempo, altro contratto, detto definitivo.
È altrettanto illuminante ed utile sapere che tale impegno (serio, per la sua stessa intrinseca natura e funzione) può essere imposto ad entrambi o ad uno soltanto dei contraendi (cd. preliminare unilaterale). In quest’ottica, dato per certo ed acquisito che nulla quæstio vi è a sollevarsi sul distico «somma pattuita», Tizio ben può, come si determina in facto, non presentarsi dinanzi al notaio sessanta giorni dopo la stipula del preliminare con Caio.
Ma non possiamo, per ora, esser certi di tale soluzione. Non possiamo affidarle fede certa, dovendoci occupare ancora della natura del preliminare, anche e soprattutto in ragione delle sue differenze col definitivo. E la differenza intercorrente tra il contratto preliminare e quello definitivo è fondamentale, avendo il primo ad oggetto una obbligazione di fare, ovverosia quella di prestare il consenso per giungere al contratto definitivo. Qualora una delle parti venga meno a tale obbligazione, rifiutandosi di stipulare in sede definitiva, la controparte può chiedere il risarcimento del danno. Addirittura, se possibile e se profilato dal titolo, questa potrebbe ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto definitivo non concluso. Si tratta dell’adempimento coattivo in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto. Norma di riferimento è l’art. 2932 c.c. Che infatti recita: Se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte, qualora sia possibile, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso.
Questo al primo comma.
Ma il secondo comma precisa: Se si tratta di contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto, la domanda non può essere accolta, se la parte che l’ha proposta non esegue la sua prestazione o non ne fa offerta nei modi di legge, a meno che la prestazione non sia ancora esigibile.
In linea generale, l’inadempimento dell’obbligazione ricorre allorché il debitore non esegue la prestazione o lo fa in maniera inesatta.
Distinguiamo, quindi, tra:
inadempimento assoluto;
inadempimento relativo.
Il nostro caso richiede l’analisi della prima di tali forme d’inadempimento, che si ha quando il debitore non esegue affatto la prestazione.
Le cause determinanti l’inadempimento da parte del debitore possono essere ricondotte a vari motivi:
trascuratezza negli affari;
incapacità professionale, tecnica, economica;
negligenza, imprudenza, imperizia.
Tali cause rilevano ai fini degli effetti che producono, vale a dire a seconda che l’inadempimento sia o non sia imputabile al debitore. Nel caso in cui gli dovesse essere imputabile, ricorre la figura del dolo, ovverosia una precisa volontà di non adempiere. Nel secondo caso, la figura che verrebbe in luce sarebbe la colpa, ricondotta tradizionalmente alle tre “negative grazie” della negligenza, imprudenza o imperizia. Non può invece imputarsi al debitore l’inadempimento derivante da fatti estranei alla sua volontà o al suo negligente comportamento.
In definitiva, e sul punto:
se l’inadempimento è imputabile al debitore, questi sarà responsabile contestualmente nei confronti del creditore, dovendo a quest’ultimo risarcire il danno cagionatogli e che poteva prevedersi al momento in cui l’obbligazione è sorta;
se l’inadempimento non è imputabile al debitore, questi non subirà conseguenze di sorta.
L’onere della prova riguardante l’inadempimento (cifrata la regola della diligenza dell’uomo medio), spetta al creditore. A tale scopo il legislatore (art. 1176 c.c.) prende a modello la figura del cd. buon padre di famiglia, appunto l’uomo medio, che vive in un determinato ambiente sociale, secondo tempi, abitudini, rapporti economici ben determinati e che si comporta con la sufficiente avvedutezza e temerità. In altri e più semplici termini, l’articolo in minicommento offre all’interprete un criterio generale per valutare la condotta dell’obbligato (Cass. , sent. n. 11843 del 1997).
Dato per certo che il contratto preliminare intervenuto tra i signori Tizio e Caio sia valido ed efficace ed ipotizzando altresì che concerna una vendita a corpo e non a misura, norma di riferimento, a mente di tale ultimo assunto, è l’art. 1538 c.c. L’articolo ultimo citato, in tale ipotesi di vendita prevede il rimedio della diminuzione o del supplemento di prezzo in ipotesi di difformità tra la misura reale dell’immobile e quella indicata in contratto (purché la prima sia inferiore o superiore di un ventesimo rispetto alla seconda), salva, per il compratore che dovrebbe pagare detto supplemento, la facoltà di recedere dal contratto. E salva, se del caso, l’applicabilità dell’art. 1427 c.c. (Cass. , sent. n. 2575 del 1983).
Se così fosse, Caio avrebbe tutto il diritto ad infondere a Tizio quanto promesso dal terzo nuovo promissario acquirente, offerente condizioni più vantaggiose. E in tal caso Tizio avrebbe dovuto, nelle opportune modalità, comunicative del vigente sistema, rendere edotto l’obbligante Caio del maggior introito ottenibile dal terzo “innominato”.
Ma osta a tale tesi il categorico disposto dell’art. 1541 c.c. , che in tema di prescrizione stabilisce che il diritto del venditore al supplemento si prescrive in un anno dalla consegna dell’immobile. Se la consegna dell’immobile è avvenuta contestualmente o posteriormente alla conclusione di un contratto preliminare, il termine prescrizionale decorre dalla data di conclusione del contratto definitivo.
La traccia non ci parla d’una avvenuta consegna; anzi, fa percepire tutt’altra situazione di fatto. Una situazione che vuole i due soggetti impegnati a comparire innanzi al pubblico ufficiale in una data determinata e al fine della consegna dell’immobile e contestuale, sinallagmatica cessione della somma prepattuita.
Il contratto preliminare è un contratto con cui le parti graduano nel tempo le reciproche prestazioni, differendo, nel caso di compravendita, l’effetto traslativo della proprietà. Sicché, la stipula del contratto definitivo costituisce soltanto l’adempimento delle obbligazioni assunte col preliminare, con l’importantissima conseguenza che esso, e non il contratto definitivo, è l’unica fonte dei diritti e degli obblighi delle parti. Parti che possono, per il principio dell’autonomia negoziale, modificare gli accordi stabiliti con il preliminare stesso (Cass. sent. n.8486 del 1987).
Così stando il fatto, l’esplicita notizia intertestuale dell’obbligo d’acquisto del sig. Caio non varrebbe ad escludere la precipua responsabilità del sig. Tizio.
Ciò che davvero conta è la determinazione o determinabilità dell’oggetto. Tra gli elementi essenziali della futura convenzione, appunto rileva tale assioma incontestabile, che può coesistere con fatti storici sopravvenuti.
L’oggetto della compravendita è, si sa, il trasferimento dietro corrispettivo del prezzo, e tale prezzo deve tendere alla funzione prima del rapporto, che è e rimane economico-sociale e non sociale-economica. Uno spostamento concettuale, in tale materia, determinerebbe un inaccettabile spostamento contenutistico. Se è vero che il contratto fa (rectius: è) legge tra le parti, è altrettanto vero che, nel caso in cui le parti, dopo aver stipulato un preliminare, siano addivenute (come non avvenuto nel caso prospettato) alla stipulazione definitiva, quest’ultima costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto, in quanto il preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare (Cass. sent. n.7206 del 1999).
Per quel che concerne la forma, il contratto preliminare va fatto, a pena di nullità, nella medesima forma che la legge eventualmente prescrive per il contratto definitivo. La nuova normativa relativa alla trascrizione del contratto preliminare (introdotta con D. L. n.669 del 1996, convertito nella L. 30/1997) stabilisce l’obbligo della trascrizione dei contratti preliminari (risultanti da atto pubblico o scrittura privata autenticata, o con sottoscrizione accertata giudizialmente) aventi ad oggetto taluno dei contratti di cui ai numeri da 1 a 4 dell’art.2643 c.c.
L’avvocato di Caio dovrà, prima facie, accertarsi di detta avvenuta “formalità”.
In secondo luogo dovrà valutare il fumus bonis actionis dall’attenta lettura dell’atto intervenuto “inter partes”. Solo da esso (e se esso eventualmente sia valido) potrà desumere se si verta in tema d’esclusivo obbligo di Caio, ed in tal caso dare per altamente probabile la facoltà di Tizio (pur se espressa in modo così sgarbato).
Ciò che sappiamo per certo è che Tizio avrebbe dovuto comparire innanzi al notaio in data certa e che, se tale determinazione bilaterale si fonda, com’è dato intuire, su una stipulazione di preliminare e non su un mero accordo (che può essere una manifestazione non rilevante) Tizio rimane ope contractis obbligato. In tale caso, che parrebbe essere il nostro (vi è, presumibilmente, un valido preliminare ed una valida, reciproca determinazione a concludere definitivamente) Caio, col patrocinio ineliminabile del proprio legale, può ben determinarsi nella maniera processualistica opportuna.
Il rapporto tra Tizio ed il terzo non è qui a considerarsi se non a motivo interno («condizioni più vantaggiose») e pare lecito presumere che con tale terzo egli sia in fase di trattative precontrattuali.
È vero che Caio non ha eseguito la propria prestazione, ma è altresì vero che la stessa, da eseguirsi in un dato e preciso luogo e momento, non è non avvenuta per sua colpa, o meglio, sua imperizia. Egli si è infatti presentato dal notaio.
Non è possibile prescindere, per la valutazione del caso, da una scelta di fondo rendente ossequio al principio della libertà delle forme, inteso come espressione dell’autonomia negoziale, essendo le parti libere di decidere non solo il contenuto del contratto, ma anche la forma, attraverso la quale esprimere tale contenuto; finanche quella di restringere la portata di tale principio, sostituendo al linguaggio volontaristico (di tradizione pandettistica) la maggiore oggettivazione della volontà, che attraverso la forma si cristallizza e rende autonoma dal suo autore.
All’esigua normativa generale sulla forma fa riscontro un altrettanto esiguo novero di disposizioni sul contratto preliminare. L’art.1351 c.c. , senza preoccuparsi della questione definitoria, ne dispone la nullità ove non venga stipulato nella stessa forma del definitivo. Il legislatore tutela la possibilità che le parti si obblighino a stipulare un contratto futuro, e subordina tale tutela all’equiparazione della forma del contratto preliminare a quella del definitivo, quando quest’ultima è necessaria.
Ove si ritenga la norma ex art.1351 c.c. una regola dal carattere generale, essa, per logica, dovrebbe trovare applicazione non soltanto nei contratti preliminari a contenuto positivo, ma anche ai solutori degli stessi (rectius: a contenuto negativo).
Se il legislatore prevede particolari forme-cautele per l’assunzione del dato obbligo, stabilendone la redazione-formazione ad substantiam, le medesime cautele dovranno prevedersi per lo svolgimento di quel rapporto, che è di natura obbligatoria, al fine anche, se non soprattutto, della tutela dei terzi.
Se l’art.1351 c.c. fosse ritenuto di carattere eccezionale, non potrebbe riguardare il contratto solutorio del preliminare.
Accettando la tesi più rigorosa (Cass. 19 ott. 1998, n.10328; Cass. 23 dic. 1995, n. 1314; Cass. 29 genn. 1994, n. 4928), la risoluzione consensuale del contratto preliminare avente ad oggetto il trasferimento di diritti reali immobiliari, richiede la forma scritta ad substantiam.
È chiaro, ictu oculis, che nel caso di specie tale consenso-forma non c’è stato/a, e che Tizio non ha rispettato l’impegno preso; anzi, non si è comportato con la dovuta diligenza. Egli in malafede non ha adempiuto agli obblighi constantigli ex art. 1476 c.c.
Concludendo, si “esplica” massima giurisprudenziale e si specifica la proponibile azione.
Nel concetto di compravendita, che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di un bene verso corrispettivo di un prezzo, con la correlata assunzione, a carico rispettivamente del venditore e dell’acquirente, dell’obbligo di consegnare la cosa e di quello di pagare il prezzo, la determinazione del tempo di esecuzione di tali obblighi non è necessaria ai fini della perfezione del contratto, la mancanza di specifici fatti in proposito comportando la possibilità, per l’acquirente, di esigere l’immediata consegna della cosa e per il venditore di prevedere il contestuale versamento del prezzo. (Cass. sent. n. 1055 del 1986).
In conseguenza di tanta analisi, il legale di Caio può ragionevolmente indirizzare il suo cliente a proporre, ex art. 2932 c.c. , domanda volta ad ottenere una sentenza costitutiva; vale a dire che produca gli effetti del contratto non concluso (non ultroneo pare ricordare: il contratto definitivo).
Dott.ssa Monica Cito
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento