Particolare tenuità del fatto: rilevanza per divieto di ‘bis in idem’

Allegati

La particolare tenuità del fatto non rileva ai fini della violazione del divieto di ‘bis in idem’, stabilito dall’art. 649 cod. proc. pen.
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Corte di Cassazione -sez. I pen.- sentenza n. 39498 del 7-06-2023

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Indice

1. La questione e la particolare tenuità del fatto


Il Tribunale di Palermo, quale giudice dell’esecuzione, respingeva una istanza con la quale un condannato chiedeva, ai sensi dell’art. 669 cod. proc. pen., che venisse ordinata l’esecuzione del decreto di archiviazione emesso, ai sensi dell’art.131-bis cod. pen., dal Giudice per le indagini preliminari di Palermo per i reati di cui agli artt. 633, 639-bis cod. pen. e, per conseguenza, revocarsi la sentenza di condanna emessa nei suoi confronti, per tali reati, dal Tribunale di Palermo in data 11 novembre 2019, divenuta irrevocabile il 03 giugno 2020.
In particolare, il giudice aveva ritenuto non applicabile il disposto dell’art. 669 cod. proc. pen. in quanto il decreto di archiviazione emesso ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., a suo avviso, non era equiparabile alle sentenze e ai decreti penali di condanna, menzionati dalla predetta norma.
Ciò posto, avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’istante che, tra i motivi ivi addotti, deduceva l’erronea applicazione della legge in relazione agli artt. 649 e 669 cod. proc. pen..


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2. La soluzione adottata dalla Cassazione


La Suprema Corte riteneva il motivo summenzionato infondato.
Nel dettaglio, gli Ermellini, per addivenire a siffatto esito decisorio, rilevavano innanzitutto come, nel caso di specie, si fosse formato il giudicato che, secondo il costante principio espresso dalla medesima Cassazione, copre non solo le questioni dedotte ma anche quelle deducibili ma non tempestivamente dedotte, comprese le questioni relative alla procedibilità.
Orbene, da ciò se ne faceva conseguire che il fatto che, come sostenuto dal difensore, la possibile sussistenza di una situazione di improcedibilità della nuova azione penale, dovuta alla intervenuta emissione di un decreto di archiviazione per fatti che il ricorrente assume essere identici, non risultava essere stata rilevata nel corso del giudizio ordinario, che si era già concluso con l’emissione della sentenza di condanna e, di conseguenza, non poteva essere sollevata in sede di esecuzione, non potendosi travolgere il giudicato ormai formatosi anche in punto di procedibilità dell’azione penale.
Premesso ciò, il Supremo Consesso notava però come la questione della contemporanea pendenza, per il medesimo fatto, di un decreto di archiviazione e di una sentenza di condanna, anche se mal posta dal ricorrente, fosse però rilevante, dovendosi valutare l’applicabilità o meno, in tale situazione, dell’art. 649 cod. proc. pen. visto che l’accertamento della violazione del divieto di un secondo giudizio impone l’intervento del giudice in ogni stato e grado del giudizio, il quale deve emettere una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, ovvero deve rilevare la situazione di litispendenza e dichiarare l’improcedibilità dell’azione penale nuovamente esercitata dal pubblico ministero, nel rispetto del principio secondo cui «Non può essere nuovamente promossa l’azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo già sia pendente (anche se in fase o grado diversi) nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del P.M., di talché nel procedimento eventualmente duplicato dev’essere disposta l’archiviazione oppure, se l’azione sia stata esercitata, dev’essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilità» (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005; conforme Sez. 3, n. 17917 del 10/03/2016, con riferimento alla competenza del giudice dell’esecuzione).
Orbene, a fronte di ciò, per la Corte di legittimità, era dirimente – per valutare se sussista una violazione del divieto di ‘bis in idem’ quando il medesimo fatto sia stato, in tutto o in parte, oggetto di una sentenza di condanna e di un decreto di archiviazione, in particolare se emesso ai sensi dell’art. 131-bis cod.pen. – stabilire la natura da attribuire a quest’ultimo poiché gli artt. 649 e 669 cod. proc. pen. individuano tale violazione solo con riferimento all’avvenuta emissione di ‘sentenze’ o ‘decreti penali di condanna’.
Per i giudici di piazza Cavour, quindi, il tenore letterale di queste norme impone di escludere che un decreto di archiviazione possa costituire un provvedimento equiparabile alla sentenza o al decreto penale di condanna, con riferimento al rispetto del divieto di un secondo giudizio stabilito dall’art. 649 cod. proc. pen., e che possa sollevarsi questione di litispendenza tra un decreto di archiviazione e una sentenza o un decreto penale di condanna, salvo il caso della preclusione all’esercizio dell’azione penale derivante dalla violazione dell’art. 414 cod. proc. pen., avendo la Cassazione più volte affermato, sia pure solo con riferimento alla rilevanza del decreto di archiviazione in caso di richiesta di estradizione, che «il principio del “ne bis in idem” europeo … opera nel diritto interno solo in presenza di un provvedimento definitorio del giudizio con efficacia di giudicato, quale non è il decreto di archiviazione emesso dall’autorità giudiziaria straniera…» (Sez. 2, n. 51221 del 15/06/2018; vedi anche Sez. 6, n. 6241 del 29/01/2020).
Pur tuttavia, sempre a detta della Suprema Corte, occorre però valutare se tale principio valga anche con riferimento al decreto di archiviazione emesso ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., potendo attribuirsi ad esso una natura diversa in quanto, pur non assumendo tale decisione efficacia di giudicato, essa deve essere iscritta nel casellario giudiziario, e può produrre un effetto preclusivo in ordine alla ulteriore concessione dell’assoluzione per il medesimo motivo.
Ebbene, si evidenziava come sul punto la sentenza, emessa dalle Sez. U., di cui al n. 30954 del 30/05/2019, affermativa dell’obbligo di iscrizione nel casellario giudiziario del predetto decreto, nella motivazione avesse chiarito i limiti e gli effetti di tale iscrizione, e avesse anche incidentalmente confermato la diversità del decreto di archiviazione rispetto alle sentenze e ai decreti penali di condanna, ribadendo ad esempio che «Deve però escludersi che la valutazione pregiudiziale sulla sussistenza del fatto e sulla sua attribuibilità all’indagato compiuta in sede di archiviazione costituisca un accertamento assimilabile ad una dichiarazione di colpevolezza … avvenendo in una fase anteriore al giudizio».
Risultava quindi essere stata confermata la non equiparabilità del decreto di archiviazione, anche se emesso ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., alla ‘sentenza’ e al ‘decreto penale di condanna’ che rendono possibile la violazione del principio del ‘ne bis in idem’, ai sensi degli artt. 649 e 669 cod. proc. pen..
I giudici di legittimità ordinaria, pertanto, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, confermavano il principio di diritto, già espresso nella sentenza Sez. 1, n. 12025 del 17/02/2022, secondo cui «la tesi della equiparazione di tale provvedimento (cioè del decreto di archiviazione ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., n.d.r.,) alle sentenze e ai decreti penali di condanna, ai fini dell’applicazione delle disposizioni dell’art. 669 cod. proc. pen., risulta infondata sul piano sostanziale, oltre che dell’interpretazione letterale», fermo restando che tale principio non è in contrasto con la già intervenuta equiparazione alle ‘sentenze’ e ai ‘decreti penali di condanna’, dei provvedimenti adottati dal giudice dell’esecuzione, ai fini della valutazione del rispetto del divieto di ‘bis in idem’, tanto più se si considera che questa equiparazione è stata stabilita dalla Sez. 1, nella pronuncia n. 26031 del 05/07/2005, che ha dettato un principio che, recentemente, è stato esteso ai provvedimenti non ancora definitivi emessi dal giudice dell’esecuzione, dalla sentenza emessa dalla Sez. 5, di cui al n. 34324 del 07/10/2020, secondo cui «Il principio del “ne bis in idem” è applicabile in via analogica con riferimento alle ordinanze del giudice dell’esecuzione nei casi in cui esso costituisca l’unico strumento possibile per eliminare uno dei due provvedimenti emessi per lo stesso fatto contro la stessa persona».
Orbene, una volta rilevato che il predetto principio trova la sua ragione nel fatto che i provvedimenti del giudice dell’esecuzione sono suscettibili di divenire irrevocabili e comportano una successiva attività per la loro esecuzione, creando così un contrasto di giudicati nel caso che, in relazione ad una medesima situazione, vengono emessi due provvedimenti dal contenuto non perfettamente sovrapponibile, si è perciò ritenuto che, anche in tale circostanza, il contrasto debba essere risolto, dal giudice dell’esecuzione, in senso favorevole al condannato, gli Ermellini osservavano altresì come, anche sotto tale profilo, fosse quindi evidente la diversità tra i provvedimenti emessi dal giudice dell’esecuzione e il decreto di archiviazione emesso ai sensi dell’art. 131-bis cod. proc. pen., dal momento che quest’ultimo non è suscettibile di esecuzione, ed incide su ulteriori procedimenti solo nel senso precisato dalla sentenza Sez. U. n. 30954/2019, sopra citata.
In ragione di quanto sin qui enunciato, il Supremo Consesso giungeva dunque a postulare il seguente principio di diritto: «Non costituisce violazione del divieto di ‘bis in idem’, stabilito dall’art. 649 cod. proc. pen., l’emissione, per lo stesso fatto, di una sentenza o di un decreto penale di condanna e di un decreto di archiviazione ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., non essendo quest’ultimo un provvedimento suscettibile di esecuzione o di conseguire la irrevocabilità».
Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso era pertanto integralmente respinto, essendo il secondo motivo irrilevante alla luce delle ragioni del presente rigetto, fermo restando che il rigetto in questione comportava oltre tutto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..

3. Conclusioni


La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi asserito che la particolare tenuità del fatto non rileva ai fini della violazione del divieto di ‘bis in idem’, stabilito dall’art. 649 cod. proc. pen..
Si enuncia difatti in tale pronuncia il principio di diritto secondo il quale non costituisce violazione del divieto di ‘bis in idem’, stabilito dall’art. 649 cod. proc. pen., l’emissione, per lo stesso fatto, di una sentenza o di un decreto penale di condanna e di un decreto di archiviazione ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., non essendo quest’ultimo un provvedimento suscettibile di esecuzione o di conseguire la irrevocabilità.
È dunque sconsigliabile, perlomeno alla stregua di tale approdo ermeneutico, invocare l’applicazione di questa norma processualpenalistica laddove sia emesso uno di questi provvedimenti.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché prova a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere che positivo.

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