Passaporto in favore di minore residente all’estero: il sindacato dell’autorità consolare in qualità di giudice tutelare

Introduzione.

Il quadro delle competenze del titolare di un ufficio consolare all’estero include anche il potere di decidere, in veste di giudice tutelare, sulle istanze di autorizzazione al rilascio di passaporto in favore di minore ovvero di genitore con prole minore. La competenza si radica in presenza di un duplice presupposto:

-la residenza del minore nella circoscrizione di competenza dell’ufficio consolare;

– il diniego, formulato dall’altro genitore, al rilascio del passaporto.

Di seguito vengono illustrati i riferimenti normativi, i parametri valutativi che devono essere osservati dal giudice tutelare, e alcune ipotesi applicative che possono presentarsi più frequentemente nell’esperienza pratica di conduzione di un ufficio consolare all’estero.

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1. I termini normativi di riferimento.

Il quadro di riferimento è determinato dal combinato disposto di due previsioni legislative.                                                                                                                 La prima disposizione da considerare è l’art. 34 del Decreto Legislativo n. 71 del 3 febbraio 2011 (“Ordinamento e funzioni degli uffici consolari“). A norma dell’art. 34, “il capo dell’ufficio consolare, anche al di fuori delle ipotesi previste dal presente decreto, emana nei confronti dei cittadini residenti nella circoscrizione i provvedimenti di volontaria giurisdizione, in materia di diritto di famiglia e di successioni, che per le leggi dello Stato sono di competenza del giudice tutelare, del tribunale e del presidente di tribunale, ivi compreso quello per i minorenni.” Al titolare dell’ufficio consolare dunque spetta, con riferimento ai connazionali che risiedono nella sua circoscrizione di competenza, l’esercizio delle funzioni di volontaria giurisdizione attribuite dall’ordinamento alla potestà del giudice tutelare.

Come noto, la giurisdizione volontaria rappresenta una tipologia di giurisdizione non contenziosa. In questo tipo di giurisdizione l’organo giudiziario non è chiamato a dirimere controversie in materia di situazioni giuridiche soggettive. In qualità di soggetto terzo ed imparziale, è invece chiamato a integrare una fattispecie costituiva di un rapporto, di un negozio giuridico o di uno status. Si pensi, a titolo esemplificativo, alle funzioni di tutela e curatela dei minori e delle persone incapaci, o alla nomina dell’amministratore di sostegno.

L’autorità consolare, nei casi individuati dal legislatore, è pertanto giudice tutelare ed assume la veste di organo giurisdizionale, con tutti i poteri che ne conseguono (ad esempio il potere di promuovere giudizi incidentali di legittimità costituzionale ex art. 134 della Costituzione).

Il secondo termine di riferimento è costituito dalla previsione di cui all’art. 3 della Legge n. 1185  del 21 novembre 1967 ( “Norme sui passaporti”).

Tale disposizione prevede che “Non possono ottenere il passaporto: a) coloro che, essendo a norma di legge sottoposti alla patria potestà o alla potestà tutoria, siano privi dell’assenso della persona che la esercita e, nel caso di affidamento a persona diversa, dell’assenso anche di questa; o, in difetto, della autorizzazione del giudice tutelare; b) i genitori che, avendo prole minore, non ottengano l’autorizzazione del giudice tutelare; l’autorizzazione non è necessaria quando il richiedente abbia l’assenso dell’altro genitore, o quando sia titolare esclusivo della responsabilità genitoriale sul figlio ovvero, ai soli fini del rilascio del passaporto di servizio, quando sia militare impiegato in missioni militari internazionali “.

La disposizione costituisce quindi una di quelle ipotesi richiamate dall’art. 34 D. Lgs. 71/2011 in cui l’autorità consolare svolge funzioni di giudice tutelare. Ai sensi della disciplina citata, il giudice tutelare esercita un potere autorizzatorio al rilascio del passaporto in due casi:

– a favore del minore, laddove non vi sia l’assenso di uno di coloro che esercitano la potestà genitoriale;

– a favore del genitore con figli minori, laddove l’interessato non abbia acquisito l’assenso dell’altro genitore.

La lettura congiunta dell’art. 34 D. Lgs. 71/2011 e dell’art. 3 L.1185/67 permette di delineare la fattispecie che in concreto può presentarsi al vaglio del capo dell’ufficio consolare. È il caso del connazionale, genitore di minore residente all’estero, che si rivolge all’ufficio consolare per ottenere l’autorizzazione al rilascio del documento di viaggio per sé o per il figlio minore, in ragione del dissenso manifestato dall’altro genitore.

Si pone a questo punto la questione di quali siano i criteri che devono orientare l’autorità consolare, in qualità di giudice tutelare, nella trattazione di un’istanza del genere.

 

2. L’oggetto del sindacato del giudice tutelare.

Al fine di definire l’oggetto della valutazione del giudice tutelare, è utile richiamare i caratteri distintivi della giurisdizione volontaria. Come già precisato, in questo tipo di giurisdizione il giudice non è chiamato a dirimere una controversia in materia di diritti soggettivi, bensì deve integrare una fattispecie o un rapporto giuridico, a tutela di un interesse che il legislatore ha ritenuto meritevole di protezione.                                                                                                                                            Sulla scorta di tali premesse, l’elaborazione giurisprudenziale ha tratto un preciso corollario: il sindacato del giudice tutelare ha ad oggetto la corrispondenza del diniego dell’altro genitore all’interesse del figlio minore. In altre parole, il giudice tutelare che riceve un’istanza ai sensi dell’art. 3 L. 1185/1967 è chiamato a operare un bilanciamento di interessi. Deve valutare se la limitazione che l’altro genitore pone al diritto di libera circolazione ed espatrio (garantito dall’art. 16 comma 2 della Costituzione) sia giustificata da un’esigenza di rango superiore, parimenti tutelata dall’ordinamento, quale è l’interesse del figlio minore a ricevere cura, assistenza, educazione da entrambi i genitori. La ratio della norma è evidentemente riposta nell’esigenza di scongiurare il rischio che il figlio minore sia abbandonato o privato dei messi di sussistenza.

 

L’analisi della fondatezza dei motivi del diniego dell’altro genitore passa quindi per una valutazione della corrispondenza con l’interesse del minore. A tal proposito la giurisprudenza (Tribunale di Vercelli, Ufficio del Giudice tutelare, 12 dicembre 2014) ha fornito alcune coordinate utili a orientare il sindacato del giudice tutelare. Due, in particolare, sono gli elementi che devono essere presi in considerazione da parte del giudice tutelare:                                                                                                                                     

– la non pretestuosità del mancato assenso;                                                                                               

 – la compatibilità in concreto dell’espatrio del genitore con l’interesse del minore.

La rilevanza del primo elemento è di facile comprensione: un diniego meramente pretestuoso o immotivato, cioè privo di una compiuta esposizione delle ragioni ostative all’emissione del passaporto, non giustifica la limitazione al diritto di circolazione ed espatrio. Il secondo punto costituisce invece il fulcro del sindacato in parola: il giudice tutelare è chiamato a verificare se, riconoscendo all’interessato il diritto di espatrio, sussista il rischio di ledere il già citato interesse del minore a ricevere cura e assistenza.                                                                                                     Tale valutazione fa effettuata in concreto. Il rischio che il genitore si sottragga all’adempimento degli obblighi di assistenza familiare, così come il rischio di una sottrazione del minore, va valutato non in astratto, ma attraverso una ponderazione di tutte le circostanze che il giudice tutelare ritiene necessarie, ivi comprese le condizioni personali di chi ha proposto l’istanza, quali ad esempio la necessità di viaggiare per ragioni di lavoro o la necessità di curarsi.

 

3. Alcuni profili operativi.

Di seguito si illustrano alcune ipotesi applicative, di più frequente trattazione nella prassi degli uffici consolari all’estero.

Il provvedimento emesso dall’Autorità consolare ed il regime delle impugnazioni.

La forma del provvedimento adottato dal capo dell’ufficio consolare per decidere sull’istanza ex art. 3 L. 1185/1967 è quella tipica dei provvedimenti di volontaria giurisdizione, cioè il decreto motivato.

La natura giuridica dei provvedimenti di volontaria giurisdizione rileva ai fini della determinazione del regime impugnatorio del decreto consolare. L’art. 35 D. Lgs. 71/2011 individua, quale tipico mezzo di impugnazione del decreto consolare, il ricorso “presso il tribunale nel cui circondario si trova il Comune di iscrizione AIRE dell’interessato. Se l’interessato non è iscritto all’AIRE ed è stato residente in Italia, è competente il tribunale del luogo di ultima residenza”. Si tratta di un’impugnazione che ha natura di gravame a effetto devolutivo, cioè consente una revisione complessiva del decreto consolare impugnato, nei limiti delle contestazioni specificamente formulate.                                                                                                                 Non può ritenersi ammissibile invece il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 della Costituzione, dal momento che il decreto consolare è un provvedimento di volontaria giurisdizione, volto non già a dirimere in via definitiva un conflitto tra diritti soggettivi dei genitori del minore, bensì a valutare la corrispondenza del mancato assenso di uno di loro all’interesse del figlio. Come ha precisato la Corte di Cassazione, si tratta di un provvedimento “espressivo di una forma gestoria dell’interesse del minore” (Cass., sez. I, 14 maggio 2010, n. 11771), non caratterizzato da definitività e dunque non idoneo ad acquistare autorità di cosa giudicata.

Va in ogni caso precisato che, poiché si tratta di provvedimento non contrassegnato da definitività e per sua natura quindi sempre revocabile e modificabile, il rigetto della domanda del connazionale non esclude la riproposizione dell’istanza, che l’autorità consolare potrà dichiarare ammissibile ed eventualmente riscontrare nel merito se l’interessato avrà allegato nuovi elementi (ad esempio: nuove circostanze di fatto, nuovi provvedimenti emessi in sede giudizio di separazione o divorzio, etc.).

La competenza per territorio dell’autorità consolare in veste di giudice tutelare.

La questione della determinazione della competenza dell’ufficio consolare può assumere rilievo nell’ipotesi in cui il connazionale che presenta l’istanza e il figlio minore risiedano in due circoscrizioni consolari differenti (ad esempio perché il minore convive con l’altro genitore in un diverso Paese).  La determinazione della competenza del giudice tutelare è basata su un criterio territoriale: è competente l’ufficio consolare nella cui circoscrizione risiede il minore. Tale criterio e’ quello che risulta dall’art. 33 comma 1 D. Lgs. 71/2011 (“Il capo dell’ufficio consolare esercita nei confronti dei cittadini minorenni, interdetti, emancipati, inabilitati e sottoposti ad amministrazione di sostegno, residenti nella circoscrizione, le funzioni ed i poteri, in materia di tutela, di curatela, di assistenza pubblica e privata, che le leggi dello stato attribuiscono al giudice tutelare”). Va inoltre aggiunto che la volontaria giurisdizione rientra nella cd. competenza per territorio inderogabile (ex art. 28 del Codice di Procedura Civile) e quindi non può essere modificata per effetto di accordo delle parti. Laddove il minore non abbia la residenza, può farsi riferimento al domicilio o alla dimora abituale: questa è un’interpretazione estensiva di favore, accolta nella prassi, in considerazione del fatto che si tratta di provvedimento emesso nello specifico interesse del minore.

In ragione di tale criterio territoriale, quando si tratta di genitore residente in circoscrizione consolare diversa da quella del figlio, la competenza sarà radicata presso l’ufficio consolare in cui risiede quest’ultimo. L’ufficio consolare esaminerà l’istanza, condurrà l’istruttoria ed adotterà il provvedimento decisorio finale, nella forma del decreto motivato. Il decreto verrà poi trasmesso all’ufficio consolare di residenza del genitore; in caso di autorizzazione al rilascio del passaporto, quest’ultimo ufficio potrà emettere il documento, nel rispetto di una chiara distinzione tra funzioni giurisdizionali e funzioni amministrative.

La garanzia del contraddittorio nel procedimento dinanzi all’autorità consolare.

Il principio del contraddittorio (art.111 della Costituzione) ha una portata generale che va oltre quella squisitamente tecnica di diritto alla difesa ex art. 24 della Costituzione. Si tratta di un principio riconducibile più propriamente all’art. 3 della Costituzione e che viene declinato sul versante del processo civile quale principio di uguaglianza delle parti. Ciò significa che tutti coloro che sono potenziali destinatari di un provvedimento giudiziale devono essere messi nelle condizioni di influenzarne il contenuto.

Nel procedimento di volontaria giurisdizione (quale è quello incardinato dinanzi all’autorità consolare su istanza ex art. 3 L. 1185/1967) il rispetto del principio del contraddittorio è imprescindibile. È proprio il rispetto di questo principio peraltro, come ha chiarito la Corte di Cassazione (Cass. Civ. Sez. Unite n.20443 del 28.09.20), a rendere l’art. 3 lett. b) L. 1185/1967 compatibile con le norme di diritto dell’Unione Europea.

Nel caso in cui il connazionale che presenta l’istanza di autorizzazione al rilascio del passaporto non abbia previamente tentato di acquisire l’assenso dell’altro genitore, si pone il problema delle modalità per garantire tale contraddittorio. Il tentativo di acquisire l’assenso dell’altro genitore non sembra in verità richiesto obbligatoriamente dal tenore letterale dell’art.3 lett. b della L. 1185/1967. Laddove il connazionale non abbia esperito tale tentativo, deve dunque ritenersi che spetti al capo dell’ufficio consolare assicurare una partecipazione attiva dell’altro genitore: l’autorità consolare potrà anche d’ufficio chiedere all’altro genitore di far conoscere le proprie determinazioni in merito al rilascio del passaporto e di illustrare le ragioni giustificative di un eventuale diniego.                                                              Si aggiunga, a favore di questa tesi, che è applicabile al procedimento dinanzi al giudice tutelare la regola che orienta l’attività istruttoria (ex art. 738 comma 3 del Codice di Procedura Civile) nei procedimenti di volontaria giurisdizione: “il giudice può assumere informazioni”.

Nulla vieta pertanto all’autorità consolare di acquisire informazioni disponendo di mezzi istruttori ulteriori rispetto a quelli già allegati dal connazionale richiedente. Il capo dell’ufficio consolare potrà sentire entrambi i genitori, il minore stesso, o anche soggetti terzi (ad esempio, assistenti sociali). A lui compete il dovere di attuare una completa istruttoria del caso concreto, finalizzata a valutare la corrispondenza del diniego dell’altro genitore all’interesse del minore.

Le opinioni sono espresse a titolo personale e non sono riconducibili al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

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Francesco Corsaro

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