Patteggiamento e condanna alle spese processuali

In materia di c.d. patteggiamento, la condanna alle spese processuali è legittima anche quando la pena concordata non sia inferiore ad anni 2 di reclusione a seguito del riconoscimento del vincolo della continuazione con reati già oggetto di precedente condanna definitiva

Indice:

Il fatto 

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino applicava agli imputati le pene complessive concordate fra le parti, per i reati loro rispettivamente ascritti e meglio indicati in rubrica (plurime condotte di truffa aggravata, esercizio abusivo di attività di intermediazione finanziaria e di raccolta del risparmio), nelle seguenti misure: al primo, anni 2, mesi 9 di reclusione ed euro 3.400 di multa; al secondo, anni 2, mesi 2 di reclusione ed euro 3.000 di multa; al terzo, anni 2 e mesi 3 di reclusione.

Le pene erano state così complessivamente determinate ritenendole, come da accordo fra le parti, in continuazione con quelle irrogate per i reati per i quali i prevenuti avevano patito precedente condanna definitiva ad opera della sentenza del medesimo Gip del Tribunale di Torino.

In particolare, il delitto più grave era stato individuato in uno di quelli contestati agli imputati nel diverso processo fermo restando che il Gip, avendo applicato la pena detentiva complessiva in misura superiore ad anni 2 di reclusione, condannava i prevenuti, ai sensi dell’art. 445, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato il difensore degli imputati proponeva ricorso per Cassazione, deducendo la violazione di legge in relazione alla loro condanna al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere avendo costoro patito, in ciascuna delle pronunce a loro carico, una condanna alla reclusione minore di anni 2 di reclusione atteso che, nella precedente sentenza di condanna, gli stessi non erano stati condannati al pagamento delle spese processuali perché le pene ivi applicate erano inferiori ad anni 2 di reclusione, tenuto conto altresì del fatto che anche le ulteriori pene, inflitte nell’odierna pronuncia di patteggiamento in continuazione con la precedente condanna, erano minori di tale limite temporale.

Se ne deduceva pertanto l’illegalità, ai sensi dell’art. 445 codice di rito, della condanna alle spese processuali, così come, per la medesima ragione, si affermava poi, che non dovevano essere rifuse, dai prevenuti, le spese di mantenimento in carcere, dovendosi anche considerare che i ricorrenti avevano patito la presupposta custodia cautelare solo in relazione al diverso procedimento sul quale era già intervenuta una sentenza definitiva che non ne contemplava la rifusione. 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

I ricorsi erano reputati manifestatamente infondati e, pertanto, dichiarati inammissibili per le seguenti ragioni.

Si osservava a tal riguardo innanzitutto che i motivi dedotti, non riguardando alcun aspetto dell’accordo concluso fra le parti ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., non sottostavano alle limitazioni fissate per il ricorso in Cassazione dall’art. 448, comma 2 bis, visto che vertono sulle spese del processo che sono oggetto di autonoma decisione del giudice che applichi la pena concordata fra le parti (si veda, da ultimo, Sez. 4, n. 3756 del 12/12/2019, seppure in tema di spese sostenute dalla parte civile ma sempre sul presupposto che la liquidazione delle medesime non deriva dall’accordo raggiunto fra le parti, e così anche Sez. 6, Sentenza n. 28013 del 21/03/2019, e Sez. 5, n. 29394 del 10/05/2019).

Ciò posto, quanto alla condanna dei prevenuti, patteggianti, al pagamento delle spese processuali, era fatto presente come la Cassazione abbia già avuto modo di precisare che questa è legittima anche quando la pena concordata non sia inferiore ad anni due di reclusione a seguito del riconoscimento del vincolo della continuazione con reati già oggetto di precedente condanna definitiva (Sez. 6, n. 32406 del 20/02/2008, formulando un principio di diritto di recente ribadito da Sez. 6, n. 46131 del 01/12/2021), affermandosi al contempo come questo approdo ermeneutico sia condivisibile in quanto tale indirizzo interpretativo, da un lato, è conforme al  tenore letterale della norma – l’art. 445, comma 1, cod. proc. pen. – che non pone alcuna ulteriore condizione, per escludere la condanna al pagamento delle spese processuali, rispetto alla irrogazione di una pena che non superi gli anni due di reclusione e da ciò la Corte giungeva alla conclusione secondo cui il giudice, che applichi una pena superiore agli anni due di reclusione (sola o congiunta ad una pena pecuniaria), deve farne seguire la condanna al pagamento delle spese processuali, senza che gli sia consentito scindere – nell’ipotesi invocata nel ricorso – tale complessiva sanzione fra la pena fissata per il reato considerato più grave e gli aumenti per la continuazione (sia che l’art. 81 cpv cod. pen, sia applicato in relazione ai reati oggetto del processo in decisione sia che ricomprenda quelli già giudicati con una precedente sentenza già divenuta definitiva), dall’altro, come aveva già ricordato la citata sentenza n. 46131/2021, trova logica conferma sistematica anche dall’applicazione che ne viene fatta in relazione ad un istituto analogo – l’estinzione del reato oggetto della sentenza di patteggiamento, disciplinato dal comma 2 dello stesso art. 445 cod. proc. pen. – posto che, anche in tal caso, si considera il quantum di pena irrogata, ancora non superiore agli anni due di reclusione, come unitariamente inflitto, e quindi anche quando sia composto dagli aumenti previsti dall’art. 81 cpv cod. pen. (così: Sez. 1, n. 13754 del 21/01/2020; Sez. 1, n. 38446 del 16/09/2008).

Conclusivamente, allora, ad avviso degli Ermellini, il motivo di ricorso afferente le spese processuali risultava essere manifestamente infondato.

Oltre a ciò, era altresì notato che la censura, mossa nel comune ricorso, circa la condanna al pagamento delle spese di mantenimento durante il periodo di custodia cautelare in carcere era, invece, per il Supremo Consesso, inammissibile per difetto di specificità atteso che, nel ricorso, i prevenuti solo genericamente affermavano di aver patito la custodia cautelare esclusivamente in relazione al diverso procedimento la cui sentenza era già passata in giudicato (senza l’indicata condanna alle spese), non producendo però alcuna documentazione al riguardo mentre, secondo quanto postulato dagli stessi giudici di piazza Cavour, in tema di ricorso per Cassazione, la parte, che deduca la nullità di un atto processuale che non fa parte del fascicolo trasmesso al giudice di legittimità, ha l’onere di indicare ed allegare al ricorso gli atti sui quali l’eccezione si fonda (Sez. 6, n. 37074 del 01/10/2020).

Ad ogni modo, sempre secondo la Suprema Corte, la censura sarebbe stata anche manifestamente infondata posto che le spese di custodia cautelare sono disciplinate dall’art. 692 cod. proc. pen. e non seguono necessariamente la sorte delle diverse spese processuali (contemplate in una pluralità di altre norme, a seconda delle diverse fasi e gradi del processo), tanto che si è fondatamente ritenuto che, anche in caso di patteggiamento, le spese di mantenimento in carcere dell’imputato devono essere in ogni caso poste a suo carico, a prescindere dalla sanzione concordata, proprio in considerazione della loro diversa natura rispetto alle spese processuali (da ultimo: Sez. 4, n. 50314 del 11/07/2018) e, pertanto, del fatto che non possa applicarsi l’esclusione, per le condanne che non superano gli anni due di reclusione, l’esclusione prevista dall’art. 445, comma 1, codice di rito, rilevandosi contestualmente che, se è vero che sul punto si era formato un contrasto nella giurisprudenza formatasi in sede nomofilattica, è anche vero che, dopo l’ultima pronuncia in cui si era sostenuto che l’esclusione dalla condanna alle spese valesse anche per quelle previste dall’art. 692 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 6787 del 01/10/2014), si sono succeduti tutte sentenze in cui si afferma quanto sopra diversamente sostenuto: Sez. 3, n. 50461 del 11/11/2015; Sez. 6, n. 43368 del 14/09/2016; Sez. 6, n. 46403 del 08/10/2019).

Si concludeva quindi prendendo atto come sul punto si fosse formato un orientamento ormai prevalente, nel senso sopra sostenuto, che tiene così debito conto dell’autonomia, anche normativa, delle spese di custodia cautelare rispetto alle, altre, spese del processo (e della lettera dell’art. 445, comma 1, cod. proc. pen. che esclude la condanna dell’imputato, quando lo impongano i limiti di pena, al pagamento solo delle seconde).

Da ultimo, si annotava come il lamentato superamento del precedente giudicato, riguardo alle spese processuali ed alle spese di custodia cautelare, non potesse considerarsi un’intollerabile lesione del diritto di difesa del condannato posto che era stato il medesimo, proponendo l’accordo sulla pena complessiva, a volerne ridiscutere il contenuto, legando la vecchia condanna alla nuova. 

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi postulato, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che, in materia di c.d. patteggiamento, la condanna al pagamento delle spese processuali è legittima anche quando la pena concordata non sia inferiore ad anni due di reclusione a seguito del riconoscimento del vincolo della continuazione con reati già oggetto di precedente condanna definitiva.

Da tale approdo ermeneutico, inoltre, la Corte di legittimità giunge alla ulteriore conclusione secondo cui il giudice, che applichi una pena superiore agli anni due di reclusione (sola o congiunta ad una pena pecuniaria), deve farne seguire la condanna al pagamento delle spese processuali, senza che gli sia consentito scindere – nell’ipotesi invocata nel ricorso – tale complessiva sanzione fra la pena fissata per il reato considerato più grave e gli aumenti per la continuazione (sia che l’art. 81 cpv cod. pen, sia applicato in relazione ai reati oggetto del processo in decisione sia che ricomprenda quelli già giudicati con una precedente sentenza già divenuta definitiva).

E’ dunque sconsigliabile per la difesa, perlomeno alla luce di tale indirizzo interpretativo, censurare l’operato del giudice ove condanni gli imputati che hanno patteggiato al pagamento delle spese processuali, ove costui abbia proceduto in questi termini.

Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codesta tematica procedurale, non può che essere positivo.

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Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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