Patto di prova e licenziamento individuale

Redazione 24/04/02

 

Di Angela Laganà
Avvocato Inps – Specialista in diritto sindacale del lavoro e della previdenza sociale

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Sommario: 1.- Definizione e inquadramento. 2.- Forma, durata, contenuto. 3.-Licenziamento per mancato superamento della prova.

1.- Definizione e inquadramento.

Il patto di prova ( art. 2096 c.c.) designa la clausola apposta al contratto di lavoro con cui le parti subordinano l’assunzione definitiva all’esito positivo di un periodo di prova [1].

Sotto il profilo teorico, la questione che più ha occupato la dottrina, riguarda la natura giuridica del patto di prova.

Si è discorso di condizione sospensiva potestativa [2]; di condizione risolutiva [3]; di contratto a termine [4] ; di rapporto a termine incerto combinato con un rapporto di lavoro definitivo sottoposto a condizione sospensiva potestativa [5] ; di contratto speciale di lavoro avente ad oggetto l’esperimento [6] ; di momento o fase di un rapporto di lavoro unitario [7].

Valida e convincente appare la tesi intermedia di chi inquadra il patto di prova come clausola del contratto di lavoro contenente gli elementi caratteristici sia del termine che della condizione : esso determina infatti un rapporto di lavoro provvisorio a termine finale incerto, mentre il rapporto definitivo è subordinato alla condizione sospensiva potestativa del gradimento o del mancato recesso di una delle parti ed è a termine iniziale incerto coincidente con la fine del periodo di prova [8].

In caso di esito positivo della prova, il contratto di lavoro diviene definitivo con effetto ex tunc.

Ai sensi del comma 2 del citato art. 2096, l’imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l’esperimento che forma oggetto del patto di prova.

La funzione della prova è dunque quella di verificare il reciproco interesse alla prosecuzione del rapporto di lavoro ( c.d. prova bilaterale) : in particolare per il datore di lavoro la verifica riguarderà le capacità professionali del lavoratore, la sua idoneità alle mansioni affidate e al contesto aziendale; il lavoratore da parte sua valuterà la convenienza all’occupazione del posto di lavoro [9].

Il patto di prova puo’ essere apposto anche nel caso in cui siano intercorsi tra le stesse parti precedenti rapporti di lavoro, purche’ risulti ancora funzionale allo scopo – non realizzato congiuntamente in precedenza -, di consentire alle parti di valutare, all’esito di un periodo adeguato di esperimento, la “reciproca convenienza” del nuovo rapporto di lavoro, e peraltro non sia volto esclusivamente ad eludere norme imperative [10].

Non è assimilabile a patto di prova la partecipazione ad un corso di perfezionamento [11].

Ciò discende oltre che dalla mancanza del requisito formale, previsto dell’art. 2096 c.c., per la presenza di una funzione di addestramento che, invece e’ estranea all’assunzione in prova, nonche’ per la circostanza che da tale partecipazione, anche se lodevole, non discende di regola un diritto all’assunzione, mentre l’esito positivo della prova rende definitivo il contratto, anche in mancanza di un giudizio formale d’idoneita’.

Viceversa è ammissibile il patto di prova nel contratto di formazione e lavoro nel quale l’esperimento avrà ad oggetto l’idoneità ad acquisire una professionalità e non già la verifica della capacità professionale del lavoratore [12].

La reiterazione del patto di prova in due contratti di lavoro a termine successivamente stipulati fra le stesse parti, ancorche’ astrattamente sintomatica della possibile volonta’ delle parti di derogare alla disciplina tipica del rapporto, consentendo ad una di esse la libera recedibilita’ prima della scadenza del termine, e’ ammissibile ove, in base all’apprezzamento del giudice di merito, risponda ad una finalita’ apprezzabile e non elusiva di norme cogenti, atteso che il patto di prova e’ funzionalmente destinato alla verifica, non solo delle qualita’ professionali, ma anche del comportamento e della personalita’ complessiva del lavoratore in relazione all’adempimento della prestazione e che tali elementi sono certamente suscettibili di modifiche nel corso del tempo per il possibile intervento di molteplici fattori, quali quelli attinenti alle abitudini di vita o al sopravvenire di problemi di salute [13].

Del pari ammissibile è il patto di prova nell’ipotesi di assunzioni obbligatorie.

La giurisprudenza non si discosta ormai dal principio enunciato dalle Sezioni Unite con la sentenza del 17 marzo 1979 circa la piena compatibilità del patto con il rapporto di lavoro costituito con i lavoratori “protetti”, assunti in base alla legge sulle assunzioni obbligatorie, a condizione pero’ che l’esperimento sia svolto in relazione a mansioni “compatibili” (nei riguardi degli “invalidi” ed assimilati), confacenti cioe’ ad un soggetto “menomato”, ed abbia riguardo alla residua capacita’ e ad una valutazione del suo rendimento rapportato a quello “medio” di un lavoratore valido; e senza tenere conto, infine della (necessariamente) ridotta capacita’ lavorativa dell’”invalido”[14] .

I principi relativi ai soggetti protetti in tema di patto di prova sono estendibili nei confronti dei profughi disoccupati per i quali l’equiparazione agli invalidi civili di guerra è stata sancita dall’art. 13 della L. n. 763 del 1981 “ ai soli fini delle assunzioni” previste dalla L. n. 482/1968 [15]

Secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte, il datore di lavoro, al quale sia avviato un invalido per l’assunzione obbligatoria , non e’ costretto ad adeguare l’assetto produttivo e l’organizzazione aziendale dell’impresa alle particolari esigenze dell’invalido avviato, ma non puo’ neppure opporre una generica incollocabilita’ dell’invalido medesimo in ragione della sua minorazione, dovendo, nel caso, fornire la prova della assoluta concreta impossibilita’ di collocamento in relazione a tutta l’area occupazione e di lavoro dell’azienda, senza riferimento a singoli, determinati settori o reparti di essa[16].

Nel campo delle assunzioni “obbligatorie” pero’ il principio ora enunciato – e’ temperato dall’obbligo di “motivazione” , facente carico in capo al datore di lavoro che “recede”[17] .

Il patto di prova è compatibile con il rapporto di lavoro a part-time (D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61; ML circ. 26 agosto 1986, n. 102).

Al momento dell’assunzione a part-time, è opportuno specificare la durata del periodo di prova, precisando che per “giorno di lavoro effettivo” si intende la giornata lavorativa ridotta rispetto a quella normale, se la prestazione avviene tutti i giorni, ovvero ogni giornata in cui è prevista la prestazione di lavoro, nel caso di lavoro prestato solo per alcuni giorni alla settimana.

Nell’ambito del rapporto dirigenziale, la cui disciplina è ispirata alla libera recedibilità, in virtù dell’autonomia negoziale riconosciuta dagli artt 1321 e 1322 c.c., le parti sono libere, di costituire un patto di prova per il caso di nuova assunzione [18].

2.- Forma, durata , contenuto.

In ordine alla forma, il patto di prova deve risultare da atto scritto ( art. 2096, co. 1), sottoscritto dal lavoratore, con indicazione della durata [19].

È prevalente l’orientamento giurisprudenziale che ritiene la forma scritta come prevista ad substantiam, stante l’esigenza di tutelare l’interesse del lavoratore al carattere definitivo del rapporto, sicchè la mancanza di tale forma comporta la nullità della clausola e la definitiva costituzione del rapporto di lavoro [20].

Nel rapporto di lavoro marittimo non è richiesta, per la stipulazione del patto di prova, la forma scritta [21] sul rilievo che la tutela del contraente debole viene, in tale rapporto, garantita dalle formalità previste dal codice della navigazione per la stipulazione del contratto di arruolamento: atto pubblico, lettura e spiegazione.

Secondo principi uniformi e costanti enunciati in materia dalla giurisprudenza [22] , stante il carattere “non vessatorio” della clausola relativa al patto di prova, non occorre una specifica e separata approvazione della medesima .

La stipulazione scritta del patto di prova deve essere anteriore o, quanto meno, contestuale all’inizio del rapporto di lavoro , derivando dalla mancanza di detta anteriorita’ o contestualita’ la nullita’ dell’assunzione in prova, con conseguente automatica ed immediata assunzione definitiva del lavoratore, non piu’ licenziabile, se non per giusta causa e/o per giustificato motivo, ricorrendone i presupposti di fatto[23].

La sottoscrizione del contratto da entrambe le parti deve avvenire prima dell’inizio della prestazione lavorativa , senza alcuna possibilità di equipollenti o sanatorie, potendosi soltanto ammettere la non contestualità della sottoscrizione di entrambe le parti prima della esecuzione del contratto, ma non anche la documentazione della clausola orale mediante successiva sottoscrizione, atteso che ciò si risolverebbe nella inammissibile convalida di un atto nullo, con sostanziale diminuzione della tutela del lavoratore[24] .

Il patto di prova deve contenere la specifica indicazione delle mansioni in relazione alle quali l’esperimento deve svolgersi [25] , dal momento che il lavoratore deve potersi impegnare secondo un programma ben definito e il datore di lavoro deve esprimere la propria valutazione sull’esito della prova con riferimento a compiti esattamente identificati sin dall’inizio [26] e la cui mancanza, pertanto, determina la conversione dell’assunzione in prova in contratto di lavoro fin dall’inizio definitivo[27].

In caso di assegnazione in via continuativa al lavoratore assunto con patto di prova di mansioni ulteriori rispetto a quelle previste in occasione della stipula di tale patto, il recesso del datore di lavoro motivato con riferimento all’esito negativo della prova non può trovare la sua legittimità in tale patto, qualora per il rilievo quantitativo e qualitativo delle mansioni ulteriori, risulti sostanzialmente mutato l’oggetto complessivo della prestazione lavorativa e, altresì , se le mansioni ulteriori non assurgono a tale rilevanza, qualora risulti la potenziale incidenza delle ulteriori mansioni sul giudizio del datore di lavoro [28].

In tema di assunzioni in prova , il contratto collettivo contiene la previsione generale che, successivamente, potrà trovare applicazione nei vari, personali, contratti di assunzione di volta in volta intercorrenti tra lavoratori e datori di lavoro, pertanto la disciplina dettata dall’art. 2096 deve intendersi riferita al singolo contratto personale di assunzione in prova, non al contratto collettivo. Ne consegue che il requisito della forma scritta non può ritenersi soddisfatto ove non risulti per iscritto il singolo contratto personale di assunzione, essendo del tutto ininfluente a tal fine il fatto che l’assunzione in prova sia prevista dal contratto collettivo di categoria [29].

A tal fine il riferimento al sistema classificatorio della contrattazione collettiva è sufficiente ad integrare il requisito della specificità dell’indicazione delle mansioni del lavoratore in prova solo se rispetto alla scala definitoria di categorie, qualifiche, livelli, profili professionali, il richiamo contenuto nel patto di prova è fatto alla nozione più dettagliata[30].

La prova ha di norma un termine massimo, mentre può essere stabilito tra le parti un termine minimo necessario. In questo ultimo caso, la facoltà di recesso senza preavviso non potrà essere esercitata prima della scadenza del termine ( cfr. art. 2096, 3° comma), avendo le parti convenuto che prima di quella data l’esperimento non può dirsi compiuto e, dunque, non è seriamente valutabile e apprezzabile ( positivamente o meno) [31].

Il termine massimo del periodo di prova è per legge di sei mesi (art. 10 L. 15 luglio 1966, n. 604) ed è improrogabile [32].

La durata della prova,che deve essere ragionevolmente commisurata al tipo di lavoro (per es. per gli apprendisti è di 2 mesi, per gli operai di 1 settimana), deve espressamente risultare dal patto, qualora il termine non sia previsto da contratti collettivi; per ciò che concerne la durata massima, la prova non può superare il periodo fissato dai contratti collettivi nazionali (CCNL).

La pattuizione individuale della proroga del patto di prova, già convenuto nella misura di sei mesi perentoriamente fissata dal cit. art. 10 della L. n. 604/66, è nulla, indipendentemente da ogni indagine volta a stabilire il carattere di maggior favore per il lavoratore, tenuto conto che detta norma imperativa valuta a priori come sfavorevole al lavoratore un esperimento di durata superiore al semestre[33].

La clausola del contratto individuale di lavoro con cui sia previsto un periodo di prova di durata maggiore di quella massima prevista dal contratto collettivo applicabile al rapporto , fermo restando il limite massimo di sei mesi di cui all’art. 10 della L. n. 604/1996, può ritenersi legittima solo nel caso in cui la particolare complessità delle mansioni di cui sia convenuto l’affidamento al lavoratore renda necessario, ai fini di un valido esperimento e nell’interesse di entrambe le parti, un periodo più lungo di quello ritenuto congruo dalle parti collettive per la normalità dei casi; il relativo onere probatorio ricade sul datore di lavoro , a cui la maggiore durata del periodo di prova attribuisce una più ampia facoltà di licenziamento per mancato superamento della prova [34].

La giurisprudenza ha rilevato che se è vero che il rapporto in questo lasso di tempo può teoricamente essere interrotto in qualsiasi momento e senza obbligo di motivazione, è anche vero che la prova deve esserci effettivamente stata. La sperimentazione, cioè, può dare un esito negativo, ma solo dopo che ha avuto un concreto, anche se breve svolgimento.

Con riferimento al patto di prova inserito nel contratto di lavoro, per il quale l’ordinamento – per evidenti ragioni antifrodatorie – prescrive non solo la forma scritta, ma anche la predeterminazione della durata, entro limiti massimi, gli spazi di autonomia negoziale sono limitati, proprio per una valutazione “a priori ” del carattere sfavorevole del rapporto in prova per il lavoratore, ma non sino al punto da non consentire alle parti una predeterminazione della durata “per relationem”, con rinvio esplicito alla disciplina collettiva, del tutto legittima ove esplicantesi entro i limiti inderogabili fissati dalla legge [35].

Per conoscere le modalità esatte del periodo di prova occorre fare riferimento alle precise indicazioni dei contratti collettivi. In ogni caso va rilevato che, di solito, i CCNL parlano di “effettiva attività svolta” [36].

In mancanza di pattuizioni al riguardo, il periodo di prova va determinato tenendo conto dei giorni di riposo settimanale ex art. 2109, co.1, c.c., i quali – a differenza di festività, permessi, malattie e ferie – non possono configurarsi come cause sospensive della prestazione lavorativa ma attengono alle modalità di erogazione della medesima, integrando nella sua continuità dinamica il rapporto di lavoro allo stesso modo delle ore precedenti l’orario di lavoro giornaliero[37].

Con riguardo al periodo di prova fissato dal contratto a mesi, esso va calcolato non già sulla base del totale dei giorni di lavoro, ma in assenza di qualsiasi indicazione proveniente da norme pattizie, con riferimento ai mesi stessi secondo il comune calendario, facendo coincidere il giorno del mese di scadenza con quello del mese iniziale, senza tener conto della durata dei singoli mesi e senza che possano influire sul calcolo i giorni in cui la prestazione lavorativa non è stata offerta perché obbligatoriamente non dovuta [38].

In particolare, il godimento delle ferie annuali, il quale, data la funzione di consentire al lavoratore il recupero delle energie lavorative dopo un periodo cospicuo di attività, non si verifica di norma nel corso del periodo di prova [39].

La corresponsione del trattamento di malattia in pendenza della prova ed il differimento della comunicazione del recesso al rientro della malattia, non configurano violazione delle norme sulla durata della prova, che l’ordinamento sanziona con la stabilizzazione del rapporto ogni volta che la prestazione in periodo di prova si prolunga oltre la data massima prevista, dato che in un contesto siffatto , non vi è né prolungamento, né appropriazione della prestazione, ma solo un’erogazione previdenziale in deroga alle norme sulla prova, vantaggiosa per il lavoratore [40].

Si rileva che durante il periodo di malattia il lavoratore non ha la possibilità di dimostrare le sue capacità, né il datore di lavoro ha la possibilità di accertarle.

Invece il periodo di prova non è prorogabile in caso di carcerazione preventiva del lavoratore [41], dato che in riferimento a tale evento non trova applicazione la norma di cui all’art. 2110 del cc., le cui tassative previsioni sottraggono taluni eventi impeditivi della prestazione di lavoro alla disciplina generale in materia di contratti e di recesso del datore di lavoro.

Ciascuna delle parti, anche in costanza di prova, deve dare esecuzione al contratto secondo correttezza e buona fede, che nel rapporto di lavoro in prova si traducono nel fare o non fare tutto ciò che possa concorrere o impedire il realizzarsi della funzione propria del patto.

In particolare il datore di lavoro dovrà comportarsi secondo buona fede, conservando integre le ragioni dell’altra parte ( art. 1358 c.c.) e non potrà, a fortori, porre in essere comportamenti contraddittori rispetto all’impegno assunto. Altrimenti la condizione dovrà ritenersi avverata ed il rapporto dovrà considerarsi definitivo, nonostante il recesso del datore di lavoro [42]; d’altra parte, ove il comportamento del datore di lavoro non consenta l’esperimento in condizioni e modi adeguati, anche in relazione alle mansioni contrattuali, il lavoratore può legittimamente recedere dal rapporto senza alcuna responsabilità contrattuale nell’esercizio di un diritto che ha la sua fonte nell’art. 1460 cc. [43] .

Le parti del contratto di lavoro subordinato, nella loro autonomia negoziale, senza alcun “vulnus” per principi e norme inderogabili, possono legittimamente convenire che il lavoratore, prima dell’effettiva assunzione, si limiti a svolgere una semplice attività “esplorativa” dell’ambiente di lavoro che sia finalizzata unicamente all’acquisizione delle opportune, reciproche informazioni concernenti l’instaurando rapporto[44] . Tale fattispecie rappresenta dunque un prius rispetto alle problematiche inerenti al patto di prova.

3.-Licenziamento per mancato superamento della prova.

Durante il periodo di prova il datore può recedere dal contratto senza obbligo di preavviso o d’indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine ( art. 2096 cc., co 3) [45] .

La giurisprudenza ha avuto nel suo insieme una funzione di contenimento del potere di recesso del datore di lavoro durante il periodo di prova.

Ne è risultato un regime intermedio che non è più quello codicistico della mera libera recedibilità, ma non è neppure quello del recesso causale (per giusta causa o giustificato motivo).

E’ stata soprattutto la giurisprudenza costituzionale ad incidere significativamente sulla disciplina del recesso in periodo di prova.

Con una pronuncia interpretativa di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale del cit. 3° comma dell’art. 2096 c.c. la Corte [46] , superando un precedente (meno aperto) orientamento [47], ha indicato l’interpretazione adeguatrice [48] , postulando che la discrezionalità del datore di lavoro nel recedere dal rapporto durante il periodo di prova, non è da intendersi assoluta ed insindacabile, bensì «si esplica nella valutazione delle capacità e del comportamento professionale del lavoratore»

La Corte ha quindi tracciato quelle che sono le linee di un possibile sindacato del recesso ad nutum del datore di lavoro.

Il lavoratore può innanzitutto contestare la «legittimità» del licenziamento «quando risulti che non è stata consentita, per inadeguatezza della durata dell’esperimento o per altri motivi, quella verifica del suo comportamento e delle sue qualità professionali alle quali il patto di prova è preordinato», sicché la congruità del periodo di prova, ancorché non prevista dall’art. 2096 c.c., è divenuta presupposto di legittimità del recesso del datore di lavoro [49].

Tuttavia, poichè l’esercizio del potere di recesso deve essere coerente con la causa del contratto, il lavoratore che non dimostri e neppure chieda di dimostrare il positivo superamento dell’esperimento nonché l’imputabilità del recesso ad un motivo estraneo e perciò illecito non può eccepire e dedurre la nullità di tale recesso [50].

E’ dunque onere del lavoratore licenziato in periodo di prova, dedurre [51] :

il motivo illecito del recesso;

il motivo estraneo.

A tal fine egli può offrire :

la prova diretta dell’esistenza del motivo illecito o del motivo estraneo;

la prova indiretta del positivo superamento dell’esperimento, che depone, con la valenza della presunzione semplice, per l’esistenza di un motivo diverso da quello del mancato superamento dell’esperimento stesso.

Ove il lavoratore dimostri che il recesso è avvenuto per un motivo che non è qualificabile come illecito, ma che è estraneo all’esperimento lavorativo, il giudice non può ritenere per ciò solo l’illegittimità, ma deve valutare la giustificatezza, in termini non dissimili dal giustificato motivo oggettivo [52].

Il motivo estraneo non costituisce di per sé motivo illecito , né è equiparabile a quest’ultimo quanto all’idoneità ad inficiare il recesso come affetto da vizio di nullità [53].

E’ però illegittimo il licenziamento disposto in periodo di prova per motivi estranei all’esperimento posto a oggetto del patto in questione e adottato a seguito di uso distorto di tale istituto tale da comportare una violazione delle finalità tipiche dello stesso[54].

Ovviamente diversa è l’ipotesi in cui il licenziamento sia stato intimato per l’asserito esito negativo della prova sull’erroneo presupposto della validità della relativa clausola o in forza dell’errata supposizione della persistenza del periodo di prova venuto invece a scadenza; in tal caso [55] il recesso si configura come un ordinario licenziamento individuale regolato dalla disciplina comune sulla giusta causa e sul giustificato motivo.

La giurisprudenza costituzionale è stata poi portata a conseguenze ulteriori e più avanzate con riferimento a due speciali ipotesi di rapporto di lavoro in prova, in cui si sovrappongono peculiari ragioni di tutela del prestatore: quella dei soggetti, appartenenti a categorie protette, avviati per il collocamento obbligatorio, e quella della donna in gravidanza o puerperio.

Nel primo caso, la Cassazione a Sezioni Unite [56], dopo aver ribadito la compatibilità del patto di prova con le assunzioni obbligatorie, ha statuito che il recesso è soggetto al sindacato del giudice, che deve fermarsi soltanto di fronte alla valutazione fatta dal datore di lavoro sull’attitudine e sulla diligenza dell’invalido nello svolgimento di mansioni compatibili con la sua condizione e dunque nell’ambito della sua effettiva, concreta capacità lavorativa. Per consentire tale sindacato del giudice, il recesso in periodo di prova deve essere motivato”.

A conferma di tale obiter dictum la successiva giurisprudenza sia di legittimità che di merito [57], ha imposto al datore di lavoro l’obbligo di comunicazione dei motivi, contestualmente o successivamente al recesso medesimo, considerando conseguentemente nullo il recesso in assenza di tale requisito formale [58] .

Pertanto si va anche al di là della ordinaria disciplina della tutela reale ed obbligatoria che non prescrive l’obbligo di motivazione del licenziamento se non a seguito di tempestivo interpello del lavoratore (art. 2 l. 604/66, cit) [59] .

Nell’ipotesi di lavoratrici in gravidanza e puerperio la Corte Costituzionale, con sentenza 31-05-1996 172/96, ha dichiarato incostituzionale l’art. 2, 3° comma, l. 30 dicembre 1971 n. 1204, nella parte in cui non prevede l’inapplicabilità del divieto di licenziamento nel caso di recesso per esito negativo della prova [60].

La Corte, pur avendo da una parte eliminato, con dichiarazione di incostituzionalità, l’estensione anche al periodo di prova (come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità) della speciale garanzia del divieto di licenziamento della lavoratrice in gravidanza o in puerperio, ha bilanciato il conseguente deficit di tutela indicando una disciplina adeguatrice.

Se il datore di lavoro, che risolve il rapporto in prova, conosce lo stato di gravidanza della lavoratrice, analogamente a quanto si è ritenuto per il recesso dai rapporti in prova con gli avviati d’obbligo, « deve spiegare motivatamente le ragioni che giustificano il giudizio negativo circa l’esito dell’esperimento, in guisa da consentire alla controparte di individuare i temi della prova contraria e al giudice di svolgere un opportuno sindacato di merito sui reali motivi del recesso, al fine di escludere con ragionevole certezza che esso sia stato determinato dalla condizione di donna incinta».

Se il datore di lavoro ignora lo stato di gravidanza, non è tenuto a motivare il licenziamento perché opera l’«esonero di motivazione, secondo la disciplina generale degli art. 2096 c.c. e 10 l. n. 604 del 1966» (esonero che in realtà riguarda la necessità della giusta causa o del giustificato motivo come presupposti del recesso, piuttosto che la motivazione, non essendo prescritto in generale che il licenziamento debba essere intimato con la contestuale indicazione della motivazione), ma la lavoratrice può provare che il licenziamento è stato determinato «da altri motivi pur sempre estranei alla finalità dell’esperimento».

Per il licenziamento durante il periodo di prova non è richiesto l’atto scritto [61].

La Corte Costituzionale è stata recentemente chiamata ad esaminare la costituzionalità delle norme che prevedono la libertà del datore di lavoro di licenziare senza alcun obbligo della forma scritta [62]. La Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (norme sui licenziamenti individuali), e dell’articolo 2096 del codice civile (patto di prova), sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3, 24, 35 e 38 della Costituzione, dal pretore di Chieti.

L’intervento della Suprema Corte è stato originato da una controversia che può essere così sintetizzata.

Un lavoratore invalido è stato assunto da una società in seguito ad avviamento obbligatorio. Nella lettera di assunzione è stato inserito il patto di prova. Prima della scadenza dello stesso, il lavoratore è stato licenziato con comunicazione verbale. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento davanti al giudice, sostenendo, tra l’altro, l’applicabilità dell’articolo 2 della legge n. 604 del 1966 (per il quale la risoluzione del rapporto di lavoro dev’essere comunicata per iscritto). Il pretore ha rilevato che la legge n. 604 non è applicabile durante il periodo di prova, per un’espressa disposizione contenuta nell’articolo 10 della stessa legge, e che conseguentemente, per costante giurisprudenza della Cassazione, il lavoratore in prova può essere licenziato anche a voce. Anziché rigettare la domanda, il pretore ha però sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 10 della legge 15/7/1966 n. 604 e dell’articolo 2096 codice civile per contrasto con gli articoli 2 (dovere di solidarietà), 3 (principio d’eguaglianza), 24 (diritto di difesa), 35 (tutela del lavoro) e 38 (protezione degli invalidi).

La Corte Costituzionale ha motivato la decisione suddetta affermando che la clausola di prova è propria di un rapporto di lavoro speciale , il cui carattere “si proietta sulla facoltà di recesso alla scadenza del periodo di prova , e tale diversità strutturale giustifica anche la censurata diversità di disciplina della forma dell’atto che pone termine al rapporto stesso”.

Ed ecco allora che “indipendentemente (…) dalle differenti costruzioni dogmatiche che la dottrina civilistica ha elaborato al riguardo, la predetta clausola attribuisce al contratto di lavoro un quid proprium che non è ravvisabile in assenza della medesima”.

Per quanto invece attiene alla censura relativa alla possibile minore tutela di difesa giudiziale del lavoratore licenziato oralmente, la sentenza n. 541/2000 afferma che il lavoratore può comunque provare l’eventuale sussistenza di ragioni del recesso estranee all’esito della prova; eventuali difficoltà probatorie rappresentano un mero problema di fatto che, come tale, non assurge a violazione costituzionale.

La sentenza della Corte Costituzionale conferma di fatto la legittimità del sistema in vigore, ma nello stesso tempo apre al lavoratore licenziato lo spazio necessario per far valere il proprio diritto di difesa (art.24 Cost.) quando il licenziamento stesso non sia strettamente legato all’esito della prova.
In ipotesi di illegittimità del licenziamento disposto durante il periodo di prova, è applicabile l’art. 18 SL [63] il quale , secondo l’insegnamento della corte costituzionale , nell’ambito della disciplina del rapporto di lavoro non è norma speciale od eccezionale, bensì norma dotata di forza espansiva che la rende applicabile anche a casi diversi da quelli contemplati nella stessa disposizione ma ad essi assimilabili per identità di ratio [64].

Inoltre, in ogni caso di risoluzione del rapporto di lavoro è dovuta al lavoratore il pagamento dell’indennità di fine rapporto ( Corte Cost. 22.dicembre 1980 n. 189).

Il lavoratore, infine, anche se licenziato durante il periodo di prova, ha diritto a tutti i trattamenti previsti per i dipendenti della sua categoria: oltre al trattamento di fine rapporto, a ferie, premio di produzione, mensilità aggiuntive.

E’ ovvio che tutti questi compensi saranno però proporzionati alla effettiva lunghezza del periodo di lavoro svolto presso l’azienda.

Sinteticamente, quindi, può dirsi che nel periodo di prova non c’è il mero regime di libera recedibilità dal rapporto essendo comunque consentito entro certi limiti un sindacato sulle ragioni del recesso che diventa più incisivo ove insorgano speciali ragioni di tutela del lavoratore.

Complessivamente, coniugando la giurisprudenza costituzionale e quella di legittimità, risulta un’ibridazione della disciplina del licenziamento individuale in periodo di prova a metà strada tra la libera recedibilità ed il recesso causale per giusta causa o giustificato motivo.

Note:
[1] In dottrina, v. in generale, R. Del Punta, Lavoro in prova, voce dell’Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1990, XVIII; P. A. Varesi-M. Roccella, Le assunzioni – Prova e termine nei rapporti di lavoro, in Commentario diretto da P. Schlesinger, 1990; L. Bonaretti, Il patto di prova nel rapporto di lavoro privato, Milano, 1987; E. Calabrò, Periodo di prova (diritto privato), voce dell’Enciclopedia del diritto, Milano, 1983, XXXIII, 70; G. Martinengo, Contratto di lavoro in prova, in Nuove leggi civ., 1981, 601.

[2] Riva Sanseverino, Il lavoro, p.261 e Salvatore, Del rapporto di lavoro, p.8.

[3] Barassi, Diritto del Lavoro, p.8.

[4] Mazzoni, Manuale, I, p. 792 ss.

[5] Santoro Passarelli, Nozioni, p.150 ss.

[6] Assanti, Il contratto di lavoro, p. 33, ss.

[7] Zangari, Il contratto di lavoro, p. 129 ss.

[8] Cassì, Il contratto di lavoro in prova, Milano, 1950; Assanti Il contratto di lavoro a prova, Milano, 1957; Peretti-Griva, L’assunzione in prova nelle norme del libro del lavoro del nuovo C.Civ ( Riv. Imp. Priv., 1942, 42 e ss); Branca, Sull’applicabilità al periodo di prova delle disposizioni relative al rapporto di lavoro definitivo ( Riv. Dir. Lav., 1956,II, 405 e ss).

[9] Cassì, Il rapporto di lavoro, p.18; Salvatore, o.c., p.5, Mazzoni, o.c..p. 792, ss.

[10] Cass.civ. sez. lav., 24 luglio 1990 n. 7493, Giur. it. 1992, I,1,970 (nota); Cass. civ. sez. lav. 18 febbraio 1995 n. 1741.

[11] Cass. civ. sez. lavoro, 13 giugno 1990 n. 5731, Orient. giur. lav. 1990, 72 e Lavoro e prev. oggi 1991, 1362.

[12] Cass. civ. sez. lav., 23 novembre 1990, n. 11310, in Foro it., 1991, I, 1144; Cass.civ. sez. lav.. 21 settembre 1992, n. 10803, id., Rep. 1993, voce cit., n. 645, e Arch. civ., 1993, 29, con nota di A. Alibrandi; Cass. civ. sez. lav. 19 novembre 1993, n. 11417, id., Rep. 1994, voce Lavoro (rapporto), n. 604; Cass. civ. sez. lav. 21 aprile 1993, n. 4669,Rep. 1993, voce cit., n. 632; Cass. civ. sez. lav. 20.ottobre 1997, n. 10311, in Notiziario giur. Lav. 1997, 738; Pret. Monza 24 gennaio 1990, Lavoro 80, 1990, 347; Pret. Milano 12 febbraio 1990, Lavoro 80, 1990, 265; Pret. Firenze 29 marzo 1990, id., Rep. 1992, voce cit., n. 679; Trib. Milano 16 maggio 1990, Orient. giur. lav., 1990, 125 ; Trib.Milano, 25 gennaio 1991, in Orient. Giur. Lav., 1991, 122;Trib. Milano 23 ottobre 1991, ibid., n. 693; . Pret. Torino 16 aprile 1992, id., Rep. 1993, voce cit., n. 633; ; Trib. Brindisi, 18.4.97 n. 489; Corte App. Bari 10.7.2001 n. 626.

In dottrina, sul tema in particolare, A. Sbrocca, Contratto di formazione e lavoro, patto di prova e giustificato motivo di licenziamento, in Mass. giur. lav., 1994, 192; P. Ferrari, Contratto di formazione e lavoro e licenziamento per mancato superamento del periodo di prova, in Giur. it., 1994, I, 1, 763; A. Alibrandi, Il patto di prova nel contratto di formazione e lavoro, in Arch. civ., 1991, 431; G. Casciaro, La Cassazione reputa ammissibile il patto di prova nel contratto di formazione e lavoro, in Mass. giur. lav., 1990, 564. P.A. Varesi (M. Roccella), Le assunzioni. Prova e termine nei rapporti di lavoro, in Commentario diretto da P. Schlesinger, Giuffrè, Milano, 1990, 33.

[13] Cass.civ. sez. lav., 18 febbraio 1995, n. 1741, cit., in Giust. civ. Mass. 1995, 370 e Mass. giur. lav. 1995, 187 (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata della S.C., aveva ritenuto non privo di causa il patto di prova relativo ad un contratto di lavoro a termine stipulato a distanza di molti mesi dal primo, avendo accertato la sussistenza di esigenze di verifica della permanenza delle qualita’ professionali e comportamentali del lavoratore al momento della stipula del nuovo contratto).

[14] Cass.civ. sez. lav., 20 maggio 1991 n. 5634, Riv. giur. lav. 1991, II,398; Cass. civ. sez lav., 14. ottobre 2000, n. 13726, Giust. Civ. Mass. 2000, 2140.

[15] Cass. civ. sez. lav., 16 agosto 2000, n. 10834, in Giust. Civ. Mass. 2000, 1800.

[16] Cass.civ. sez. lav., 6 febbraio 1990 n. 818; Cass. civ. sez. lav., 21 agosto 1991 n. 9014, Riv. giur. lav. 1992, II,182; Cass. civ. sez. lav. 12 novembre 1993 n. 11165.

[17] Cass. civ. sez. lav. 9 aprile 1998 n. 3689; Cass. civ. sez. lav., 29 maggio 1999, n. 5290 in Riv. It. Dir. Lav. 2000, II, 128 nota ( Monaco).

[18] Cass. civ. sez. lav. 30.ottobre 2000, n. 142999, in Giust. Civ. Mass. 2000, 205 e D&G- Dir. E giust. 2000, f. 43-44, 49.

[19] Salvatore, o.c. p.11 , ed, ivi,richiami.

[20] Cass.civ.sez. lav. 9101/91;T.Bari 11.1.2001, n. 140; Cass. civ. sez. lav. 14 aprile 2001, n. 5591: Posto che la forma scritta necessaria, a norma dell’art. 2096, primo comma, c.c., per il patto di assunzione in prova è richiesta ad substantiam, e che la mancanza di tale requisito comporta la nullità assoluta dell’assunzione in prova e la sua immediata ed automatica conversione in assunzione definitiva, in tale ipotesi trovano applicazione al rapporto di lavoro le norme in materia di licenziamento. Pertanto, ove il datore di lavoro non comunichi al lavoratore licenziato, nel termine di sette giorni, i motivi del licenziamento, lo stesso deve considerarsi inefficace ai sensi dell’art. 2, comma terzo, della legge l5 luglio 1966, n. 604, rimanendo irrilevante la mancata richiesta da parte del lavoratore, nel termine di quindici giorni – termine al quale in mancanza di una espressa previsione legislativa analoga a quella citata, non va riconosciuto carattere perentorio -, dei motivi del provvedimento.

[21] Cass.civ. sez. lav. 15-09-1997 n. 9164 : nella specie la Cassazione ha confermato la sentenza impugnata — che aveva ritenuto la validità del patto di prova in quanto le parti si erano riferite al contratto collettivo che prevedeva un periodo di prova obbligatorio — correggendone la motivazione ed escludendo l’applicabilità dell’art. 2096 c.c. al rapporto di lavoro nautico.

[22] Cfr. Cass.Civ. sez. lav. 22.1.1991 n. 544; Cass. Civ. sez. lav. 21 giugno 1991, n. 6988, in Mass. Giur. Lav., 1991, 519; Cass. Civ. sez. lav. 24.8.1991 n. 9101; Cassazione civile sez. lav., 24 gennaio 1994, n. 681 Giust. civ. Mass. 1994, 73 (s.m.); Cassazione Civ. sez. lav. – 14 aprile 2001, n. 5591 cit.; Cass. civ. sez. lav., 14 ottobre 1999, n. 11597 in Giust. Civ. Mass. 1999, 2118.

[23] Cass. civ. sez. lav., 3 gennaio 1995, n. 25 Giust. civ. Mass. 1995, 3

[24] Cass.civ. sez. lav. 24. agosto 1991 n. 9101; Cass. Civ. sez. lav.24 gennaio 1994 n. 681, cit.; Cass. civ. sez. lav. 24 gennaio 1997 n. 730 ;Cass. Civ. sez. lav. 15 dicembre 1997 n. 12673 .

[25] Cass. civ. sez. lav.11427/1993; Cass. civ.sez.lav. 26 maggio 1995 n. 5811.

[26] Cass.Civ. sezione lav. n. 11417/93 ; Cass. civ. sez. lav. 30 ottobre 2001 n. 13525

[27]Cass.civ. sez lav. 26/5/95 n. 9811, in D&L 1996, 650; Cass.civ. sez. lav. n. 1045/1997; Cass. civ. sez. lav. , 22 marzo 2000, n. 3451 in Giust. Civ. Mass. 2000., 622.

[28] Cass. civ. sez. lav. 6 dicembre 2001 n. 15432.

[29] Cass. civ. sez. lav. 4 fabbraio 1997 n. 1045, cit.; T.Bari 29.6.2000, n. 8555.

[30]Cass. 18/11/00, n. 14950, pres. Sciarelli, in Lavoro giur. 2001, pag. 439, con nota di Girardi, Periodi di prova nel rapporto di lavoro e indicazione specifica delle mansioni; Cass. civ. sez. lav. , 7 marzo 2000, n. 2579, in Giust. Civ. Mass. 2000, 545; D&G- Dir e giust. 2000, f. 11,48; Notiziario giur. Lav. 2000, 433.

[31] L. Montuschi, in voce “ costituzione del rapporto di lavoro”, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, pag. 276 e ss.

[32] Cass. civ. sez. lav. , 20 novembre 1997, n. 11577 in Giust. Civ. Mass. 1997, 2234.

[33] Cass.civ. sez. lav. 3093/1992 ; P. Milano 27/4/96, est. Mascarello, in D&L 1996, 957.

[34] Cass. civ. sez. lav.., 19 giugno 2000, n. 8295 in Gius. Civ. Mass. 2000, 1333.

[35] Cass.civ. sez. lav. 13/10/00, n. 13700, pres. De Musis, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 988.

[36] Secondo P. Milano 20 maggio 1992, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 551, ove il contratto collettivo faccia riferimento alle giornate di effettiva prestazione, devono computarsi ai fini del superamento della durata massima anche le ore straordinarie.

[37] Cass.civ. sez. lav. 1038/90: Secondo il contratto collettivo per i dipendenti degli istituti di vigilanza, ai fini del computo del periodo di prova devono essere considerati solo i giorni di lavoro effettivo, con esclusione dei riposi settimanali. In proposito le clausole del contratto collettivo sono vincolanti e non è dato al giudice di interpretarle diversamente quando il loro contenuto è univoco e coerente con le finalità del contratto stesso ; Cass.civ. sez. lav. , 18 luglio 1998, n. 7087 in Giust. Civ. Mass. 1998, 1555; Cass..civ.sez.lav. 18/07/99 n. 7087; Cass.Civ. sez. lav. 25/8/99, n. 8859, in Riv. It. Dir. Lav.2000, pag. 500, con nota di Martinucci, Durata del periodo di prova e riposi settimanali ; Cass. civ. sez. lav. 8 ottobre 1999, n. 11310, in Giust. Civ. Mass. 1999, 2090;

[38] Cass. civ. sez. lav. 12 settembre 1991 n. 9536, in Arch. Civ., 1992, 157; Cass. 3098/1992; Cass.civ. sez. lav. 12 settembre 1991, n. 9536 cit.; Cass.civ. sez. lav. 13 febbraio 1990, n. 1038 (Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 457 ; Pret. Milano 23 gennaio 1991, id., Rep. 1991, voce cit., n. 674. Sulla retribuibilità delle assenze per malattia nel periodo di prova, v. Cass. 21 giugno 1991, n. 6988, id., Rep. 1991, voce cit., n. 1241; v. anche Pret. Roma 16 aprile 1991, Temi romana, 1991, In dottrina S. P., Sul diritto del lavoratore in prova alla retribuzione durante il periodo di malattia, in Dir. lav., 1991, II, 28 .

[39] Cass.civ. sez. lav., 24 ottobre 1996 n. 9304, in Foro it., Rep. 96, voce Lavoro ( rapporto) n. 516: nella specie, la suprema corte ha annullato per violazione delle norme di ermeneutica contrattuale, alla luce dell’art. 2096 cc., la sentenza impugnata, che aveva escluso, per il lavoratore assunto da una compagnia aerea, la sospensione del periodo di prova, della durata di tre mesi, in relazione al godimento delle ferie, dando rilevanza determinante alla menzione del contratto collettivo solo della malattia e dell’infortunio come come cause di sospensione del periodo di prova, senza considerare invece la volontà delle parti quale risultante dall’esame complessivo del contratto, che prevedeva la concessione delle ferie dopo un anno di servizio.

[40] T. Milano, 28.3.1990, in Orient. Giur. Lav., 1990, 181; Cass. 21 giugno 1991, n. 6988,cit., in Mass. Giur. Lav., 1991, 519; T. Brescia , 13 ottobre 2000, in Lavoro nella giur. ( Il) 2001, 191.

[41] Cass.civ. , sez. lav. 18.novembre 1995, n. 11934 : nella specie, in relazione all’assunzione in prova di un operaio da parte dell’Ente Ferrovie dello Stato, la sospensione per malattia – secondo la sentenza impugnata confermata dalla Suprema Corte- aveva fatto risultare anteriore alla scadenza della prova il recesso intimato dal datore di lavoro, mentre la non prorogabilità a causa della carcerazione preventiva della prevista durata massima del rapporto in prova aveva reso irrilevante che al lavoratore – che comunque non avrebbe potuto riprendere servizio in tempo – non fosse stato accordato il previsto perodo minimo di prestazione effettiva contrattualmente previsto.

[42] L. Montuschi, in voce “ costituzione del rapporto di lavoro”, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, pag. 277 e ss

[43] Cass. civ. sez. lav. 484/1994.

[44] Cass. civ. sez. lav. 5 maggio 1997, n. 3910.

[45] Per tutti, Riva Sanseverino, Della impresa, p. 256, ed ivi, ragguagli di dottrina e giurisprudenza; Cass civ. sez. lav. 25 marzo 1996 n. 2631

[46] Corte cost. n. 189 del 1980, Foro it., 1981, I, 308.

[47] Corte cost. n. 204 del 1976, Foro it., 1976, I, 2064

[48] sull’utilizzo di questo canone esegetico, v., da ultimo, G. Amoroso, L’interpretazione «adeguatrice» nella giurisprudenza costituzionale tra canone ermeneutico e tecnica di sindacato di costituzionalità, in Foro it., 1998, V, 89.

[49] E’ illegittimo il licenziamento in prova, intimato dopo solo un giorno e mezzo di effettivo lavoro e dunque in assenza di una valutazione della capacità professionale, nel caso in cui manchi un comportamento del lavoratore che sia realmente grave e inequivocabilmente nel senso di disinteressarsi a quel rapporto di lavoro (T. Milano 26 ottobre 1999, est. Frattin, in D&L 2000, 154); il potere di recesso del datore di lavoro durante il periodo di prova è illegittimamente esercitato quando il lavoratore, per omessa concreta attribuzione delle mansioni, non sia posto in grado di sostenere la prova (Corte App. Bologna 21 luglio 2000, pres. Castiglione, est. Benassi, in D&L 2000, 1040, n. Scorbatti) .

[50] Cass. civ. sez. lav. 9797/1996 ; Pret.Milano 28/02/92.

[51] Cass.civ. sez. lav. 1762 del 17 febbraio 2000; PRET – P.
Cosenza, 17-12-1990 Riv. it. dir. lav., 1992, II, 225, n. DE SIMONE

[52] Cass.civ. sez. lav. 21 aprile 1993, n. 4669, id., Rep. 1993, voce Lavoro (rapporto), n. 632, cit.; Cass. civ. sez. lav. 17.1.1998 n. 402. in Mass. Giur. Lav., 1998, 205; Cass. sez. lav. 17 febbraio 2000, n. 1762, cit.

[53] Il recesso operato dal datore di lavoro durante il periodo di prova per una ragione diversa dalla valutazione negativa dell’esperimento che costituisce oggetto del relativo patto è nullo per illiceità del motivo determinante (Pret. Milano 23/7/97, est. Porcelli, in D&L 1998, 107); Cass. civ. sez. lav. 17.1.1998 n. 402, cit.

[54] nella fattispecie è stato dichiarato illegittimo il licenziamento in quanto adottato per non meglio precisati motivi tecnici nonostante l’accertato espletamento positivo della prova :Trib. Milano 29 giugno 2000 (ord.), est. Cecconi, in D&L 2000, 957

[55] Cass.civ. sez. lav. 22 marzo 1994, n. 2728, id., Rep. 1994, voce cit., n. 1524 ; Cass.civ. sez. lav. 24 novembre 1997, n. 11735.

[56] Cass. SS.UU. del 1.03.1989, n. 1104 ; Corte cost. n. 255 del 1989, id., Rep. 1989, voce Lavoro (collocamento), n. 106

[57] Il licenziamento del lavoratore avviato obbligatoriamente, per mancato superamento della prova, è soggetto al sindacato giudiziale e pertanto deve essere adeguatamente motivato, ciò al fine di consentire al giudice di controllare che l’esperimento abbia riguardato mansioni compatibili con lo stato di invalidità del lavoratore (Pret. Parma 14/8/95, est. Ferraù, in D&L 1996, 434) ;

Il recesso del datore di lavoro nel periodo di prova con soggetto avviato obbligatoriamente deve essere congruamente e adeguatamente motivato. Deve perciò ritenersi del tutto insufficiente a tale fine il riferimento al “mancato superamento del periodo di prova”, in quanto espressione apodittica e tautologica. La ratio di maggiore tutela degli invalidi impone la specificazione delle ragioni del recesso, che deve essere effettuata al momento del recesso medesimo e non può essere sostituita da indagini di merito nella fase giudiziale (Trib. Pordenone 20/6/96, pres. Appierto, est. Rossi, in D&L 1997, 394)

Il recesso del datore di lavoro dal rapporto di lavoro in prova con un invalido assunto obbligatoriamente deve essere contestualmente e adeguatamente motivato; in mancanza, il patto di prova può ritenersi apposto in frode alla L. 482/68, con la conseguente illegittimità del recesso (Pret. Milano 18/7/95, est. Atanasio, in D&L 1996, 125. In senso conforme, v. Trib. Pordenone 27/9/94, pres. Fontana, est. Missera, in D&L 1995, 341)

[58] Cass. civ., sez. lav., 8.06.1998, n. 5639

[59] Cass. civ., sez. lav., 9.04.1998, n. 3689, cit ; Cass. civ. sez. lav., 14 giugno 2000, n. 8143 in Giust. Civ. mass. 2000, 1303 e Mass. Giur. Lav. 2000, 882 nota ( Figurati).

[60] Cass. civ. sez. lav. 22 aprile 1993, n. 4747: la Corte, disapplicando il d.p.r. 25 novembre 1976 n. 1026, art. 1, ha ritenuto sussistere il divieto di licenziamento in questione, cassando la decisione del tribunale confermativa di quella di primo grado, e rinviando al Tribunale di Varese che ha poi sollevato la questione di costituzionalità: in Foro it., Rep. 1993, voce Lavoro (rapporto), n. 1512, e Riv. it. dir. lav., 1994, II, 196, con nota di M. Cinelli; Mass. giur. lav., 1994, 172, con nota di A. Riccardi, Lavoratrice-madre e licenziamento per esito negativo della prova; e (erroneamente indicata come 9 marzo 1993 n. 9747) Riv. critica dir. lav., 1993, 928, con nota di G. D’Amato. Precedentemente, Cass. 17 aprile 1992, n. 4740, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 1701, aveva affermato che il divieto di licenziamento opera anche durante il periodo di prova, «prima del cui decorso non è configurabile quell’esito negativo della stessa che consente il licenziamento della lavoratrice». In dottrina, cfr. M. Tatarelli, La donna nel rapporto di lavoro, Padova, 1994, 174, note 104 e 105.

[61] Cass. civ. sez.lav., 20.5.1991, n. 5634 , cit., in Riv. Giur. Lav., 1991, II, 398; Cass., sez. lav., 4.6.1992, n. 6810 ; Cass.civ. sez. lav., 18.2.1994, n. 1560.

[62] C. Cost. n. 541 del 4 dicembre 2000.

[63] Corte App. Milano 14 aprile 2000, pres. Mannacio, est. Gargiulo, in D&L 2000, 728, n. Galdenzi ; Trib. Brindisi,18.4.97 n.489 del ; Cass.civ. sez. lav. 26 maggio 1995, n.5811, cit.

[64] PRET – P. Cosenza, 17-12-1990 Riv. it. dir. lav., 1992, II, 225, n. DE SIMONE, cit.

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