Quando, in tema di peculato, si realizza l’appropriazione del denaro riscosso dal notaio a titolo di imposte e non riversato all’erario.
(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 314)
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Indice
1. La questione
La Corte di Appello di Firenze riformava parzialmente una pronuncia emessa nel primo grado di giudizio, dichiarando estinto per prescrizione il reato di falso ideologico continuato del capo a) e riducendo la pena inflitta all’imputato, confermando nel resto la medesima pronuncia con la quale il Tribunale di Arezzo l’aveva condannato in relazione al reato di cui all’art. 314 cod. pen. (capo b).
Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’accusato che, tra i motivi addotti, deduceva: 1) vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale omesso di argomentare le ragioni per le quali il ricorrente si sarebbe appropriato delle somme oggetto di addebito, benché non fosse stata acquisita alcuna prova in ordine all’uso che di quel denaro fatto dal prevenuto; 2) violazione di legge, in relazione all’art. 314 cod. pen., per avere la Corte distrettuale erroneamente applicata la norma incriminatrice contestata, nonostante non risultasse dimostrata una dolosa appropriazione di quelle somme da parte dell’imputato, non potendosi escludere che la condotta omissiva tenuta fosse stata espressione di mera negligenza ovvero di inadempimento temporaneo nel versamento dei relativi importi.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
La Suprema Corte riteneva i motivi summenzionati infondati.
In particolare, gli Ermellini rilevavano a tal proposito come la Corte di Appello di Firenze avesse fatto buon governo dei criteri ermeneutici in materia offerti dal Supremo Collegio in base ai quali è stato chiarito che, nel delitto di peculato, laddove la condotta dell’agente sia consistita nell’omesso versamento di quanto dovuto, l’individuazione del momento in cui l’agente abbia “invertito il titolo di possesso” e si sia dunque appropriato del bene o del denaro può rivelarsi dubbia solo laddove la condotta non si sia estrinsechi in comportamenti attivi, di per sé solitamente espressivi della volontà del reo di agire come se fosse il proprietario del bene o delle somme di denaro, non anche quando si concretizzi nella mera ritenzione delle somme, in un “non fare“, cioè in un’omissione protratta per un certo lasso di tempo (in questo senso Sez. 6, n. 38339 del 29/09/2022; conf.: Sez. 6, n. 5233 del 19/11/2019).
Per il Supremo Consesso, non era, dunque, rilevante – come i giudici di merito avevano posto in risalto nel caso di specie – che il pubblico ufficiale avesse in seguito provveduto a versare quanto in precedenza si era omesso di consegnare, bensì la presenza di dati fattuali di contesto sintomatici della sua volontà di comportarsi “uti dominus” rispetto a quei beni, vale a dire dimostrativi di un atteggiamento “appropriativo“, che costituisce “l’in sé” del delitto in argomento.
La Cassazione, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, ribadiva, anche per questa occasione, il principio di diritto per cui, in tema di peculato, l’appropriazione del denaro, riscosso dal notaio a titolo di imposte e non riversato all’erario, si realizza non già per effetto del mero ritardo nell’adempimento, bensì allorquando si determina la interversione del titolo del possesso, che si realizza allorquando il pubblico agente compia un atto di dominio sulla cosa, con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria (in questo senso: Sez. 6, n. 16786 del 02/02/2021).
3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito quando, in tema di peculato, si realizza l’appropriazione del denaro riscosso dal notaio a titolo di imposte e non riversato all’erario.
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che, in tema di peculato, l’appropriazione del denaro, riscosso dal notaio a titolo di imposte e non riversato all’erario, si realizza non già per effetto del mero ritardo nell’adempimento, bensì allorquando si determina la interversione del titolo del possesso, che si realizza allorquando il pubblico agente compia un atto di dominio sulla cosa, con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria.
Codesto provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare la sussistenza di siffatto delitto, ove si verifichi una situazione di questo genere.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in tale sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su questa tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
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