Pendenza istanza condono edilizio: modifiche all’immobile

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Pendenza un’istanza di condono edilizio, possibili modifiche all’immobile? Per principio generale, in pendenza di un’istanza di condono edilizio è precluso all’istante-interessato apportare all’immobile modifiche travalicanti il limite di quelle non sostanziali, essendo essenziale alla procedibilità della domanda di condono che l’immobile cui la stessa si riferisce permanga inalterato fino al momento della definizione dell’istanza.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Cons. Stato, sez. II, 6 marzo 2023, n. 2320;
Cons. Stato, sez. VI, 21 febbraio 2023, n. 1787;
Cons. Stato, sez. VII, 20 febbraio 2023, n. 1736

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TAR Napoli -sez. IV- sentenza n. 2351 dell’ 8-03-2023

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Indice

1. Il fatto


Il Tar Napoli, adito in materia di abusivismo edilizio, con il suo intervento qui in esame si sofferma (tra l’altro) sulla possibilità, o meno, per l’interessato di apportare modifiche all’immobile per il quale sia pendente una domanda di condono edilizio.


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2. La decisione del Tar Napoli

 
Secondo il principio di diritto affermato in sentenza, e già consolidato in giurisprudenza  (Cons. Stato, sez. II, 6 marzo 2023, n. 2320; Cons. Stato, sez. VI, 21 febbraio 2023, n. 1787; Cons. Stato, sez. VII, 20 febbraio 2023, n. 1736; T.a.r. Campania, Salerno, sez. I, 9 gennaio 2023, n. 29; Cons. Stato, sez. VII, 28 dicembre 2022, n. 11475; Cons. Stato, sez. VI, 1 luglio 2022, n. 5482), quando è pendente una domanda di condono edilizio è inibito al privato-istante apportare modifiche all’immobile che travalicano il limite di quelle cd. <<non sostanziali>>.
In caso contrario, qualora si realizzino, senza nessun avviso e assenso (e quindi senza rispettare le modalità prescritte dal Legislatore sui cui a breve ci soffermeremo), opere che ne mutano la struttura, i volumi, i prospetti viene meno la continuità tra vecchia e nuova costruzione e l’attuale riconoscibilità del manufatto originario oggetto dell’istanza di condono.
Fondamentale, in tale senso, risulta essere  la decisione resa dal Cons. Stato, sez. VI, 25 marzo 2022, n. 2171, secondo cui, in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (pur se riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, della ristrutturazione o della costruzione di opere costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le caratteristiche d’illiceità dell’opera abusiva cui ineriscono strutturalmente, giacché la presentazione della domanda di condono non autorizza l’interessato a completare ad libitum e men che mai a trasformare o ampliare i manufatti oggetto di siffatta richiesta, stante la permanenza dell’illecito fino alla sanatoria.
Da ciò discende l’impossibilità della prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento d’eventuali sanatorie, sono e restano comunque illecite, donde l’obbligo del Comune di ordinarne la demolizione.
Il Legislatore prevede la possibilità di una tale prosecuzione solo nel rispetto delle procedure poste dall’art. 35  L. n. 47/1985, ancora applicabile grazie ai rinvii operati dalla successiva legislazione condonistica (L. n. 724/1994 e D.L. n. 269/2003 conv. con mod. in L. n. 326/2003), che, nel rispetto delle condizioni ivi previste, non esclude la definizione del condono (Cons. Stato, sez. VI, 31 marzo 2023, n. 3334; Cons. Stato, sez. VI, 10 giugno 2021, n. 4473; Cons. Stato, sez. II, 5 dicembre 2019, n. 8314; Cons. Stato, sez.VI, 14 agosto 2015, n. 3943).
Si è così affermato che l’intervento  consistito nella realizzazione di opere modeste, con finalità di adeguamento funzionale alle esigenze di igiene e sicurezza nel lavoro e che non abbia compromesso la continuità tra vecchia e nuova costruzione, possa essere considerato alla stregua di modifica <<ammessa anche in pendenza del procedimento di condono>> (T.a.r. Campania, Salerno, sez. II, 21 marzo 2023, n. 649).
La ratio di tale orientamento risiede, da una parte, nella esigenza di evitare che le opere abusive vengano portate a ulteriore compimento (ciò per la ragione che il condono straordinario ex L. n. 47 del 1985 non si fonda sulla conformità delle opere alla normativa urbanistica vigente, ma costituisce espressione di una eccezionale rinuncia dello Stato a perseguire gli illeciti edilizi, a determinate condizioni; gli immobili condonati, pertanto, non possono costituire la base per successivi ampliamenti o ristrutturazioni), d’altra parte v’è anche la necessità di preservare lo stato originario delle opere oggetto di condono, per consentire all’Amministrazione di accertare la sussistenza delle condizioni di ammissibilità e di concedibilità del beneficio, oltre che di valutare l’effettiva natura e portata dell’intervento da condonare.
Di conseguenza, il richiamato art. 35, comma 14, L. n. 47 del 1985, che consente, dopo la presentazione della domanda di condono, il “completamento” delle opere alla condizione che l’interessato ne dia avviso all’amministrazione e produca una perizia giurata sullo stato dell’immobile, deve considerarsi norma di stretta interpretazione, la cui violazione innesta la presunzione che l’immobile oggetto di condono sia stato trasformato in modo tale da non consentire all’amministrazione di determinare in modo preciso la consistenza delle opere oggetto dell’abuso originario.
Spetta allora all’interessato dimostrare che l’intervento oggetto di condono è ancora riconoscibile ed è del tutto conforme a quello rappresentato nella istanza di condono, essendo tale accertamento assolutamente necessario per la ulteriore procedibilità della domanda di condono e fermo restando che tutto quanto non sia ad essa riconducibile deve essere senz’altro demolito, in quanto non condonabile né sanabile, per definizione (Cons. Stato, sez. VI, 10 marzo 2023, n. 2568).
Altro profilo da sottolineare è che, pendenti le istanze di  condono di cui alle citate speciali discipline (come ricordato dettate nel 1985, nel 1994 e nel 2003), l’interesse a contestare i pregressi provvedimenti repressivi viene meno, in quanto il sopraggiunto provvedimento di diniego del condono medesimo comporta il dovere per il Comune di emettere una nuova ordinanza di demolizione con fissazione di nuovi termini per ottemperarvi (Cons. Stato, sez. IV, 21 ottobre 2013, n. 5090 Cons. Stato, sez. IV, 16 settembre 2011, n. 5228; Cons. Stato, sez. V, 28 luglio 2014, n. 3990; Cons. Stato, sez. V, 23 giugno 2014, n. 3143; T.a.r. Campania, Napoli, sez. III, 2 agosto 2021, n. 5397).
Sotto il profilo processuale, per giurisprudenza costante, la presentazione dell’istanza di condono successivamente all’impugnazione dell’ordinanza di demolizione — o alla notifica del provvedimento di irrogazione delle altre sanzioni per abusi edilizi — produce l’effetto di rendere inefficace tale provvedimento e, quindi, improcedibile l’impugnazione stessa, per sopravvenuta carenza di interesse: e ciò in quanto il riesame dell’abusività dell’opera provocato da detta istanza, sia pure al fine di verificarne l’eventuale sanabilità, comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento, esplicito o implicito (di rigetto o di accoglimento), che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell’impugnativa (T.a.r. Campania Napoli, sez. IV, 15 novembre 2013, n. 5114).
Il fatto che le finestre temporali, pure prorogate, per accedere al condono si siano chiuse rispettivamente il 30 novembre 1985 (per il condono del 1985), il 31 marzo 1995 (per il condono del 1994) e il 10 dicembre 2004 (per il condono del 2003), non ha comunque reso obsoleto l’istituto: sebbene siano trascorsi alcuni decenni dalla presentazione delle istanze, infatti, non sono pochi i Comuni italiani presso i quali tali pratiche sono ancora in attesa di definizione, cosicché tale tipologia di istanza deve essere tenuta presente in sede di analisi delle sanatorie edilizie.
L’art. 35, XVII, L. n. 47/1985 pone la regola del silenzio-assenso serbato sulle istanze di condono (dopo 24 mesi della loro presentazione) che deve essere conciliato con il rilievo che spesso le stesse (istanze) non presentano neppure i requisiti minimi ovvero sono prive del corredo documentale obbligatorio perché il termine possa perfino cominciare a decorrere.
Sul punto il Consiglio di Stato ha sottolineato che la completezza della domanda è da intendersi nel senso del suo corredo documentale obbligatorio, che avuto riguardo alle somme dovute, incide sia sulla decorrenza del termine per la formazione del silenzio assenso, sia ai fini della riconosciuta possibilità alla P.A. di verificare la congruità dei versamenti effettuati (Cons Stato, sez. II, 12 aprile 2021, n. 2952). 

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