Pene e Ordinamento penitenziario – Misura alternative alla detenzione – Espulsione dello straniero dallo Stato – Sanzione alternativa alla detenzione (L.189/2002) – Condizione ostativa all’espulsione prevista dall’art.19, D.lvo 286/1998 – Stato di salute

Ordinanza 21/12/06
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O R D I N A N Z A
 
all’udienza del         21 novembre 2006
 
nel procedimento di sorveglianza relativo a:  
IMPUGNAZIONE AVVERSO ORDINANZA MISURA DI SICUREZZA DEL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA DI VERCELLI DD. 29.06.2006
 
promosso da        L. C.                  
nato a          il   
Detenuto Casa Circondariale di    VERCELLI;
difeso da   Avv.to     come in atti;
Visto     il parere      come da verbale ______________del P.G.;
VISTI  gli  atti  del  procedimento di  sorveglianza  sopra specificato;
CONSIDERATE   le risultanze delle documentazioni acquisite,  delle investigazioni e degli accertamenti svolti, della trattazione  e della discussione di cui a separato processo verbale;
O S S E R V A
 
Con ordinanza dd. 29.06.2006 il Magistrato di Sorveglianza di Vercelli ha dichiarato attuale la pericolosità sociale di L. C. e applicato al medesimo la misura di sicurezza della espulsione.
Con atto in data 20.07.2006 il difensore di L. C. ha proposto impugnazione avverso la citata ordinanza.
Con separato atto è stata proposta, altresì, impugnazione da parte dell’interessato. Riunite le impugnazioni, si è quindi pervenuti all’odierna udienza per la decisione in ordine alla conferma o riforma dell’appellata ordinanza.
L’impugnazione non è fondata.
La difesa, nell’atto di appello, osserva che gli indici di pericolosità presi in considerazione dal giudice di prime cure risultano insufficienti a formulare una diagnosi di attuale e concreta pericolosità sociale tale da sorreggere l’applicazione della misura di sicurezza de qua. In particolare, è puntualizzato che la commissione dei reati da parte dell’interessato è racchiusa in un ristretto ambito temporale (riconosciuto dal GE con l’applicazione del beneficio di cui all’art.671, c.p.p.); che il condannato può contare, all’esterno, di un valido riferimento familiare, rappresentato dalla moglie, sua connazionale; che svolgeva, prima dell’arresto, regolare attività lavorativa in qualità di cuoco.
Tali allegazioni, pur in una valutazione comparativa con i dati di pericolosità emergenti dagli atti, non sono, tuttavia, sufficienti a infirmare la correttezza della valutazione espressa dal magistrato di sorveglianza. Va, infatti, osservato, che la valutazione della pericolosità sociale del detenuto effettuata sulla base dei reati commessi va emergere un’attività delinquenziale concentrata in particolare sull’attività di spaccio di ingente quantità di stupefacente, di tal che è dato ragionevole ritenere che questa fosse l’attività principale utilizzata dal soggetto per trarre i mezzi di sussistenza. Non può non essere considerato che l’attività delittuosa del soggetto è stata interrotta soltanto dall’arresto, di tal che non vi sono elementi di segno contrario per ritenere che il condannato, se riposizionato sul territorio, si asterrebbe dal ricadere nel delitto, anche per reperire le utilità economiche necessarie al mantenimento del nucleo familiare. Peraltro, la condizione di irregolarità, sotto il profilo dei requisiti di permanenza sul t.n., del detenuto, trova evidenza negli atti del procedimento e costituisce circostanza preclusiva, per lo straniero, ad un reinserimento sociale sotto il profilo lavorativo, poiché non potrebbe essere impiegato né reperire attività lavorativa in regola con la normativa laboristica. Lo stesso riferimento familiare (non escluso ma) giudicato non “valido” in prime cure, soggiace al medesimo giudizio in questa sede, trattandosi di legame familiare non ricompreso nella salvaguardia di cui all’art.19, d.lg. n.286/98, né idoneo a garantire dalla recidiva del soggetto, poiché coesistente, sotto il profilo temporale, alla commissione dei gravi delitti per i quali il detenuto ha subito la condanna in espiazione. Deve essere, infine, valutato l’elemento sottoposto a valutazione dalla difesa con la memoria integrativa dd. 14.11.06, dimessa in atti, nella quale è evidenziato che il condannato è padre di due minori di tenera età, uno dei quali affetto da rilevanti problemi nefrologici. La difesa osserva come un’interpretazione “costituzionalmente orientata” del disposto di cui all’art.19. T.U.Str., imporrebbe di considerare applicabile la clausola di salvaguardia ivi prevista alle situazioni – non espressamente contemplate dalla norma in questione – afferenti a profili di sofferenza di valori o beni primari della persona costituzionalmente tutelati, quali, nella fattispecie, il diritto alla salute. E’ osservato, in particolare, che l’eventuale espulsione del condannato priverebbe i minori della possibilità di essere adeguatamente curati, poiché il nucleo familiare verrebbe privato del reddito che il soggetto assicurerebbe, qualora reinserito nel tessuto sociolavorativo del nostro Paese. L’argomento difensivo, per quanto indubbiamente suggestivo, si scontra con obiezioni – ad avviso del Collegio – insuperabili. Va, infatti, considerato che l’interpretazione “costituzionalmente orientata” della disposizione di cui all’art.19, T.U.Str., non pare percorribile laddove si sovrapporrebbe alla valutazione operata dal legislatore nella predisposizione del contenuto precettivo della norma in esame. In altri termini, deve essere riconosciuto che il legislatore, nella confezione dell’art.19, T.U.Str., ha – nell’esercizio dell’insindacabile discrezionalità politica – sussunto alcune soltanto delle fattispecie astrattamente ricomprendibili tra le situazioni tutelabili (tutela dell’unità familiare, difesa dei soggetti sottoposti a persecuzioni politiche, religiose o razziali, etc.) e, tra di esse, ha operato ulteriori limitazioni, come, a es., nel caso della salvaguardia dell’unità familiare, circoscritta ai nuclei familiari composti da almeno un cittadino italiano. Va ancora osservato che l’analisi della disposizione invocata, nei termini sopra detti, ne denota il carattere eccezionale, in quanto derogatoria, in casi specificamente previsti, alla disciplina generale sulle espulsioni. Tale conclusione si frappone alla possibilità di un’interpretazione che arricchisca ope judicis il contenuto dispositivo della norma, nei termini suggeriti dalla difesa.   
A fronte di tale quadro non vi sono, ad avviso del Collegio, elementi positivi sufficienti a controbilanciare gli indici di pericolosità sociale individuati nella parte motiva dell’ordinanza impugnata. In particolare, il Tribunale osserva che la mancata revisione critica del soggetto in rapporto ai gravi delitti commessi, induce a formulare una prognosi negativa in ordine al pericolo di recidiva del condannato una volta rimesso nell’ambiente libero, tenuto anche conto della radicalizzazione della scelta deviante da parte del prevenuto, quale emerge dalla valutazione dei precedenti penali.
Il Collegio ritiene, in altri termini, che la rivisitazione critica in ordine alle scelte di vita devianti costituisce la premessa indispensabile per ritenere che il soggetto in futuro si asterrà dal delinquere e dunque non sarà più socialmente pericoloso. Tale presupposto è tanto più fondamentale quanto più intensa è stata nel passato l’attività delinquenziale del condannato (come nella fattispecie).
In tali condizioni i supporti esterni non possono, ad avviso del Tribunale, svolgere una concreta funzione contenitiva nei confronti del soggetto.
Le circostanze sopra delineate, complessivamente considerate, inducono il Tribunale a ritenere sicuramente acclarato il quadro di pericolosità sociale dell’appellante e pertanto a confermare il giudizio espresso dal giudice di primo grado. 
 
P. Q. M.
R I G E T T A
 
l’appello e conferma l’impugnata ordinanza.
 
Torino, così deciso il   21 novembre 2006
 
IL MAGISTRATO ESTENSORE                                                       IL PRESIDENTE
      (Dr. Fabio FIORENTIN)                                                           (Dr. Marco VIGLINO)
 
 

Ordinanza

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