REPUBBLICA ITALIANA
IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
per il distretto della Corte di Appello di
T O R I N O
Pene e sistema penitenziario – Misure alternative alla detenzione – Liberazione condizionale – Condizioni – Ravvedimento del reo – Parametri di valutazione.
(Trib.Sorv.Torino, 31.1.2006,n. 7351/05RG).
M. S. ha formulato istanza di liberazione condizionale, ma tale domanda non può essere accolta.
Va premesso che la decisione negativa non attiene ai profili di ammissibilità dell’istanza, pur se si tratta di soggetto condannato per taluno dei delitti previsti nel comma 1 dell’art.4 bis dell’ordinamento penitenziario. In tale ipotesi, infatti, il beneficio è concedibile,ai sensi dell’art.2,comma 2,del D.L. 13 maggio 1991 n.152,conv.con modif. in L.22 luglio 1991 n.203, soltanto a condizione che siano stati scontati almeno due terzi della pena inflitta, salvo che i medesimi soggetti,come statuito dal successivo comma 3, rientrino nelle previsioni di cui
all’art.58 ter dell’ordinamento penitenziario,cioè abbiano proficuamente collaborato con la giustizia ovvero -in applicazione dei principi contenuti nella sentenza della Corte costituzionale n.68 del 1995 – versino in situazioni in cui la collaborazione sia divenuta impossibile o irrilevante. In tali ipotesi trova applicazione la regola generale fissata dall’art.176,comma I,cod.pen.,secondo cui la liberazione condizionale è concedibile,ferme le altre condizioni,quando sia stata espiata almeno la metà della pena (Cass.I,n. 6492 dd.19/11/1997,Rv. 209371,CED). E’ questo precisamente il caso del M., il quale ha ottenuto il riconoscimento dello status di collaboratore di giustizia con ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Perugia in data 08.07.1993.
Motivati elementi di perplessità emergono tuttavia con riferimento al merito dell’istanza, precisamente sotto il profilo dell’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato e su quello del ravvedimento del soggetto.
Sotto il primo aspetto, è noto che il risarcimento del danno previsto dall’ultimo comma dell’articolo 176 cod. pen. non può essere considerato come un elemento a sè, ma deve, nel quadro delle dimostrazioni di ravvedimento che il condannato deve fornire, essere valutato come atto comprovante, con il pentimento e la riprovazione per il delitto commesso, la fattiva volontà del reo di eliminarne o attenuarne, le conseguenze dannose: deve, cioè, essere considerato non tanto nella sua funzione oggettiva di reintegrazione patrimoniale, quanto sotto il profilo soggettivo, come concreta manifestazione del sincero proposito di fare tutto il possibile per sanare le conseguenze del delitto. Ne consegue che da una parte deve riconoscersi che la "impossibilità di adempiere" le obbligazioni civili nascenti dal reato (come causa della condizione di cui trattasi) non può identificarsi con la mancanza assoluta di ogni risorsa economica, d’altra parte va accertato se il condannato abbia dimostrato un effettivo interessamento e abbia fatto quanto in suo potere per eliminare le conseguenze materiali del delitto da lui commesso (Cass.I,
n. 5132 dd.11/12/1992,Rv.
195932,CED). Anche in caso di impossibilità materiale da parte del condannato di adempiere le obbligazioni civili nascenti dal reato, ai fini della concessione del beneficio assumono particolare rilievo, sotto il profilo soggettivo, le manifestazioni di effettivo interessamento dello stesso per la situazione morale e materiale delle persone offese dal reato e i tentativi fatti, nei limiti delle sue possibilità, di attenuare, se non riparare interamente i danni provocati (Cass.I, n. 7248 dd. 20/12/1999,Rv. 215239,CED). Nella fattispecie, risulta che il condannato non si trova in condizioni economiche tali da poter provvedere al risarcimento delle vittime dei suoi reati sotto il profilo del ristoro economico del pregiudizio arrecato.
In tali casi, peraltro, è necessario valutare se il fatto che risulti dimostrata la obiettiva impossibilità di adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, secondo quanto previsto dall’ultimo comma dell’art. 176 cod. pen., sia o no sufficiente a sterilizzare ai fini del giudizio sulla concessione della misura richiesta, l’effetto negativo del mancato assolvimento di una delle condizioni previste ex lege per la concessione della misura. In proposito, il Collegio ritiene che lo stato di indigenza non escluda che la manifestazione o meno di interesse per la vittima e di intendimenti di riparazione, se non sul piano materiale, quanto meno su quello morale, possano essere legittimamente valutati dal giudice ai fini del giudizio in ordine alla sussistenza o meno del requisito del ravvedimento(Cass.I, n. 1635 dd.13/04/1992, Rv. 190107,CED). Nel caso di specie, non risulta che il condannato abbia mai posto in essere condotte lato sensu riparative del danno derivante dagli illeciti commessi, neppure sotto il profilo della manifestazione di solidarietà umana, in particolare nei confronti dei parenti delle vittime degli omicidi da lui commessi. Sotto tale profilo, l’istanza appare dunque carente di presupposto, soprattutto tenuto conto della particolare gravità dei reati commessi, che fa ritenere doverosa un’attenta e rigorosa valutazione, da parte del Tribunale, della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per la concessione dell’ampia misura richiesta.
Va a questo punto affrontato il profilo, affermato dalla Suprema Corte, secondo il quale, nella valutazione del requisito del ravvedimento di cui al comma primo dell’art. 176 cod.pen., il comportamento del condannato nei confronti delle vittime non rappresenta una condizione alternativa a quella dell’adempimento delle obbligazioni civili di cui al comma quarto del medesimo articolo. Ne consegue che l’interessamento nei confronti delle vittime può assumere rilevanza quale sintomo della sussistenza di un ravvedimento, ma la mancanza di tale atteggiamento non lo esclude; infatti il ravvedimento può essere desunto dall’insieme di atteggiamenti esteriorizzati, che risultino idonei a formulare una seria prognosi di conformazione del condannato al quadro di riferimento ordinamentale(Cass.I,
n. 25982, dd.18/05/2005,Rv.
232001,CED). Occorre, in altri termini, verificare se la condotta complessiva del reo sia stata tale da giustificare un giudizio di sicuro ravvedimento del soggetto, pur in assenza di comportamenti riconducibili alla volontà di adempiere le obbligazioni ex delicto, nei termini sopra detti.
A tale proposito, va premesso che l’accertamento del sicuro ravvedimento di cui all’art. 176 cod. pen., che costituisce il fondamento giuridico dell’istituto della liberazione condizionale, postula un’ampia e penetrante valutazione della personalità del soggetto, che tenga conto, oltre che della condotta carceraria, anche del comportamento tenuto dallo stesso nelle varie manifestazioni della sua vita, nonché della volontà di reinserimento nella società, dedotta dall’interesse dimostrato per i valori etici e sociali, dalle prove di altruismo e di solidarietà, dall’interesse dimostrato per le vittime dei reati commessi e dal fattivo intendimento di riparare le conseguenze dannose dei medesimi(Cass.I,n. 1503, dd. 07/04/1993,Rv.194403,CED). In altri termini, occorre raggiungere una soglia di valutazione positiva tale da escludere la pericolosità sociale del condannato (Cass.I,n. 196dd.10/12/2004,Rv. 230543,CED; Cass.I, n. 2222 dd.13/05/1991,Rv.188096,CED), in termini non già di mera probabilità bensì di certezza (Cass.I, n. 343 dd.28/01/1991,Rv. 186673,CED).
Entro tale cornice è oggetto di valutazione anzitutto la gravità dei reati posti in essere dal soggetto, apprezzamento che costituisce il dato iniziale della valutazione che deve avere riguardo al comportamento tenuto dal condannato durante il tempo dell’esecuzione della pena (Cass.I, n. 23639 dd
. 28/04/2005, Rv.
231804,CED). Il M. S. è in espiazione della pena di cui a provvedimento di cumulo PM Catania dd. 14.4.2003 n.77/03 integrato da analogo provvedimento emesso in data 15.4.2004, consistente in anni 18, mesi 8 giorni 4 di reclusione per gravi reati tra i quali alcuni omicidi “eccellenti” (quelli dei boss Francesco Turatelo, Zanillo Francesco e Oliveti Claudio) commessi mentre si trovava già ristretto in carcere. La condotta intramuraria, dopo alcuni anni segnati da inottemperanze e provvedimenti disciplinari, è andata progressivamente uniformandosi alle regole interne. Nel 1999 il detenuto è stato ammesso all’esperienza dei permessi premio, successivamente al lavoro all’esterno ai sensi dell’art.21 O.P. e quindi, nel 2002, è stato scarcerato ai sensi dell’art.684 c.p.p. per gravi ragioni di salute, che gli sono valse la concessione della detenzione domiciliare in luogo del differimento della pena (ordinanza Trib.Sorv.Torino 20.5.03), misura prorogata fino alla concessione in via definitiva della detenzione domiciliare ai sensi dell’art.47ter co.1 lett.c) O.P. (ord.Trib.Sorv.Torino 6.4.04).Le informative delle forze dell’ordine acquisite agli atti confermano che il soggetto si conforma alle prescrizioni e mantiene una condotta regolare.
Il Tribunale ritiene che la gravità dei reati commessi, perdipiù nel corso dell’esecuzione della pena e il dato dell’assenza di adempimento delle obbligazioni civili ex delicto, nel senso sopra precisato, portano, in una ponderata valutazione comparativa con le prove di ravvedimento portate dal condannato con la sua adesione al trattamento e con la regolare gestione dei benefici penitenziari via via accordatigli, a considerare non acquisita la prova certa del ravvedimento. Il Collegio ritiene opportuna un’ulteriore verifica della condotta del M. S. nel corso dell’esecuzione penale residua, che peraltro coprirà un tempo significativo (il fine pena è attualmente fissato al 2010), al fine di acquisire elementi che corroborino i dati già acquisiti, che potranno concorrere a formare un quadro definitivamente certo sull’intervenuto ravvedimento del condannato.
L’istanza non può pertanto, allo stato, essere accolta.
(…)
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