Ai fini dell’ammissibilità della domanda risarcitoria conseguente all’annullamento di un provvedimento amministrativo illegittimo, non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento medesimo da parte del giudice amministrativo all’uopo adito ma deve sussistere – e conseguentemente essere valutato – l’elemento psicologico soggettivo corrispondente almeno alla colpa della p.a., atteso che la responsabilità patrimoniale della p.a. conseguente al detto annullamento deve essere inserita nel sistema delineato dall’art. 2043 c.c. in tema di responsabilità extracontrattuale_ Indipendentemente dalla effettiva sussistenza di altri due (necessari) elementi, il danno subito e il relativo nesso di causalità., n effetti, in assenza del requisito soggettivo della colpa la domanda non potrebbe trovare accoglimento per cui è corretto soffermarsi unicamente sulla verifica della sussistenza di tale elemento.
merita di essere segnalato il seguente passaggio tratto dalla sentenza numero 303 del 26 febbraio 2008 emessa dal Tar Piemonte, Torino
<In sostanza, proprio per la riconducibilità della fattispecie nello schema della responsabilità aquiliana, l’imputazione alla p.a. non è mera e automatica conseguenza del dato oggettivo corrispondente all’illegittimità del provvedimento amministrativo ma richiede anche l’accertamento in concreto del requisito almeno della colpa, da ravvisarsi nella adozione dell’annullato provvedimento in evidente violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, quali regole che si pongono come limite “esterno” alla discrezionalità amministrativa.
Sulla base di tali premesse, poi, può concludersi che in virtù di un precedente annullamento giurisdizionale, la conseguente domanda di risarcimento vede gravare sul (ritenuto) danneggiato l’onere di provare tutti gli elementi costitutivi dell’illecito, quali il danno, la condotta colposa – come sopra intesa – e il nesso di causalità mentre spetta all’amministrazione che ha adottato il provvedimento illegittimo produrre a sua discolpa elementi idonei a dimostrare la sussistenza di un errore scusabile nell’adozione del provvedimento in questione>
Nella particolare fattispecie sottoposta ai giudici piemontesi inoltre:
< I ricorrenti, consci evidentemente, per quanto sopra ricordato, della spettanza all’amministrazione dell’onere di dimostrazione della sussistenza di un errore scusabile idoneo a rilevare l’insussistenza dell’elemento della colpa, si limitano ad evidenziare, in relazione alle conclusioni delle sentenze sopra richiamate, che l’amministrazione aveva dato luogo ad una violazione evidente della legge di gara, che non lasciava alcun margine di discrezionalità nella sua interpretazione, concretando così una condotta negligente e la conseguente violazione dei principi di buona fede, imparzialità e correttezza, cui essa era tenuta, nell’affidare al raggruppamento dichiarato vincitore e non a quello cui loro appartenevano l’incarico in questione.
L’amministrazione comunale, dal canto suo, si premura di dimostrare approfonditamente che tale elemento soggettivo è assente, in virtù della complessa ricostruzione delle motivazioni alla base delle diverse pronunce in sede giudiziaria che si sono succedute e che giustificavano l’individuazione di un errore scusabile.
Tale ricostruzione al Collegio appare condivisibile.>
Anche perché:
< Ne consegue, ad opinione del Collegio, che nel caso di specie possa pervenirsi alla conclusione secondo la quale è invocabile un errore scusabile – come in effetti invocato dal Comune di Torino – in presenza di una formulazione incerta delle norme applicate che da luogo ad un quadro normativo confuso e privo di chiarezza immediata>
In conclusione quindi:
<Alla luce di quanto illustrato, quindi, la domanda di risarcimento non può trovare accoglimento per carenza del requisito soggettivo della colpa dell’amministrazione e, di conseguenza non possono essere esaminate neanche le ulteriori argomentazioni dei ricorrenti, integrate anche nella memoria depositata per l’udienza di merito, in ordine al “quantum” della pretesa risarcitoria e alla necessità di nomina di un Consulente Tecnico d’Ufficio>
A cura di *************
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 200 del 2006, proposto da:
Prof. Arch. ************, in proprio e anche quale capogruppo del Gruppo di Progettazione individuato nonché nella qualità di Amministratore unico e legale rappresentante pro tempore della società ******
contro
il Comune di Torino, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti ****************** e ***************** ed elettivamente domiciliato in Torino, Palazzo di Città, p.zza Palazzo di Città, 1, presso le medesime;
per il risarcimento del danno ingiusto
derivante dall’illegittimo affidamento dell’incarico di progettazione del restauro ed adeguamento funzionale delle Officine Grandi Riparazioni a sede espositiva, museale ed ******************* in favore del R.T. BETA. srl.
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visti l’atto di costituzione del Comune di Torino e la relativa documentazione;
Viste le memorie difensive depositate dalle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 16 gennaio 2008 il Primo Referendario ************ e uditi per le parti i difensori come specificato nel relativo verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
In seguito all’indizione da parte del Comune di Torino di un’asta pubblica per l’affidamento di un incarico professionale per la progettazione relativa al restauro e al recupero funzionale dell’************ e del Complesso Edilizio delle Officine Grandi Riparazioni (******), era espletata la relativa procedura di selezione, all’esito della quale era dichiarato aggiudicatario il raggruppamento temporaneo ATI BETA. s.r.l./Cingolani ed altri e collocato in seconda posizione l’ATI PCAint ALFA Associati e altri.
Avverso il provvedimento di aggiudicazione provvisoria proponeva ricorso e motivi aggiunti avanti a questo Tribunale la capogruppo mandataria dell’ATI seconda classificata, chiedendone l’annullamento previa sospensione dell’esecuzione nonché proponendo domanda di accertamento del diritto ad ottenere l’aggiudicazione dell’incarico.
Con ordinanza n. 1072/02, in riferimento al ricorso introduttivo, e con ordinanza n. 37/03, in riferimento ai motivi aggiunti, questa Sezione rigettava la domanda cautelare e ad analoga conclusione perveniva anche il Consiglio di Stato in sede di appello. La suddetta mandataria chiedeva anche, con successivi motivi aggiunti, l’annullamento, previa sospensione, dell’aggiudicazione definitiva e questa Sezione nuovamente, con ordinanza n. 373/03, rigettava la relativa domanda cautelare, con statuizione confermata anche in appello dal Consiglio di Stato.
Giunto il contenzioso alla fase di merito, questa Sezione, con sentenza 26.4.2004, n. 681, accoglieva il ricorso nella sua parte impugnatoria, annullando i provvedimenti impugnati, e dichiarava inammissibile la domanda di accertamento del diritto ad ottenere l’aggiudicazione, in quanto estranea al vaglio del giudice di legittimità.
Avverso tale sentenza proponevano appello tanto il Comune di Torino, chiedendo anche la sospensione cautelare dell’esecutività della sentenza impugnata, quanto il raggruppamento controinteressato.
La Sezione Quinta del Consiglio di Stato, con due distinte ordinanze, accoglieva la domanda di sospensione della sentenza impugnata ma successivamente, nella fase di merito, previa riunione dei due appelli, rigettava il ricorso in appello del Comune di Torino e dichiarava inammissibile il ricorso in appello proposto dal raggruppamento originario aggiudicatario.
Tale sentenza era oggetto di domanda di revocazione da parte di quest’ultimo soggetto con ricorso del 14.6.2005 ma tale ricorso era dichiarato inammissibile dal medesimo Consiglio di Stato con sentenza 29.5.2006, n. 3242.
Sulla base di tali presupposti, proponevano ricorso a questo Tribunale il prof.arch. ************, asseritamente in proprio e quale legale rappresentante della PCAint ALFA Associati s.r.l., capogruppo mandataria del Gruppo di Progettazione individuato, la CSM Ingegneri Associati Calligaro e ******* e l’***** *************, chiedendo il risarcimento del danno derivante loro dall’illegittimo affidamento dell’incarico di progettazione al raggruppamento controinteressato, secondo il contenuto della su ricordata sentenza di primo grado, confermata dal Consiglio di Stato.
Nello specifico, i ricorrenti lamentavano l’illegittimità dell’affidamento all’originario aggiudicatario ma evidenziavano anche che dopo la sentenza di primo grado l’Amministrazione comunale aveva comunque disposto l’affidamento dell’incarico di progettazione in questione, senza attendere l’esito del giudizio di appello, nonché anche quello di direzione dei lavori.
Sostenevano i ricorrenti che se l’amministrazione avesse applicato correttamente la legge di gara avrebbe dovuto escludere l’originario aggiudicatario, con conseguente aggiudicazione della procedura al raggruppamento secondo classificato ed attuale lesione della relativa posizione di interesse legittimo di quest’ultimo, risarcibile alla stregua di quanto evidenziato dalla Corte di Cassazione con la nota sentenza n. 500/1999.
Nel caso di specie erano ritenuti sussistenti tutti i presupposti necessari per pervenire ad una sentenza di condanna, tra cui la condotta colposa dell’amministrazione comunale, data dalla contrarietà ai principi di legalità, di buona amministrazione e ragionevolezza, consistita nella violazione di leggi e regolamenti applicabili al caso di specie – come statuito dai giudici del Tar e del Consiglio di Stato – nonché nel violare anche il “decisum” di cui alla sentenza di questo Tribunale, perseverando nell’aggiudicare la progettazione al raggruppamento controinteressato ed anche la conseguente direzione dei lavori.
Per il “quantum”, i ricorrenti ritenevano applicabile la giurisprudenza che individuava la risarcibilità tanto del danno emergente quanto del lucro cessante, quantificando il primo in euro 747.880,72 e il secondo in euro 64.104, 06, per un totale di 811.984,78, cui aggiungere sia rivalutazione monetaria che interessi legali dalla data di stipulazione del contratto con l’(illegittima) aggiudicataria fino al soddisfo.
I ricorrenti, comunque, avanzavano richiesta di C.T.U. contabile al fine di una esatta quantificazione dell’invocato danno.
Si costituiva in giudizio il Comune di Torino, rilevando l’inammissibilità e/o l’infondatezza del ricorso.
Con memoria depositata in prossimità dell’udienza di merito il Comune resistente illustrava le sue tesi difensive. In primo luogo eccepiva il difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, in quanto il ricorso non era stato proposto anche dagli altri partecipanti al raggruppamento temporaneo secondo classificato, RPA s.p.a. e MED.I.F. s.r.l., e in assenza, quindi, di litisconsorzio necessario, tenuto conto che il vantaggio patrimoniale invocato non poteva che essere riconosciuto all’insieme dei soggetti partecipanti al raggruppamento, peraltro mai costituito, e non solo ad alcuni di essi.
In secondo luogo, ricostruendo con attenzione la vicenda processuale ed evidenziando la non univocità delle conclusioni dei giudici nella fase cautelare e in quella di merito, il Comune di Torino rilevava anche l’infondatezza del ricorso per mancanza di colpa dell’amministrazione comunale.
In subordine, in riferimento al danno risarcibile, il Comune resistente rilevava la carenza di prova da parte dei ricorrenti sulle voci di danno richieste e, comunque, prospettava una riduzione equitativa dello stesso, anche inferiore all’ordinario criterio di liquidazione (10% dell’importo ex art. 345 l.n. 2248/1865), opponendosi comunque alla richiesta di CTU contabile avanzata dai ricorrenti.
Anche questi ultimi depositavano una memoria in prossimità dell’udienza di merito, insistendo nella richiesta di risarcimento, integrando i criteri di calcolo proposti ed evidenziando come importo di riferimento per la quantificazione richiesta non meno di euro 3.260.000, considerando anche l’importo della direzione dei lavori, pure successivamente affidata al raggruppamento controinteressato.
All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio ritiene di prescindere dall’esaminare l’eccezione di difetto di legittimazione attiva in assenza di litisconsorzio necessario sollevata dal Comune resistente, in considerazione dell’infondatezza del ricorso, come illustrata in prosieguo.
Passando all’esame del merito, il Collegio rileva che la domanda risarcitoria proposta dai ricorrenti si fonda sulle conclusioni del giudizio impugnatorio avanti a questo Tribunale, confermato nella sostanza dal Consiglio di Stato, che aveva dato luogo all’annullamento del provvedimento di aggiudicazione in favore del raggruppamento di imprese controinteressato, e conseguente lesione del bene della vita corrispondente all’aspirazione all’aggiudicazione da parte del raggruppamento di cui facevano parte alcuni ricorrenti, collocatosi secondo in graduatoria.
Sul punto, come affermato dalla giurisprudenza pressoché unanimemente, con motivazioni per le quali non si rinvengono elementi per dissentire, ai fini dell’ammissibilità della domanda risarcitoria conseguente all’annullamento di un provvedimento amministrativo illegittimo, non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento medesimo da parte del giudice amministrativo all’uopo adito ma deve sussistere – e conseguentemente essere valutato – l’elemento psicologico soggettivo corrispondente almeno alla colpa della p.a., atteso che la responsabilità patrimoniale della p.a. conseguente al detto annullamento deve essere inserita nel sistema delineato dall’art. 2043 c.c. in tema di responsabilità extracontrattuale (tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 11.10.06, n. 659 e TAR Sicilia-Pa, sez.II, 6.9.07, n. 1985).
In sostanza, proprio per la riconducibilità della fattispecie nello schema della responsabilità aquiliana, l’imputazione alla p.a. non è mera e automatica conseguenza del dato oggettivo corrispondente all’illegittimità del provvedimento amministrativo ma richiede anche l’accertamento in concreto del requisito almeno della colpa, da ravvisarsi nella adozione dell’annullato provvedimento in evidente violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, quali regole che si pongono come limite “esterno” alla discrezionalità amministrativa (TAR Lazio, sez. II bis, 10.10.07, n. 9934).
Sulla base di tali premesse, poi, può concludersi che in virtù di un precedente annullamento giurisdizionale, la conseguente domanda di risarcimento vede gravare sul (ritenuto) danneggiato l’onere di provare tutti gli elementi costitutivi dell’illecito, quali il danno, la condotta colposa – come sopra intesa – e il nesso di causalità mentre spetta all’amministrazione che ha adottato il provvedimento illegittimo produrre a sua discolpa elementi idonei a dimostrare la sussistenza di un errore scusabile nell’adozione del provvedimento in questione (Cons. Stato, Sez. VI, 9.11.06, n. 6607).
Tali elementi possono essere individuati, senza pretesa di esaustività e da considerarsi comunque sempre in relazione al caso concreto, nella grave e reiterata violazione commessa, nella sussistenza di precedenti giurisprudenziali contrastanti, nella difficoltà e non univocità dell’ interpretazione del testo normativo di riferimento (C.G.R.S., 4.9.07, n. 717).
Tali principi, applicati alla fattispecie in esame, non sono sfuggiti alle parti che incentrano sulla sussistenza dell’elemento della colpa le proprie argomentazioni, dando per sussistente, evidentemente, il danno subito e il relativo nesso di causalità.
Indipendentemente dalla effettiva sussistenza di tali altri due (necessari) elementi, in effetti, in assenza del requisito soggettivo della colpa la domanda non potrebbe trovare accoglimento per cui è corretto soffermarsi unicamente sulla verifica della sussistenza di tale elemento.
I ricorrenti, consci evidentemente, per quanto sopra ricordato, della spettanza all’amministrazione dell’onere di dimostrazione della sussistenza di un errore scusabile idoneo a rilevare l’insussistenza dell’elemento della colpa, si limitano ad evidenziare, in relazione alle conclusioni delle sentenze sopra richiamate, che l’amministrazione aveva dato luogo ad una violazione evidente della legge di gara, che non lasciava alcun margine di discrezionalità nella sua interpretazione, concretando così una condotta negligente e la conseguente violazione dei principi di buona fede, imparzialità e correttezza, cui essa era tenuta, nell’affidare al raggruppamento dichiarato vincitore e non a quello cui loro appartenevano l’incarico in questione.
L’amministrazione comunale, dal canto suo, si premura di dimostrare approfonditamente che tale elemento soggettivo è assente, in virtù della complessa ricostruzione delle motivazioni alla base delle diverse pronunce in sede giudiziaria che si sono succedute e che giustificavano l’individuazione di un errore scusabile.
Tale ricostruzione al Collegio appare condivisibile.
Appare necessario, quindi, richiamare i passaggi logici che sono stati posti alla base della decisione di annullamento dei provvedimenti di aggiudicazione impugnati.
La sentenza di primo grado, ribaltando l’esito della fase cautelare sempre favorevole all’amministrazione resistente, accoglieva la domanda di annullamento sulla base dell’interpretazione del punto 8.4, lett. m), del disciplinare di gara. Tale disposizione, infatti, prevedeva a pena di esclusione che dovesse essere allegata alla documentazione di gara “per le società per azioni ed a responsabilità limitata, ai sensi del D.P.C.M. 11.05.1991 n. 187, dichiarazione della propria composizione societaria, dell’esistenza dei diritti di godimento o di garanzia sulle azioni con diritto di voto sulla base delle risultanze del libro dei soci e delle comunicazioni ricevute; delle persone munite di procura irrevocabile che abbiano esercitato il voto nelle assemblee societarie nell’ultimo anno e che ne abbiano comunque diritto”.
Tale disposizione, a sua volta, era meramente ripetitiva di quanto previsto dall’articolo 1 del d.p.c.m. ivi richiamato, concernente il regolamento per il controllo delle composizioni azionarie dei soggetti aggiudicatari di opere pubbliche e per il divieto delle intestazioni fiduciarie, previsto dall’art. 17, comma 3, della legge 19.3.1990, n. 55 sulla prevenzione della delinquenza di tipo mafioso, che a sua volta prevedeva che “Le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, le società cooperative per azioni o a responsabilità limitata, le società consortili per azioni o a responsabilità limitata aggiudicatarie di opere pubbliche, ivi comprese le concessionarie e le subappaltatrici, devono comunicare all’amministrazione…la propria composizione societaria, l’esistenza di diritti reali di godimento o di garanzia sulle azioni ‘con diritto di voto’ sulla base delle risultanze del libro dei soci…”.
Nella specie, due componenti del raggruppamento poi aggiudicatario, la Beta s.r.l. e la Steam s.r.l., non presentavano la dichiarazione circa l’esistenza di diritti di garanzia o di godimento sulle azioni con diritto di voto e le parti intimate e costituite in quel giudizio rappresentavano che non erano tenute a presentarla in quanto in esse la partecipazione sociale era costituita da quote, laddove nel disciplinare- e nel d.p.c.m. in esso richiamato – erano menzionati unicamente diritti di garanzia e godimento con riferimento ad azioni.
Questa Sezione, però, nella motivazione della sentenza sopra richiamata, evidenziava che il disciplinare faceva indifferentemente richiamo alle società per azioni e alle società a responsabilità limitata, intendo con ciò estendere a tutte le compagini sociali tale obbligo, sulla base della “ratio” della norma “…finalizzata alla prevenzione della delinquenza di tipo mafioso (che) impone di interpretarne il dettato nel senso che per le società in cui il capitale non è rappresentato d azioni (le s.r.l. in particolare), l’espressione ‘azioni con diritto di voto’ deve intendersi riferita alle quote aventi pari diritto”.
La sentenza, poi, proseguiva nella motivazione richiamando la disciplina del pegno, di cui all’art. 2352 c.c., e dell’usufrutto su quote che non escludevano la possibilità di esercizio del diritto di voto nelle assemblee.
A tale statuizione – legata, come evidenziato, a particolare sviluppo interpretativo della legge di gara – si contrapponeva in un primo momento l’ordinanza del Consiglio di Stato, nello specifico l’ordinanza n. 3865/04, che sospendeva l’esecuzione della sentenza in questione su ricorso del Comune di Torino, precisando che “…in presenza di una normativa di gara recante previsioni oscure o suscettibili di diverse letture, debba sempre preferirsi l’opzione esegetica più aderente al testo della specifica disposizione della lex specialis, non potendosi pretendere che il concorrente si impegni nel ricostruire esattamente, previo compimento di complesse indagini ermeneutiche, gli ulteriori ed inespressi significati giuridici”.
Lo stesso giudice del grado di appello, pur riconoscendo “…l’astratta correttezza degli approdi interpretativi ai quali è pervenuto il primo giudice”, anche in relazione a giurisprudenza della Corte di Cassazione, evidenziava che era di “solare evidenza” che siffatte conclusioni “…non siano immediatamente evincibili dal tenore letterale dell’art. 1, 1° co. del d.p.c.m. 11.5.1991, n. 187, riprodotto esattamente nel punto 8.4, lett. m), del disciplinare di gara…e siano piuttosto il risultato di un approfondimento giuridico obiettivamente esorbitante rispetto al patrimonio di conoscenze ordinariamente posseduto da un ideale partecipante a gare di appalto di servizi di progettazione e dunque non esigibile – né rilevante ai fini dell’applicazione dell’estrema misura espulsiva – alla stregua del fondamentale canone di buona fede (nella sua specifica declinazione di obbligo di clare loqui) immanente in ogni rapporto, sia pur di contatto amministrativo instaurato tra la p.a. indicente e le imprese concorrenti”.
Non vi è chi non veda, quindi, che lo stesso Consiglio di Stato evidenziava che la conclusione del TAR era frutto di una ricostruzione ermeneutica corretta ma complessa e non di facile approccio, in relazione ad una disposizione normativa, riconducibile al d.p.c.m. più volte richiamato, di non chiara indicazione.
La successiva sentenza di merito del Consiglio di Stato, ribadendo e confermando la conclusione del TAR, riconosceva che il richiamato d.p.c.m. “…contiene, fin nel titolo, un’improprietà di linguaggio: mentre l’articolo 2235 del codice civile, sulle società per azioni, dispone che ‘Le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da azioni’, l’articolo 2472, sulle società a responsabilità limitata, dispone che ‘Le quote di partecipazione dei soci non possono essere rappresentate da azioni’, sicchè l’unità di suddivisione del capitale sociale delle società a responsabilità limitata si chiama semplicemente ‘quota’. Il bando, oltre a richiamare il decreto, ne ripete il testo per la parte che interessa la gara in questione”.
Ne consegue, ad opinione del Collegio, che nel caso di specie possa pervenirsi alla conclusione secondo la quale è invocabile un errore scusabile – come in effetti invocato dal Comune di Torino – in presenza di una formulazione incerta delle norme applicate che da luogo ad un quadro normativo confuso e privo di chiarezza immediata (Cons. Stato, Sez. V, 19.3.07, n. 1307 e Sez. IV, 10.8.04, n. 5500, nonché TAR Lazio, LT, 5.3.04, n.104).
L’incertezza della norma, come evidenziata dal Consiglio di Stato anche in riferimento alla specifica motivazione della sentenza di primo grado, era senza dubbio originata dall’assenza di richiamo alle quote di una società a responsabilità limitata da affiancare al richiamo dell’obbligatorietà dell’allegazione di dichiarazioni di sussistenza di diritti reali di godimento o di garanzia su azioni con diritto di voto, queste ultime, riconducibili alle sole società di capitali.
Il dubbio interpretativo – ed applicativo – era plausibile e gli stessi organi giurisdizionali investiti della questione hanno fatto ricorso a specifiche complessità motivazionali per evidenziare la corretta estensione di applicazione della norma in questione.
Né può dirsi che l’ambiguità della legge di gara sia riconducibile all’amministrazione comunale che aveva redatto il disciplinare di gara comprendente il richiamato art. 8.4, perché questo era una mera ripetizione del testo normativo di cui all’art. 1 del d.p.c.m. 15.5.1991, n. 187, definito dallo stesso Consiglio di Stato come contenente “…fin nel titolo, un’ improprietà di linguaggio” (sentenza di merito n. 1805/04).
A ciò si aggiunga che nella fase cautelare, mentre il TAR si era soffermato sulla ritenuta assenza di pregiudizio, il Consiglio di Stato aveva esplicitamente fatto richiamo alla insussistenza di sufficiente “fumus” del ricorso (ord. n. 5508/2002 e n. 1595/03) o alla presenza di una “normativa di gara recante previsioni oscure e suscettibili di diverse letture” (ord. n. 3865/04), confermando le difficoltà di una interpretazione solare e di immediata esecuzione.
E’ vero che le conclusioni della fase cautelare, basate comunque su presupposti diversi di quelli del merito, di per sé non vincolano in alcun modo il giudice decidente in ordine all’accoglimento della domanda proposta con il ricorso ma è altrettanto vero che, nel caso di specie, tale palese incertezza interpretativa, oltre a giustificare il riconoscimento di un errore scusabile, non vincolava nemmeno l’amministrazione resistente a sospendere l’esecuzione dell’affidamento del servizio in pendenza di giudizio, come preteso dai ricorrenti.
Tantomeno poteva invocarsi da parte dei ricorrenti l’affidamento della successiva fase di direzione dei lavori, estranea alla procedura concorsuale in questione e considerata come una mera “facoltà” per l’amministrazione resistente – come confermato dagli stessi ricorrenti nella memoria per l’udienza di merito – tenuto anche conto che il Comune di Torino, nelle more e senza alcun legittimo impedimento, aveva dato luogo all’approvazione del progetto definitivo (del. di G.C. del 24.8.04) e di quello esecutivo (del. di G.C. del 7.12.04)
In assenza di pronunce cautelari in senso contrario e, anzi, in presenza di ordinanze cautelari che sospendevano l’esecuzione della sentenza di primo di grado che accoglieva la domanda di annullamento, non restava alcun margine all’amministrazione comunale per sospendere l’affidamento del’incarico in questione ed affidarlo a terzi, se non violando il pubblico interesse al celere avvio dei lavori – ribadito anche nelle ordinanze cautelari richiamate – ed esponendosi a richieste sollecitatorie confluenti in possibile risarcimento di danno da parte dell’aggiudicatario.
Alla luce di quanto illustrato, quindi, la domanda di risarcimento non può trovare accoglimento per carenza del requisito soggettivo della colpa dell’amministrazione e, di conseguenza non possono essere esaminate neanche le ulteriori argomentazioni dei ricorrenti, integrate anche nella memoria depositata per l’udienza di merito, in ordine al “quantum” della pretesa risarcitoria e alla necessità di nomina di un Consulente Tecnico d’Ufficio.
Sussistono comunque giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio, attesa la peculiarità della fattispecie.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte, Sezione 1^ rigetta il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del 16 gennaio 2008 con l’intervento dei signori:
**************, Presidente
****************************, Primo Referendario
************, Primo Referendario, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/02/2008
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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