Il fatto
Il Tribunale del riesame di Bari aveva annullato un decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Bari nei confronti di vari indagati in relazione alle seguenti imputazione provvisorie:
1) falso in atto pubblico fidefacente continuato;
2) truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche continuata.
In particolare, a fondamento della decisione, il Tribunale del riesame aveva svolto un duplice ordine di argomenti così sviluppati:
a) non configurabilità, nel caso di specie, della falsità documentale, riguardando essa non già “elementi di fatto” – quali l’esatta localizzazione degli impianti fotovoltaici, la loro potenza, etc. – quanto, piuttosto, la valutazione di ciascun impianto in correlazione con gli altri, così da ritenerli parte di un unico complesso, con conseguente delibazione relativa ai presupposti giuridici del provvedimento autorizzatorio;
b) esclusione da parte del giudice dell’impugnazione cautelare che fosse stata accertata la riconducibilità dei plurimi campi fotovoltaici ad un unico impianto in considerazione delle caratteristiche strutturali dei medesimi.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso l’indicata ordinanza del Tribunale del riesame di Bari proponeva ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari articolando due motivi così formulati: 1) inosservanza degli artt. 479 e 476, secondo comma, cod. pen. segnalando come la configurabilità del falso in atto pubblico di fede privilegiata fosse stata erroneamente esclusa non vedendosi, nel caso di specie, ad avviso del ricorrente, in tema di interpretazione dei presupposti giuridici dei provvedimenti abilitativi, bensì di una falsa attestazione avente ad oggetto la rappresentazione di una situazione di fatto non corrispondente al vero, asseverata da una documentazione progettuale non conforme, in quanto ricognitiva di una situazione di fatto non aderente alla realtà, ma artatamente rappresentata e fatta propria dai funzionari pubblici nelle attestazioni di idoneità; 2) inosservanza dell’art. 640-bis cod. pen. per avere il Tribunale erroneamente escluso il fumus del reato oggetto di provvisoria incolpazione in presenza degli elementi tipici di fattispecie atteso che il Gestore dei servizi energetici deve valutare l’accessibilità dell’impianto agli incentivi e, qualora vi siano ragioni ostative, rigettare l’istanza, sicché l’esigenza di velocizzare l’iter, ricorrendo impropriamente alla procedura semplificata mediante d.i.a., piuttosto che dover attendere i tempi tecnici necessari per l’istruttoria e l’emanazione dell’autorizzazione unica regionale, aveva comportato il conseguimento di un vantaggio economico consistente nella più rapida erogazione dell’incentivo così da competere con gli altri imprenditori del settore, non essendo all’epoca neppure certo che il terzo o il quarto “conto energia”, sarebbero successivamente intervenuti.
Le ragioni sostenute dalla difesa dell’imputato
La memoria difensiva, presentata nell’interesse dell’indagato, una volta ripercorso lo stato di autonomia dei parchi ed il quadro normativo di riferimento, richiamava, in particolare, i plurimi passaggi della motivazione del provvedimento impugnato che dimostravano, ad avviso del legale, l’insussistenza di un unico complesso fotovoltaico e, almeno, di più parchi aventi potenza superiore a 1 MW, sottolineando come il pubblico ministero ricorrente non avesse prospettato alcuna censura in ordine a tali passaggi argomentativi ribadendo la correttezza delle procedure seguite e l’insussistenza dei fatti oggetto di provvisoria incolpazione.
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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva dichiarato inammissibile per i seguenti motivi.
Si osservava prima di tutto che il tema che il ricorso imponeva, prioritariamente, di affrontare, investiva la configurabilità, nel caso in esame, del falso ideologico in documento pubblico trattandosi di una questione logicamente propedeudica alla disamina delle rationes decidendi esposte nel provvedimento impugnato ed alla delibazione della fattispecie di truffa, della quale il falso costituisce – in ipotesi d’accusa – modalità esecutiva.
Premesso ciò, gli Ermellini rilevavano come l’ordinanza impugnata prestasse il fianco alle censure formulate dal pubblico ministero ricorrente dato che il Tribunale aveva, invero, del tutto impropriamente richiamato i principi enunciati dalla Sezione V nella sentenza n. 7879 del 16/01/2018, nella quale è stato affermato come «la falsità ideologica del documento pubblico non è configurabile con riferimento al contenuto valutativo del documento relativo a un giudizio di conformità alla pertinente normativa formulato con riguardo non già a situazioni di fatto costituenti il presupposto dell’atto, bensì alla mera interpretazione della normativa stessa», mentre «un enunciato valutativo fondato su un giudizio di conformità legale può integrare la fattispecie del falso ideologico purché sia correlato ad elementi di fatto».
Orbene, nel – diverso – caso esaminato dalla sentenza appena citata, i giudici di piazza Cavour facevano presente come la configurabilità del falso ideologico sia stata esclusa perché a venire in rilievo era sì l’«attestazione della conformità alla normativa» dell’intervento oggetto del provvedimento abilitativo ma un’attestazione correlata – non già ad una situazione di fatto fraudolentemente descritta come conforme alla normativa di settore, bensì alla sola «legittimità dell’operazione di accorpamento di fondi distanti», ossia alla valutazione degli agenti circa una determinata interpretazione dei presupposti normativi del provvedimento; valutazione, questa, che non presupponeva «alcuna falsa attestazione dell’esistenza di “elementi di fatto” integranti il presupposto dell’atto, non rappresenta un modo di rappresentare la realtà analogo alla descrizione o alla constatazione e non ha alcuna valenza informativa» mentre, nel caso in esame, invece, veniva in rilievo proprio una valutazione fondata su un giudizio di conformità legale correlato a elementi di fatto, idonei ad attribuire o meno ai vari interventi realizzativi, oggetto delle singole dichiarazioni di inizio attività, carattere unitario (o, meglio, riconducibile a due unitari interventi), secondo la tesi accusatoria.
Tal che se ne faceva discendere come l‘immutatio veri, delineata dall’imputazione provvisoria, non concerneva una mera questione giuridica (quale, come nel caso esaminato dalla citata sentenza, «la legittimità dell’operazione di accorpamento di fondi distanti») bensì alla qualificazione giuridica dei vari impianti fotovoltaici basata su elementi di fatto espressivi del carattere unitario (nel senso chiarito di riconducibilità a due unitari centri di interesse giuridico economici).
Il ricorso del pubblico ministero, per la Suprema Corte, coglieva, dunque, sul punto nel segno.
Ciò posto, le censure svolte in riferimento all’imputazione provvisoria sub 1) attinevano, ulteriormente, la – mancata – qualificazione dei documenti pubblici in questione come atti fidefacienti.
Orbene, per la Suprema Corte, sul punto, il ricorso non era, invece, fondato in quanto se la Cassazione ha già avuto modo di affermare che la natura di documenti dotati di fede privilegiata va riconosciuta a «quei documenti, o meglio a quei contenuti documentati, che – in quanto emessi da pubblico ufficiale autorizzato dalla legge, da regolamenti oppure dall’ordinamento interno della pubblica amministrazione ad attribuire all’atto medesimo pubblica fede – presentino i requisiti dell’attestazione da parte del pubblico ufficiale, de visu o de auditu, di fatti giuridicamente rilevanti e della formazione dell’atto nell’esercizio del potere di pubblica certificazione» (Sez. 1, n. 37097 del 21/09/2011), nella delineata prospettiva, la circostanza che l’atto provenga da pubblico ufficiale investito di potestà certificatrice non basta ex se a conferire al medesimo l’attitudine a fare fede “fino a querela di falso“, ma occorre anche che esso abbia un suo particolare contenuto concernente «l’opera propria del pubblico ufficiale», ovverossia quanto dal medesimo attestato come fatto, rilevato od avvenuto in sua presenza (Sez. 5, n. 4568 del 24/03/1972), sicché sono documenti dotati di fede privilegiata quelli che, emessi da pubblico ufficiale autorizzato dalla legge, da regolamenti oppure dall’ordinamento interno della P.A. ad attribuire all’atto pubblica fede, attestino quanto da lui fatto e rilevato o avvenuto in sua presenza (Sez. 5, n. 15951 del 16/01/2015; conf. Sez. 5, n. 48738 del 14/10/2014; Sez. 6, n. 25258 del 12/03/2015; Sez. 5, n. 39682 del 04/05/2016; Sez. 3, n. 15764 del 13/12/2017; Sez. 1, n. 49086 del 24/05/2012).
Ebbene, nel caso in esame, secondo la Suprema Corte, le asseverazioni oggetto delle imputazioni provvisorie non presentavano i connotati dell’atto facente fede fino a querela di falso in quanto i contenuti da esse documentati non aveva riguardato quanto fatto dal pubblico ufficiale e dallo stesso rilevato, ovvero avvenuto in sua presenza, il che escludeva in radice la configurabilità della fattispecie aggravatrice di cui all’art. 476, secondo comma, cod. pen., con conseguente infondatezza delle censure articolate al riguardo.
Detto questo, il secondo motivo era parimenti reputato inammissibile in quanto, ad avviso del Supremo Consesso, del tutto carente della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito, in relazione a quanto previsto dall’art. 476, c. 2, c.p. (“Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni”), per quali atti è configurabile la natura di documenti dotati di fede privilegiata.
Difatti, in tale pronuncia, citandosi giurisprudenza conforme, è postulato che la natura di documenti dotati di fede privilegiata va riconosciuta a quei documenti, o meglio a quei contenuti documentati, che – in quanto emessi da pubblico ufficiale autorizzato dalla legge, da regolamenti oppure dall’ordinamento interno della pubblica amministrazione ad attribuire all’atto medesimo pubblica fede – presentino i requisiti dell’attestazione da parte del pubblico ufficiale, de visu o de auditu, di fatti giuridicamente rilevanti e della formazione dell’atto nell’esercizio del potere di pubblica certificazione fermo restando che la circostanza che l’atto provenga da pubblico ufficiale investito di potestà certificatrice non basta ex se a conferire al medesimo l’attitudine a fare fede “fino a querela di falso“, ma occorre anche che esso abbia un suo particolare contenuto concernente «l’opera propria del pubblico ufficiale», ovverossia quanto dal medesimo attestato come fatto, rilevato od avvenuto in sua presenza, sicché, come appena esposto, sono documenti dotati di fede privilegiata quelli che, emessi da pubblico ufficiale autorizzato dalla legge, da regolamenti oppure dall’ordinamento interno della P.A. ad attribuire all’atto pubblica fede, attestino quanto da lui fatto e rilevato o avvenuto in sua presenza.
Tale sentenza, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di comprendere quando un atto possa rilevare in relazione a quanto previsto dall’art. 476, c. 2, c.p..
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.
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