Per una riflessione sulla tutela delle minoranze linguistiche

Maesano Mario 02/04/19

Premessa

La necessità di stabilire un metodo nasce sempre dalle trasformazioni che investono le componenti principali di una ricerca che possa dirsi scientifica, vale a dire l’oggetto della ricerca, la sua funzione e i mezzi di cui essa dispone. La scienza giuridica ha avvertito, in un certo momento storico, l’esigenza di fissare un proprio sistema di procedimento logico-conoscitivo1 che definisse l’insieme degli strumenti intellettuali attraverso i quali procedere all’analisi giuridica e giungere alla risoluzione dei casi concreti oggetto della ricerca. In particolare, l’elaborazione di un metodo divenne indispensabile per la scienza giuridica per fare fronte alla crescente intrusione delle altre scienze sociali (la sociologia, la filosofia, la scienza della politica) nel campo di indagine del diritto.

Nel diritto amministrativo italiano e pubblico la questione venne affrontata in principio da V.E. Orlando2, il quale sostenne la fondatezza di un metodo giuridico in cui l’analisi interpretativa delle norme precede e determina l’elaborazione di principi giuridici generali. Tale visione metodologica è alla base dall’orientamento formalistico-dogmatico che, secondo una dottrina, si prefiggeva essenzialmente di condurre alla «retta meta» il «procedimento di astrazione e costruzione dei concetti»3 alla luce della continua e costante corrispondenza tra fonti di diritto e processo interpretativo che caratterizzano la scienza giuridica. L’analisi delle forme di tutela giuridica dei gruppi sociali minoritari non comporta l’impiego di metodologie particolari, vertendo essenzialmente sull’individuazione del tipo di regime giuridico che risulta applicabile ad un determinato fenomeno qualificabile come minoritario. La plausibilità teorica di questa affermazione, tuttavia, non esclude la propedeuticità che rispetto ad una tale analisi riveste la determinazione del fenomeno sociale cui la disciplina giuridica in esame risulta applicabile; a tal fine è importante stabilire cosa si intenda per gruppo minoritario, individuando le invarianti4 rispetto alla tutela e alla valorizzazione delle minoranze linguistiche attraverso un processo logico che consenta di poter asserire che la tutela e la valorizzazione siano espressione di fenomeni consolidati e frutto di una stabilizzazione ragionevole5.

Per poter dare corso ad un processo logico di tal fatta appare dunque necessario andare oltre la portata del singolo prodotto legislativo considerato/considerabile6, spingendosi a contrario sino alla rivelazione del dato alla sua riconduzione nello schema del tipo giuridico, secondo un processo di tipizzazione, tenendo conto anche della forza sostanziale di fonte del diritto assunta dal c.d. precedente giudiziale.

Orbene, al fine di promuovere l’osservazione in commento, non può che muoversi da un processo di comparazione interdisciplinare della struttura della tutela.

La tutela delle minoranze linguistiche costituisce, infatti, un ambito in cui il diritto si intreccia con la storia, la geografia, la letteratura e la sociologia e che si pone in tendenza con la riscoperta delle identità regionali e locali in un sistema socio-culturale-politico sempre più “globalizzato”. Se spetta al legislatore emanare le norme in materia di lingua, compete invece al linguista, e in misura sussidiaria all’antropologo, al sociologo, allo storico, stabilire quale sia lingua e quale dialetto.

Le numerose sentenze della Corte costituzionale, che si sono susseguite in materia di minoranze linguistiche, confermano la tesi in forza della quale non si possono equiparare i dialetti italiani (il friulano, il piemontese ecc.) alle minoranze linguistiche tutelate dalla Costituzione e dalla legge n° 482/99, che costituiscono un patrimonio culturale specifico. La tematica de qua, infatti, è in primo luogo materia di accertamento della realtà sociale, e successivamente di qualificazione giuridica8. A quest’ultimo fine non risulta indifferente la caratterizzazione politica di un ordinamento giuridico e pertanto la sua predisposizione a riflettere la pluralità degli interessi presenti nella società (tra i quali, appunto, quelli minoritari), a riconoscerne in ampia misura la legittimità e a regolare altresì i conflitti che ne conseguono.

La peculiarità dell’approccio metodologico in tale studio, dunque, non risiede nella singolarità degli strumenti ma piuttosto nella preliminare assunzione di una premessa teorica di fondamentale importanza: “la disciplina giuridica delle minoranze esercita significative ripercussioni su alcuni problemi posti dalla teoria generale del diritto”. A tale proposito giova precisare che l’art. 6 sulle etnie linguistiche minoritarie, è uno dei più brevi dell’intera Costituzione e assume la seguente formulazione “graficamente esangue” e “lapidaria”: «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche» ed è stato attuato con la legge 15 dicembre 1999, n° 482, mezzo secolo dopo l’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica. La norma si riferisce alla Repubblica, in quanto l’obbligo di tutelare le minoranze linguistiche investe anche gli enti territoriali e rappresenta una diretta applicazione dell’art. 3, vietando ogni forma di discriminazione basata sulla diversità della lingua, e dell’art. 2, poiché in attuazione dei principi di pluralismo e di tolleranza prevede una tutela positiva delle minoranze etniche volta a salvaguardare la loro identità culturale e a consentire una effettiva partecipazione anche di questi gruppi alla vita politica e sociale del Paese9.

Minoranze e identità culturali

Come sostiene Pizzorusso, la tematica della tutela giuridica dei gruppi sociali minoritari presenta, infatti, una ineliminabile connessione con due principi propri di un ordinamento giuridico democratico: il principio di eguaglianza e il principio di pluralismo. L’analisi in oggetto si sofferma in particolare sul primo di questi due principi. Il momento di collegamento tra la disciplina giuridica dei problemi minoritari e il principio di eguaglianza è da tale significatività che i risultati dell’indagine giuridica relativi al tema trattato si ripercuotono in qualche misura sull’elaborazione teorica del suddetto principio, la cui esatta portata non può essere pienamente intesa, né tracciata senza tenere conto del modo in cui esso funziona in relazione alle situazioni minoritarie10. La cultura dei gruppi minoritari, essendo diversa da quella della maggioranza, non può svilupparsi se non è protetta da provvedimenti legislativi particolari e derogatori rispetto a quelli adottati in via generale con riferimento alla cultura maggioritaria”.

Al fine di realizzare un’effettiva tutela delle minoranze di questo tipo occorre stabilire, dunque, accanto alla tutela “negativa” predetta, anche un sistema di norme che corrispondentemente può appunto essere denominato di tutela “positiva”. Le misure che realizzano la tutela positiva delle minoranze linguistiche consistono dunque nell’affiancare alle regole tendenti a facilitare l’uso delle lingue minoritarie ulteriori regole che valgano ad evitare che tale uso si risolva per chi lo pratica in un qualsiasi pregiudizio. Esistono molti modi per sostenere la diversità. Uno di questi è promuovere il diritto alla cultura e all’istruzione nella lingua madre insieme a diverse forme di dialogo interculturale. Senza, però, trascurare i profili concernenti al diritto all’informazione.

In riferimento alle minoranze linguistiche lo specifico profilo dell’accesso ai mezzi di comunicazione risulta funzionale alla realizzazione di una pluralità di obiettivi, fra i quali, a seconda del contesto: a) la diffusione di informazioni che, sono veicolate nella lingua minoritaria e  possono essere comprese e fruite a pieno; b) la diffusione di informazioni attinenti la cultura e le tradizioni dei gruppi minoritari anche presso il “largo pubblico”; c) la garanzia di conservazione della lingua minoritaria che non si trovi schiacciata dalle comunicazioni di massa; d) la promozione della partecipazione attiva e consapevole degli appartenenti alla minoranza linguistica alla realtà sociale in cui vivono.

La rilevanza dell’informazione e dell’accesso ai canali per una sua ampia e capillare diffusione anche da parte delle minoranze linguistiche è testimoniata dal fatto che, da un lato, una pluralità di fonti, a livello internazionale e a livello nazionale, riconoscono e disciplinano le tematiche oggetto di analisi e, dall’altro, che numerosi interventi pratici sono stati realizzati per dare attuazione a tali apparati normativi11.

Similmente la ratio della tutela de qua comporta che gli uffici pubblici debbano essere organizzati in modo da poter comunicare con coloro che usano una lingua minoritaria quale che sia il numero di questi soggetti.

Leggi anche:” La competenza normativa in materia di tutela delle minoranze linguistiche”

La tutela linguistica nel diritto internazionale

Per quanto riguarda la tutela linguistica nel diritto internazionale, il mantenimento e la trasmissione della lingua sono previsti in forma indiretta dalla Convenzione UNESCO (art. 1), dalla Carta delle Nazioni Unite (art. 1 par. 3), dal Patto internazionale sui diritti civili e politici (art. 27),  dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 2 par. 1), e a livello europeo dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 14), riflettendo soprattutto l’obbligo di non discriminazione, e tralasciando la valorizzazione dell’identità linguistica12.

Lo stesso principio vale per la Convenzione americana dei diritti dell’uomo con il Primo Protocollo aggiuntivo (art. 14) e la Convenzione contro la discriminazione nel campo dell’educazione dove l’art. 1 considera la lingua come una possibile causa alla discriminazione, mentre l’art. 5 si limita a stabilire che le minoranze hanno il diritto alle proprie scuole e all’insegnamento nella propria lingua13.

In ambito europeo, invece, va considerato l’art. 3 comma 3 TUE, il quale afferma che l’Unione “rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo”. Le Convenzioni che invece trattano la questione sui diritti linguistici in modo più specifico sono quelle approvate dal Consiglio d’Europa, e sono la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie (1992), e alcune disposizioni della Convenzione-quadro sulla tutela delle minoranze nazionali (1995).

La Carta europea, enuncia che “la protezione delle lingue regionali o minoritarie storiche dell’Europa, alcune delle quali rischiano di scomparire col passare del tempo, contribuisce a conservare e a sviluppare le tradizioni e la ricchezza culturali dell’Europa”.

In questa prospettiva, la ricerca di carattere giuridico qualifica la protezione delle minoranze come strumento per proteggere le identità culturali.

Volume consigliato

Biografia

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