La perdita della capacità lavorativa generica, in soggetto macroleso e impossibilitato a lavorare per tutta la vita, è da considerarsi danno patrimoniale e va liquidato, anche facendo ausilio a presunzioni, prendendo come riferimento, in assenza di pregressa storia lavorativa, il parametro del triplo della pensione sociale.
Con la sentenza numero 16844 del 13/06/2023 la III sezione della suprema Corte (Pres. Travaglino – relatore Cirillo) corregge la corte di merito che aveva erroneamente fatto sussumere il danno da perdita della capacità lavorativa generica, in presenza di lesioni di notevole importanza e che certamente determinano l’incapacità lavorativa totale del danneggiato, quale componente del danno non patrimoniale anziché quantificarla come voce autonoma di danno patrimoniale.
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1. I fatti di causa e i giudizi di merito
Tizia, a causa di malpractice medica, nasceva con una deformazione celebrale gravissima a causa della condotta dei medici che avevano curato il parto in una clinica privata.
I genitori, quindi, agivano in giudizio nei confronti dei medici e della struttura, al fine di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.
Nel corso dei giudizi di merito si accertava che la menomazione della minore era stimabile nella misura del 100% della compromissione dell’integrità psico-fisica, motivo per il quale le corti di merito riconoscevano il relativo risarcimento del danno non patrimoniale, anche in capo ai genitori, in virtù del seguente ragionamento.
Secondo quanto accertato nel corso del giudizio, la responsabilità dei medici è ascrivibili nella misura del 60%, mentre il restante 40% è dipeso da fattori imponderabili e, nello specifico da un arresto cardiocircolatorio.
Sia il Tribunale adito in primo grado che la Corte d’appello, tuttavia, non riconoscevano il danno da perdita della capacità lavorativa generica, ritualmente allegata dagli attori.
In particolare, la corte d’appello svolge il seguente ragionamento.
Il danno da perdita della capacità lavorativa generica, atteso che non vi è una storicità lavorativa del danneggiato, è sussumibile unicamente quale voce incidente sulla maggiorazione del danno biologico e, quindi come species del danno non patrimoniale e non come voce autonoma di danno patrimoniale. Infatti non è provato che la minore avrebbe svolto attività lavorativa e la portata dei redditi che avrebbe percepito.
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2. Il giudizio in Cassazione
La pronuncia veniva chiaramente impugnata dai genitori della minore, anche sul punto relativo al danno da perdita della capacità lavorativa generica e sulla sua mancata sussunzione quale danno patrimoniale.
La Corte di cassazione bacchetta la corte di merito, svolgendo il seguente ragionamento.
In particolare, e relativamente al motivo che qui interessa, i genitori della minore censuravano la pronuncia per violazione degli articoli 1223, 1226, 2043 e 2056 cc in relazione all’art. 360 comma I n. 3, per avere la corte d’appello omesso di riconoscere il pregiudizio patrimoniale subito dalla minore.
Secondo la tesi dei ricorrenti, infatti, e posto che è certo il danno all’integrità psicofisica nella misura del 100%, la Corte avrebbe dovuto prendere atto che la minore certamente non avrebbe potuto svolgere alcuna attività lavorativa per tutta la vita e che, al massimo, la questione avrebbe dovuto ridursi alla modalità di calcolo del danno, che ben avrebbe potuto essere ancorata al triplo della pensione sociale, facendo ausilio delle presunzioni e della valutazione equitativa.
La Corte di cassazione, nell’accogliere il ricorso, pone in evidenza la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, laddove prima si afferma che certamente la compromissione dell’integrità fisica nella misura del 100% comporterà l’impossibilità per la minore di svolgere per tutta la vita alcuna attività lavorativa, per poi concludere in modo non coerente, che questo non comporta alcun pregiudizio patrimoniale atteso che non vi è prova che la minore avrebbe svolto attività lavorativa; per tale ragione la corte di merito si era limitata a maggiorare il danno biologico, senza riconoscere la voce autonoma di lucro cessante.
La Corte di legittimità, quindi, evidenzia come il ragionamento svolto dalla corte d’appello può essere condivisibile limitatamente al danno da cenestesi lavorativa, vale a dire quel danno che subisce il lavoratore in seguito a lesioni fisiche che ne determina una maggiore difficoltà di svolgere attività lavorativa, senza pregiudicarne del tutto lo svolgimento. Ma tale danno è inevitabilmente ancorato ad una lesione dell’integrità psicofisica che non determina l’integrale compromissione della capacità lavorativa, ma la rende semplicemente più difficoltosa sena tuttavia incidere sul reddito percepito e quindi senza determinare un lucro cessante. In questa ipotesi, secondo gli insegnamenti della Corte, è giusto non liquidare alcun danno patrimoniale e concedere una maggiorazione del danno non patrimoniale.
Nel caso che occupa, tuttavia, la compromissione della possibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa è integrale e consegue all’invalidità stimata al 100%, e deve comportare anche il ristoro del danno da lucro cessante, sub species di perdita della capacità lavorativa generica, atteso che la minore non ha mai lavorato e non è possibile una prognosi dell’attività lavorativa che avrebbe potuto svolgere.
La sentenza, quindi, viene cassata e rinviata alla Corte d’appello, la quale dovrà deciderla applicando i seguenti principi un danno patrimoniale risarcibile può essere legittimamente riconosciuto anche a favore di persona che, subita una lesione, si trovi al momento del sinistro senza un’occupazione lavorativa e, perciò, senza reddito, in quanto tale condizione può escludere il danno da invalidità temporanea, ma non anche il danno futuro collegato all’invalidità permanente che, proiettandosi appunto per il futuro, verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima” (così la sentenza 9 novembre 2021, n. 32649). Tale risarcimento spetta al soggetto già percettore di reddito da lavoro, ma anche a chi non lo sia mai stato e, in difetto di prova rigorosa del reddito effettivamente perduto o non ancora goduto dalla vittima, potrà essere liquidato con il criterio (residuale) del triplo della pensione sociale, oggi assegno sociale, in assenza di un ragionevole parametro di riferimento (v. la sentenza in ultimo citata, nonché le ordinanze 4 maggio 2016, n. 8896, e 12 ottobre 2018, n. 25370, le quali ribadiscono il carattere residuale del criterio della liquidazione con il triplo della pensione sociale).
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