Permesso di costruire e autorizzazione paesaggistica: la sanatoria postuma ex art. 167 d. lgs. 42/04

Il territorio italiano è indubbiamente fra i territori che maggiormente risentono dell’importanza delle regole urbanistiche ed edilizie, vista l’elevata presenza di zone vincolate da limiti paesaggistici, quali ad esempio il vincolo imposto dalla Soprintendenza dei beni culturali gravante su particolari siti di interesse culturale.

Nel caso di specie, in un comune interamente sottoposto a vincolo paesaggistico, un soggetto ha provveduto a realizzare interventi edilizi su 3 tipologie di manufatti: una legnaia, un vano caldaia ed una porta di accesso su vano esterno.

Prima di analizzare l’eventuale e/o possibile sanatoria postuma ex art. 167 D. 42/04 per i casi di realizzazione di manufatti in difetto di autorizzazione paesaggistica o permesso di costruire, occorre studiare la natura giuridica dei suddetti manufatti per comprendere il relativo trattamento giuridico riservato ad essi.

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Legnaia: permesso di costruire

Per quanto concerne la legnaia, è necessario partire dalla lettura dell’art. 10, comma 1, del Codice dell’Edilizia, il quale dispone che “costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso a costruire: a) gli interventi di nuova costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni”.

L’articolo citato è fondamentale, in quanto bisogna dunque capire se una struttura destinata ad attività di servizio, quale appunto una legnaia, sia configurabile o meno quale nuova costruzione, quindi assoggettata all’obbligo del permesso di costruire.

Il Consiglio di Stato ha avuto modo di affermare che “la legnaia […] è identificabile come edificio, in quanto si tratta di costruzione completamente chiusa da muri perimetrali, pur destinata ad attività di servizio (quali deposito, ricovero attrezzi, legnaie etc.); pertanto essa è computabile in termini volumetrici ed è rilevante ai fini delle distanze e, come tale, è perciò realizzabile solo in quelle aree ove sono consentite nuove costruzioni. In via generale, la giurisprudenza amministrativa è univoca nell’affermare che la realizzazione di una tettoia necessita di permesso a costruire quale nuova costruzione, comportando una trasformazione del territorio e dell’assetto edilizio anteriore; essa arreca, infatti, un proprio impatto volumetrico e, se e in quanto priva di connotati di precarietà, è destinata a soddisfare esigenze non già temporanee e contingenti, ma durevoli nel tempo, con conseguente incremento del godimento dell’immobile cui inerisce e del relativo carico urbanistico. E’ evidente che occorre sempre esaminare ogni intervento, caso per caso, considerando dimensioni, struttura, materiali e finalità dell’opera” (cfr. Consiglio di Stato, II, 12.11.2019, n. 8417).

La massima qui riportata è decisiva per un duplice motivo.

Innanzitutto l’organo giudicante considera una legnaia quale generica tettoia, ovvero una struttura basica chiusa nei 4 lati e coperta; proprio per queste sue caratteristiche, qualora una legnaia fosse chiusa nei 4 lati e fosse coperta, questa sarebbe assoggettata al vincolo del permesso di costruire, in quanto considerata “nuova costruzione” ex art. 10, comma 1, Codice dell’edilizia.

Lo stesso organo, infatti, continua affermando che “è stata esclusa la rilevanza volumetrica di una tettoia in legno […] e ciò in quanto, come affermato già in precedenza dalla giurisprudenza, detto manufatto è aperto su tre lati. In questo caso la tettoia è aperta su tre lati e non viene considerata nuova costruzione”. Inoltre, il carattere di nuova costruzione viene rafforzato dal carattere della permanenza e stabilità del manufatto, il che determina maggiormente il vincolo del permesso.

Questo vuol dire dunque che occorre valutare, caso per caso, il progetto e la reale costruzione di una tettoia: se questa dovesse risultare chiusa nei 4 lati e coperta, allora sarà considerata nuova costruzione, in caso contrario sarà esente dal vincolo del permesso a costruire.

Sul punto anche il Tar Roma è intervenuto stabilendo che “la tettoia, […] caratterizzata da stabilità e permanenza, […] deve essere qualificata come nuova costruzione, realizzabile solo previo rilascio del permesso di costruire, anziché una semplice DIA” (cfr. TAR Lazio, Roma, II, 2.3.2020, n. 2663).

A favore della tesi che propende per la definizione di una legnaia quale nuova costruzione, vi è anche l’art. 3, comma 1, lett. e.5, Codice dell’edilizia, il quale dispone che “ai fini del presente testo unico si intendono per: e) interventi di nuova costruzione: e.5) l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulettes, campers, case mobili, imbarcazioni che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore”.

Legnaia: autorizzazione paesaggistica

Per quanto concerne un’eventuale autorizzazione paesaggistica, occorre rifarsi al D.P.R. 31/2017, – Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata.

L’allegato B, disciplinante i casi di procedimento autorizzatorio semplificato, al punto B.17 statuisce che è sottoposta a tale procedimento “la realizzazione di tettoie, porticati, chioschi da giardino di natura permanente e manufatti consimili aperti su più lati, aventi una superficie non superiore a 30 mq o di manufatti accessori o volumi tecnici con volume emergente fuori terra non superiore a 30 mc”.

Ciò lascia, dunque, desumere che una tettoia o vano tecnico al di sotto di tali parametri di misurazione, sarà sottoposta ad una procedura autorizzatoria semplificata.

 

Vano caldaia: permesso di costruire

Per quanto concerne la natura giuridica di una vano in cui installare una caldaia, occorre rifarsi ad una massima del Consiglio di Stato al cui interno si cela una sorta di definizione di volume tecnico.

Sappiamo, infatti, che in questi casi si parla di vani utilizzati esclusivamente come pertinenze, quindi con una funzione servente, di manufatti aventi destinazione abitativa.

L’organo amministrativo ha avuto modo di affermare che “la nozione di volume tecnico corrisponde a un’opera priva di qualsiasi autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché destinata solo a contenere, senza possibilità di alternative e, comunque, per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali di essa; i volumi tecnici degli edifici sono esclusi dal calcolo della volumetria a condizione che non assumano le caratteristiche di vano chiuso, utilizzabile e suscettibile di abitabilità; ne consegue che nel caso in cui un intervento edilizio sia di altezza e volume tale da poter essere destinato a locale abitabile, ancorché designato in progetto come volume tecnico, deve essere computato a ogni effetto, sia ai fini della cubatura autorizzabile, sia ai fini del calcolo dell’altezza e delle distanze ragguagliate all’altezza” (cfr. Consiglio di Stato, II, 27.12.2019, n. 8835).

Riprendendo, dunque, l’art. 10, comma 1, del Codice dell’Edilizia, il volume tecnico di un edificio, in questo caso un vano caldaia, non essendo previsto quale manufatto ricadente sotto il vincolo del permesso di costruire, non necessita di alcuna autorizzazione, e per questo non potrà essere computato ai fini della parte di volumetria che invece richiede il permesso di costruire.

Fondamentali al riguardo sono le caratteristiche che qualsiasi vano dovrà rispettare per assumere la qualifica di vano tecnico (dotato quindi di volume tecnico); queste sono rintracciabili in una pronuncia del Tar Calabria, in cui si statuisce che “ai fini di stabilire se un locale possa essere ritenuto mero vano tecnico, come tale non necessitante di permesso a costruire, occorre effettuare una valutazione complessiva delle sue caratteristiche, in modo da escludere, in maniera oggettiva, che esso possa assolvere ad una funzione abitativa, anche solo in via potenziale o per il futuro, a prescindere dalla destinazione soggettiva impressa dal proprietario. In sostanza, per l’individuazione della nozione di volume tecnico escluso dal calcolo della volumetria, bisogna fare riferimento a tre ordini di parametri: il primo, positivo, di tipo funzionale, dovendo esso avere un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione; il secondo ed il terzo, negativi, ossia ricollegati, rispettivamente, all’impossibilità di soluzioni progettuali diverse ed ad un rapporto di necessaria proporzionalità che deve sussistere fra le esigenze edilizie e il volume realizzato. Quest’ultimo, pertanto, deve essere completamente privo di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto esclusivamente destinato a contenere gli impianti serventi di una costruzione principale, che non possono essere ubicati all’interno di essa” (cfr. TAR Calabria – Catanzaro, II, 16.6.2017, n. 967).

Nulla quaestio, quindi, circa la non previsione del permesso di costruire per i volumi tecnici.

 

Vano caldaia: autorizzazione paesaggistica

Per quanto concerne, invece, l’eventuale assoggettamento di un volume tecnico all’autorizzazione paesaggistica, occorre nuovamente fare riferimento al D.P.R. 31/2017, – Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata.

L’allegato A, disciplinante le realizzazioni che non necessitano di autorizzazione paesaggistica, al punto A.5 dispone che non sono soggette a procedura autorizzatoria “le installazioni di impianti tecnologici esterni a servizio di singoli edifici non soggette ad alcun titolo abilitativo edilizio, quali condizionatori e impianti di climatizzazione dotati di unità esterne, caldaie, parabole, antenne, purché effettuate su prospetti secondari, o in spazi pertinenziali interni, o in posizioni comunque non visibili dallo spazio pubblico, o purché si tratti di impianti integrati nella configurazione esterna degli edifici, ed a condizione che tali installazioni non interessino i beni vincolati del Codice, art. 136, comma 1, lettere a) b) e c)[…]”, ciò per quanto concerne quelle che sono le installazioni, tra le altre caratteristiche, comunque non visibili dallo spazio pubblico, per le quali appunto non è prevista alcuna autorizzazione paesaggistica.

Nell’eventualità in cui tali installazioni dovessero essere visibili dallo spazio pubblico, l’allegato B, al punto B.7, prevede una procedura autorizzatoria semplificata per le “installazioni di impianti tecnologici esterni a servizio di singoli edifici, quali condizionatori e impianti di climatizzazione dotati di unità esterna, caldaie, parabole, antenne, su prospetti prospicienti la pubblica via o in posizioni comunque visibili dallo spazio pubblico, o laddove si tratti di impianti non integrati nella configurazione esterna degli edifici oppure qualora tali installazioni riguardino beni vincolati ai sensi del Codice, art. 136, comma 1, lettere a), b e c)”.

Come per le tettoie e le legnaie, dunque, anche per i volumi tecnici occorrerà valutare caso per caso.

 

Apertura/modifica porta per esterni: permesso di costruire

Prescindendo per un momento dal caso di specie, la realizzazione ex novo di una porta esterna su un edificio, viene qualificata quale intervento di ristrutturazione, il quale, ex art. 10, comma 1, lett. c, Codice dell’edilizia, richiede per legge il permesso di costruire, in quanto comporta una modifica del prospetto iniziale dell’edificio.

La giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di afferma che “come chiarito dalla consolidata giurisprudenza anche del Giudice di Appello, l’apertura di porte finestrate e di finestre sul prospetto di un edificio va qualificato – sempre – come intervento di ristrutturazione edilizia comportante modifica dei prospetti, assoggettato (tuttora) al regime di permesso di costruire” (cfr. Tar Lazio – Roma, II bis, 29.5.2019, n. 7818).

Nel caso di specie, però, il proprietario ha realizzato un intervento meramente di modifica della porta già installata e del tramezzo che la ospitava, per agevolare il passaggio.

Ora, sulla base della mera disciplina del permesso di costruire, questo intervento viene qualificato come “manutenzione straordinaria”, ovvero consistente in una mera sostituzione o rinnovo di parti dell’edificio, ed in questo caso non vi è necessità di un permesso di costruire, in quanto non rientra nell’alveo di applicazione dell’articolo 10 Codice dell’edilizia.

 

Apertura/modifica porta per esterni: autorizzazione paesaggistica

Per quanto concerne l’aspetto paesaggistico, invece, come detto in precedenza la modifica è avvenuta esclusivamente col fine di agevolare il passaggio; questo può essere tranquillamente qualificabile come un intervento mirato all’eliminazione di una barriera architettonica.

L’allegato A, punto A.4, del D.P.R. 31/17 statuisce che non è prevista l’autorizzazione paesaggistica per gli “interventi indispensabili per l’eliminazione di barriere architettoniche, quali la realizzazione di rampe esterne per il superamento di dislivelli non superiori a 60 cm, l’installazione di apparecchi servoscala esterni, nonché la realizzazione, negli spazi pertinenziali interni non visibili dallo spazio pubblico, di ascensori esterni o di altri manufatti simili”.

 

Sanatoria postuma ex art. 167, comma 4, d.lgs. 42/04

Ex art. 167, comma 4, D.Lgs. 42/04 “l’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dell’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) per l’impiego di materiali in difformità dell’autorizzazione paesaggistica; c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380”.

L’art. 167 disciplina gli unici casi in cui è possibile procedere ad una sanatoria postuma nel caso in cui un manufatto fosse stato realizzato in difetto della preventiva autorizzazione paesaggistica; trattasi però di un elenco tassativo, al di fuori del quale nessun tipo di sanatoria potrà essere concessa.

La regola generale prevede la rimessione in pristino del manufatto realizzato in difetto dell’autorizzazione o, in caso di concessione di sanatoria postuma così come prevista dal comma 5, il versamento di una indennità pecuniaria.

La procedura per la concessione di una sanatoria postuma è prevista dal comma 5 secondo il quale “il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini all’accertamento della compatibilità paesaggistica del interventi medesimi. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di 180 giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di 90 giorni. Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L’importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima. In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui al comma 1. La domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica presentata ai sensi dell’articolo 181, comma 1-quater, si intende presentata anche ai sensi e per gli effetti di cui al presente comma”.

Occorre valutare la possibile applicazione ai casi di specie.

Innanzitutto la giurisprudenza amministrativa si è mostrata chiara nel definire la tipicità dell’elenco dei casi in cui è possibile concedere una sanatoria postuma; è stato statuito infatti che “in caso di vincolo paesaggistico, è precluso il rilascio del permesso di costruire in sanatoria ex art. 36, DPR n. 380 del 2001, stante il divieto di autorizzazione paesaggistica postuma espressamente previsto dall’art. 146, dlgs n. 42/2004. A tale principio fanno eccezione solo i limitatissimi casi previsti dal comma 4 dell’art. 167, dlgs n. 42/2004, in un’ottica di apicale protezione dei valori paesaggistici, esclude dalla compatibilità paesaggistica interventi già realizzati, che abbiano comportato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati” (cfr. TAR Campania – Napoli, VIII, 21.1.2020, n. 268).

Fondamentali sono anche le condizioni previste per la concessione postuma di una sanatoria paesaggistica.

Pacifica giurisprudenza ha statuito che “ai sensi dell’art. 32 comma 27 lett. d), d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in l. 24 novembre 2003,n. 326, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) si tratta di opere realizzate prima della imposizione del vincolo; b) seppure realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, sono conformi alle prescrizioni urbanistiche; c) sono opere minori senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria); d) esiste il previo parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo; in ogni caso, non possono essere sanate le opere che hanno comportato la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta, o comunque di inedificabilità, anche relativa” (cfr. Consiglio di Stato, IV, 16.8.2017, n. 4007).

Ora, per capire effettivamente se un manufatto possa rientrare nell’alveo dei casi ex art. 167 comma 4, bisogna riflettere sulla parte in cui si afferma “che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi”, e per una maggiore comprensione, soffermarci sulla congiunzione “o”.

La giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di affermare che “è opportuno altresì chiarire che l’utilizzo della congiunzione disgiuntiva -o- comporta chiaramente che vige la preclusione al conseguimento della sanatoria postuma per effetto della sola creazione di superfici utili, anche a prescindere da un incremento di volumetria” (cfr. TAR Campania – Napoli, III, 26.2.2019, n. 1389; TAR Campania – Napoli, VI, 2.12.2016, n. 5574).

Questo vuol dire dunque che anche solo per l’effetto di un aumento di superficie, e non anche di volume, non si potrà beneficiare della sanatoria postuma.

A questo punto, per la nozione di superficie si rinvia ad un precedente giurisprudenziale secondo il quale “in ambito paesaggistico la nozione di superficie utile” di cui all’art. 167 d. lgs. n. 42 del 2004 deve essere intesa in senso ampio e finalistico, ossia non limitata agli spazi chiusi o agli interventi capaci di provocare un aggravio del carico urbanistico, quanto piuttosto considerando l’impatto dell’intervento sull’originario assetto del territorio e, quindi, l’idoneità della nuova superficie, qualunque sia la sua destinazione, a modificare stabilmente la vincolata conformazione originaria del territorio, sicché di superficie utile deve parlarsi in presenza di qualsiasi opera edilizia calpestabile o che può essere sfruttata per qualunque uso, atteso che il concetto di utilità ha un significato differente nella normativa in materia di tutela del paesaggio rispetto alla disciplina edilizia” (cfr. TAR Lombardia – Milano, II, 8.5.2019, n. 1033).

Sulla base di quanto affermato, quindi, per aversi una sanatoria postuma sarà sufficiente che l’intervento non abbia determinato nuove superfici utili calpestabili, a prescindere dall’aumento di volumetria.

Ma v’è di più.

In un abuso di tal genere, però, occorre valutare l’ipotesi in cui l’intervento edilizio dia luogo sì ad un abuso, ma ad un abuso di minore entità, il quale, secondo giurisprudenza, potrebbe comunque portare ad una sanatoria postuma.

E’ stato affermato, infatti, che “ai sensi dell’art. 167, d.lg. n. 42 del 2004, gli abusi realizzati in zona vincolata sono sanabili attraverso l’accertamento di conformità paesaggistica solo quando si tratti di abusi minori, che non abbiano comportato la creazione di nuove superfici o di nuovi volumi” (cfr. TAR Umbria – Perugia, I, 4.11.2019, n. 557).

Per quanto concerne, invece, la definizione di volume, il discorso si allarga anche alle diverse tipologie di volumetrie esistenti nel settore edilizio.

Per volume si intende genericamente l’area, sviluppantesi in altezza e in profondità, coperta da un manufatto.

Come in precedenza visto, esistono due tipologie di volume a seconda della destinazione d’uso del manufatto stesso, nel caso di specie quello che rileva è sicuramente il volume tecnico del vano caldaia.

Nel d.lgs. 42/04 si nega l’autorizzazione paesaggistica postuma a qualsiasi tipo di volume, tecnico o abitativo; l’articolo 167, comma 4, infatti, non effettuando una distinzione, lascia desumere che la concessione postuma è negata anche ai volumi tecnici, i quali non assumono alcune rilevanza giuridica in tema di concessioni edilizie e/o paesaggistiche.

Ciò su cui conviene soffermarsi, però, riguarda la relazione esistente tra il volume tecnico effettuato ed il volume dei manufatti già esistenti.

La giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di affermare che “i volumi tecnici vanno comunque ricompresi nella nozione di volumi ostativa, ai sensi del comma 4 lett. a) dell’art. 167, d.lgs. n. 42/2004, al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica postuma. L’art. 167 comma 4, citato non consente, infatti, di sanare le opere edilizie che abbiano comportato l’aumento di volumi (anche tecnici), ma proprio perché intende valorizzare e salvaguardare le aree sottoposte al vincolo paesaggistico, consente alla Soprintendenza di esaminare favorevolmente l’istanza di sanatoria (ovviamente, ferme restando tutte le altre valutazioni di sua competenza) quando l’istanza preveda la demolizione di volumi, del tutto legittimamente realizzati, per compensare il mantenimento di altri, realizzati senza titolo. In altri termini, purchè si mantenga il rispetto dei limiti legittimamente assentibili in tema delle superfici e dei volumi, ben può la Soprintendenza ritenere accoglibile l’istanza di sanatoria, quando la demolizione di volumi legittimamente assentiti consenta di ritenere che, nel suo complesso, la volumetria legittimamente assentibile non sia inferiore a quella da porre a base del provvedimento di sanatoria” (cfr. TAR Campania – Napoli, VIII, 6.9.2018, n. 5410).

Risulta decisiva tale pronuncia, in quanto, entrando nel potere discrezionale della soprintendenza, questa ben potrà valutare la concessione postuma ad un volume realizzato abusivamente, ma la cui demolizione comporti inevitabilmente quella di manufatti edificati nel rispetto di tutte le concessioni edilizie e paesaggistiche previste.

Tale eventuale concessione, ovviamente, sarà subordinata sia alla minore entità dell’abuso, ma anche, e soprattutto, al rispetto delle concessioni edilizie previste per le parti di manufatto già esistenti al momento dell’abuso.

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Dott. Giuseppe Squeglia

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