Permesso di soggiorno e diniego di rinnovo

Massima

Non è legittimo il provvedimento di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno motivato dall’esistenza di una condanna penale, nel caso in cui la questura non si sia espressa sulla concreta pericolosità sociale dell’appellante e non abbia effettuato il bilanciamento tra la tutela dei legami familiari dell’interessato e quella della sicurezza pubblica.

 

Premessa

Nella decisione del 3 gennaio 2014 n. 1 il Consiglio di Stato ha precisato che è illegittimo il diniego del permesso di soggiorno ad un soggetto extracomunitario condannato per il reato di violenza sessuale, senza, però, tenere in considerazione i legami familiari.

Con decreto del 2012 (notificato nel 2013) la questura negava al cittadino (1) appellante il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro dipendente, avendo rilevato a carico dello stesso una condanna (2) per violenza, emessa dal Tribunale penale.

Quale motivazione del diniego la questura aveva aggiunto che il reato in questione rientrava tra quelli indicati dall’articolo 380 c.p.p. e anche che l’interessato non aveva dimostrato di aver ottenuto la riabilitazione.

Avverso il provvedimento della questura il ricorrente proponeva ricorso al TAR chiedendo l’annullamento, previa sospensione, per carenza di motivazione circa la pericolosità sociale dell’immigrato e violazione di legge ed eccesso di potere per mancata valutazione della situazione familiare nonché dell’inserimento sociale dello stesso, unitamente all’accertamento del diritto al rinnovo del permesso di soggiorno.

Nel momento in cui occorre effettuare il rinnovo del permesso di soggiorno la questura dovrà prendere in considerazione la sussistenza di eventuali reati ostativi al rinnovo del titolo.

E’ illegittimo il diniego nel caso in cui la questura non abbia prodotto una valutazione circa l’attualità e la concretezza della eventuale pericolosità sociale per condanne ostative e senza che sia stata tenuta in considerazione la situazione familiare, l’esistenza di legami con il paese di origine, l’anzianità della presenza in Italia, in caso di titolari di permesso di soggiorno per lavoro subordinato che abbiano effettuato il ricongiungimento familiare.

Per quanto concerne i motivi ostativi al rinnovo gli stessi possono essere:

–         condanne, anche con sentenza non definitiva, per uno dei reati previsti dagli articoli 380, commi 1 e 2, c.p.p., anche nel caso in cui la sentenza sia stata emessa a seguito di patteggiamento, oppure per reati legati agli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, la prostituzione, lo sfruttamento dei minori;

–         pericolosità per l’ordine pubblico e la sicurezza dello stato;

–         condanne definitive per la violazione delle norme sul diritto d’autore

Il Testo Unico in materia di immigrazione esclude la possibilità di ingresso nel territorio italiano per coloro che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, per reati per cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.

Nella ipotesi di rinnovo del permesso di soggiorno richiesto dal soggetto straniero che abbia commesso reati ostativi, l’esistenza di precedenti condanne penali non può essere, di per sé, motivo automatico di diniego ma l’autorità dovrà tenere in considerazione una serie di altri elementi quali la durata del soggiorno in Italia, il radicamento sociale e familiare.

Tale principio è stato introdotto nella legislazione italiana con il decreto legislativo n. 5 del 2007 (3).

Già nel 2012 il Consiglio di Stato con la decisione del 29 ottobre (n. 5516) ha ritenuto illegittimo il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno motivato dall’esistenza di una condanna, senza tenere in alcuna considerazione il fatto che il richiedente lavorava in Italia, aveva reperito regolare occupazione lavorativa in epoca antecedente al suo arresto ed era coniugato con cittadina ucraina residente in Italia con la quale regolarmente conviveva al momento dell’arresto e con la quale ha avuto un figlio tredicenne, sia pure ancora residente in Ucraina.

Secondo quanto precisato nella sopra menzionata decisione, sebbene il decreto legislativo n. 286/1998 (4) preveda che:“Nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell’articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale”, la disposizione deve essere interpretata nel senso che oggetto della tutela è il nucleo familiare.

Da ciò ne consegue che la citata tutela deve essere riconosciuta ogni qualvolta esista un nucleo familiare residente in Italia e convivente.

Non sarebbe ragionevole escludere la tutela solamente perché il nucleo familiare si trova già riunito in Italia senza che sia stato necessario un procedimento di ricongiungimento (5).  

 

 

Conclusioni

Con la decisione in commento il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale ha accolto in parte l’appello riformando, parzialmente, la sentenza appellata.

E’ stato annullato il decreto della questura, con compensazione tra le parti per entrambi i gradi di giudizi, ordinando che la sentenza venga eseguita dall’autorità amministrativa.

Si legge nella motivazione della decisione in oggetto che “Nel caso all’esame la Questura non ha compiuto tale accurata ponderazione della specifica situazione familiare dell’immigrato e del suo inserimento nel contesto socio economico locale, mentre non risulta corrispondente ai fatti la circostanza –affermata nella sentenza appellata- che “ dal ricorso non emergono elementi idonei a controbilanciare il giudizio di pericolosità sociale commesso alla tipologia del reato”.

Della situazione familiare si è detto; quanto alla gravità dell’episodio penale, va precisato che il Tribunale di Parma, tenuto conto del fatto che l’imputato all’epoca del reato aveva anni 19 e del suo ravvedimento operoso ( risarcimento monetario alla parte lesa che nel gennaio 2011 ha rilasciato dichiarazione di non avere alcuna altra pretesa a qualsiasi titolo), nonché delle particolari circostanze in cui si era consumato il delitto (come riportate nel rapporto di Polizia), ha concesso la riduzione di pena prevista dal comma 3 dell’art 609 bis c. p. per i casi di minore gravità, nonché la sospensione condizionale della pena inflitta”.

 

1)     Di nazionalità albanese

2)     A due anni di reclusione

3)     Articolo 3

4)     art. 5, comma 5

5)     http://immigrazione.aduc.it/articolo/rinnovo+permesso+soggiorno+caso+condanne+penali_20851.php

Sentenza collegata

40582-1.pdf 132kB

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Rinaldi Manuela

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