Recentemente l’art. 3 della L. n. 110/2017 ha previsto un sostanziale ampliamento delle condizioni di riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, introducendo l’ipotesi di “fondato timore di essere sottoposti a tortura e di essere soggetti a violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani”.
Alla luce della sentenza Cass. n. 4455/2018
A sua volta la Corte di Cassazione si è pronunciata in materia con la sentenza n. 4455/2018 del 23 febbraio 2018 con cui ha statuito che la protezione umanitaria rappresenta una forma di tutela alternativa nel caso in cui non sussistano i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato e non ci siano gli elementi per invocare la protezione sussidiaria. In buona sostanza i seri motivi di carattere umanitario costituiscono la chiusura del sistema normativo che disciplina la protezione internazionale dello straniero, così come recita l’art. 32, comma 3 del d.lgs. 25/2008 (decreto “procedure”) secondo cui “nei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale” e “ritenga che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario, la Commissione territoriale trasmette gli atti al questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 5, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”. Tali “gravi motivi di carattere umanitario” non vengono tipizzati dalla legge, di conseguenza costituiscono un catalogo aperto (Cass. n. 26566/2013), anche se concernono diritti umanitari fondamentali protetti a livello costituzionale ed internazionale (Cass. sez un., 19393/2009). La situazione giuridica soggettiva dello straniero che richieda il permesso di soggiorno per motivi umanitari, è sorretta dalla garanzia costituzionale di cui agli articoli 2 e 10 Cost., laddove il costituente ha garantito i diritti inviolabili dell’uomo come singolo e negli aggregati sociali ed il diritto all’esercizio delle libertà democratiche.
In conclusione, la situazione giuridica dello straniero che richieda il rilascio di permesso per ragioni umanitarie ha consistenza di diritto soggettivo, da annoverare tra i diritti umani fondamentali e non basta il concretizzarsi di una vita migliore nel Paese di accoglienza, dal punto di vista affettivo- lavorativo- sociale- economico ma è indispensabile una comparazione con il Paese d’origine al fine di valutare l’esistenza di una reale condizione di vulnerabilità volta a negare l’esercizio dei diritti fondamentali inviolabili.
Inoltre, secondo la pronuncia della Cassazione di cui si discute, l’elemento dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero condurrebbe a circostanze di carattere stabile e duraturo, mentre il complessivo regime giuridico proprio delle norme di concessione della tutela per motivi umanitari appare volto alla protezione di fattispecie transitorie ed in divenire, come si evince dall’art. 14, comma quarto, D.P.R. 21/2015 che prevede il rilascio da parte del Questore di un “permesso di soggiorno di durata biennale”, quando la Commissione nazionale, nel caso di revoca o cessazione dello status di protezione internazionale riconosciuto, accerti l’esistenza di “gravi motivi di carattere umanitario”. Proprio in questo si rileva la differenza rispetto agli status di protezione internazionale, alla cui concessione consegue, invece il riconoscimento del diritto al rilascio di un permesso di soggiorno di natura quinquennale, che costituisce titolo insieme ad altri requisiti previsti per legge, per il rilascio di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, possibilità che viene nettamente esclusa per coloro che sono titolari di un permesso umanitario.
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