Secondo l’art. 240 l.f. Dal titolo “Costituzione di parte civile”: «Il curatore, il commissario giudiziale e il commissario liquidatore possono costituirsi parte civile nel procedimento penale per i reati preveduti nel presente titolo, anche contro il fallito.
I creditori possono costituirsi parte civile nel procedimento penale per bancarotta fraudolenta quando manca la costituzione del curatore, del commissario giudiziale o del commissario liquidatore o quando intendono far valere un titolo di azione propria personale».
Anche le disposizioni dell’art. 240 l.f., non essendo perfettamente armoniche rispetto ai principi generali e al contesto processuale di riferimento, determinano una serie di problematiche interpretative di non poco conto.
Venendo al comma 1 dell’articolo citato, una prima questione riguarda il potere del curatore o di una delle altre figure rappresentative della società fallita, di decidere o meno la costituzione di parte civile, tenuto conto anche del fatto che a norma del successivo comma 2 del menzionato articolo, l’esercizio di tale potere preclude la costituzione di parte civile dei creditori della società. Insomma, posto che il curatore e le altre figure assimilate sono certamente pubblici ufficiali e che l’atto di costituzione di parte civile non è certamente privo di conseguenze, né nel processo in cui va ad inserirsi, né rispetto ai creditori della società che, come detto, sono “sostituiti” nell’azione che sarebbe di loro spettanza e titolarità, non sembra possibile immaginare che un potere di tale genere possa essere esercitato in modo ingiustificato. Si deve dunque ritenere che il curatore fallimentare e tutte le figure a questo assimilate, debbano amministrare il potere di costituzione di parte civile secondo i criteri del “buon padre di famiglia”, come è stato chiarito in giurisprudenza1.
Un altro punto problematico è dato dall’espressione “anche contro il fallito“ del comma 1 dell’art. 240 l.f., come riferimento della costituzione di parte civile avvenuta ad opera del curatore o delle altre figure a questo assimilate.
Ebbene, non si comprende allora se la costituzione di parte civile menzionata nella disposizione citata possa avvenire anche contro soggetti diversi dal fallito e persino indipendentemente da questo. E così dovrebbero sussistere procedimenti per reati fallimentari contro soggetti diversi dal fallito nei cui confronti potrebbe avvenire la costituzione di parte civile, a prescindere dal fatto che analoga costituzione sia avvenuta nei confronti del fallito.
La situazione è certamente anomala o quanto meno “residuale”, posto che è davvero singolare che un procedimento per reati fallimentari possa prescindere dal fallito che, in effetti, essendo il soggetto protagonista di tali reati, non può essere normalmente estraneo al procedimento per l’accertamento degli stessi.
Del tutto cervellotica poi risulterebbe una costituzione di parte civile nei confronti dei concorrenti “esterni” nei reati del fallito, in assenza di analoga costituzione nei confronti di quest’ultimo. Insomma, in presenza di danni derivanti da reati commessi dal fallito e da altri in concorso con questo, non si comprende come sia immaginabile e possibile, senza che per ciò stesso si determinino ingiustificate discriminazioni o altre distorsioni, che in un procedimento penale avente ad oggetto un unico fatto reato che abbia determinato un danno, la pretesa risarcitoria sia esercitabile solo nei confronti di coloro che dall’esterno, senza cioè rivestire la qualifica propria di autore del reato, hanno cooperato alla commissione dello stesso e non nei confronti di colui che invece secondo lo standard normativo ne risulta l’autore tipico.
Tenuto conto del disposto già considerato del comma 1, il comma 2 dell’art. 240 l.f., da un lato, per così dire, completa il dettato del comma precedente, stabilendo, appunto, come detto, che i creditori possono esercitare la loro azione risarcitoria costituendosi parte civile solo se non si siano già costituiti il curatore e gli altri soggetti indicati, da un altro lato, invece, aggiunge alcune precisazioni che meritano uno specifico esame.
Sotto un primo aspetto, è, infatti previsto nel citato comma 2 dell’art. 240 l.f. che la preclusione alla costituzione di parte civile quando tale atto sia stato compiuto dagli organi preposti della procedura fallimentare (curatore e altri soggetti assimilati) opera soltanto nel “procedimento penale per bancarotta fraudolenta“2; il che significa che nei procedimenti aventi ad oggetto reati fallimentari diversi da quelli di bancarotta fraudolenta, è ben possibile il concorso dell’azione civile risarcitoria esercitata dal curatore o dagli altri soggetti assimilati e dai creditori della società fallita.
Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che: «la previsione secondo la quale la costituzione di parte civile dei singoli creditori è possibile soltanto se non si sia costituito il curatore (nel fallimento), il commissario giudiziale (nel concordato preventivo e nell’amministrazione controllata) o il commissario liquidatore (nella liquidazione coatta amministrativa), concerne esclusivamente il reato di bancarotta fraudolenta commesso dallo imprenditore commerciale dichiarato fallito o sottoposto alle altre procedure concorsuali. Ne consegue che, qualora si proceda per alcuno dei reati commessi da persona diversa dal fallito, secondo la descrizione contenuta nelle disposizioni di cui alla L. Fall. capo 2^ del titolo 6^, la suddetta limitazione non opera»3. C’è poi da dire che le espresse previsioni normative definiscono come “bancarotta fraudolenta“ soltanto i fatti indicati nell’art. 216 l.f.; ne consegue che in tutti i procedimenti per i reati di cui agli artt. 217 e ss., compresi persino per quelli concernenti i fatti di bancarotta soltanto “semplice“ ex art. 217 l.f., i creditori danneggiati dal reato potrebbero autonomamente e liberamente costituirsi parte civile.
Sul punto la giurisprudenza ha appunto chiarito che: «la costituzione di parte civile dei singoli creditori è preclusa, ai sensi del r.d. n. 267 del 1942, art. 240, soltanto in relazione al reato di bancarotta fraudolenta, quando vi sia la costituzione del curatore»4.
Sul piano sistematico, tenuto anche conto delle soluzioni prospettate dalla prassi giudiziaria, risulta così alquanto sconcertante la privazione dei creditori danneggiati dal reato, della legittimazione ad esercitare la loro azione risarcitoria nel solo processo penale per il reato di bancarotta fraudolenta, che se, da un lato è certamente la fattispecie criminosa più grave tra i reati fallimentari, tuttavia, sul piano delle conseguenze civilistiche del reato ed in particolare con riferimento al danno prodotto dall’illecito, non necessariamente comporta anche il più intenso livello di effetti civilistici. Infatti, questo tipo di eventi dipende da dinamiche molto diverse e indipendenti dalle tematiche prettamente penalistiche della colpevolezza che se giustificano l’aggravamento della sanzione penale nei confronti dell’autore del reato, non hanno nulla a che vedere con gli effetti oggettivi dell’azione criminosa.
E dunque, solo per citare un esempio, sarebbe ben possibile che una condotta soltanto imprudente che avesse determinato il dissesto di una società, imputabile, a livello penale, solo a titolo di bancarotta “semplice”, tuttavia potrebbe aver determinato un danno enorme nei confronti dei creditori i quali sarebbero, in questo caso, legittimati a costituirsi autonomamente parte civile; se invece lo stesso danno fosse stato determinato da una condotta solo soggettivamente più grave imputabile a titolo di bancarotta fraudolenta, allora, irragionevolmente e incredibilmente, i creditori perderebbero il loro diritto ad intervenire direttamente nel processo per la tutela delle loro pretese risarcitorie.
Permangono dunque serie perplessità di ordine costituzionale non solo rispetto all’art. 3 Cost. (principio di ragionevolezza e di uguaglianza).
Nell’ultima parte del comma 2 dell’art. 240 l.f. è precisato che in ogni caso i creditori della società non perdono la legittimazione a costituirsi parte civile nel processo penale per reati fallimentari, quando debbano far valere un “titolo di azione propria personale“.
La precisazione è superflua se si riferisce, come sembrerebbe, alla lesione di diritti personali del creditore, come, ad esempio il diritto all’onore o alla reputazione commerciale, oppure a diritti che non derivano direttamente dai rapporti commerciali o comunque imprenditoriali intrattenuti con la società fallita, come ad esempio, il diritto alla restituzione di beni affidati a titolo di comodato personale al soggetto risultato in seguito fallito.
A livello di considerazioni di carattere generale sul combinato disposto di entrambi i commi dell’art. 240 l.f., si può osservare che tutte le distinzioni e suddivisioni tra curatore e altri soggetti a questo assimilati e i creditori danneggiati dal reato, creano in ogni caso confusioni e problemi interpretativi.
Nel caso specifico dei reati fallimentari, inoltre, le figure di offeso e di danneggiato dal reato coincidono (considerato che l’oggetto giuridico dei reati fallimentari è la tutela del ceto creditorio; il che appunto significa che il creditore, in quanto tale, è al tempo stesso offeso e danneggiato dal reato).
Quindi sarebbe ragionevole prevedere un’ideale gradualità di interventi dell’offeso, in fase di indagini preliminari, diretti prevalentemente al controllo dei tempi e degli esiti della fase (attraverso il diritto di interloquire sulle proroghe dei termini per le indagini preliminari e di opporsi alla richiesta di archiviazione ex art. 410 c.p.p., qualora ne abbia fatto espressa richiesta nell’atto di denuncia o querela o successivamente) e in fase processuale vera e propria, quale “danneggiato” con tutti i poteri di parte processuale, per ottenere il pieno risarcimento dei danni subiti, restano oscure alcune questioni: come, ad esempio, possa “personalmente” agire, in fase di indagini preliminari, il curatore o un altro dei soggetti a questo assimilati, che avesse l’intenzione di costituirsi in seguito parte civile, una volta che si fosse passati alla fase del processo in senso proprio e che quindi avesse l’interesse a fare in modo che la vicenda processuale giunga appunto a tale fase avanzata.
Nè, viceversa, si comprende perchè il creditore, nella veste di offeso dal reato, possa esercitare nella fase di indagini preliminari tutti i poteri di impulso che la legge gli riconosce per giungere alla fase processuale in senso proprio, e poi, invece, quando si giunga a tale momento, debba irragionevolmemte perdere ogni potere di iniziativa, peraltro proprio nel momento processuale più delicato concernente la possibilitá di ottenere il risarcimento dei danni subiti, quando e solo perchè un curatore, magari totalmente disinteressato e inerte abbia deciso, per mere ragioni, per così dire, “burocratiche”, di costituirsi parte civile, estromettendo tutti i creditori danneggiati ed anzi sostituendosi processualmente ad essi.
Non c’è dubbio che simili ed altre situazioni del genere, legate alle non lineari previsioni normative, neppure armonizzate rispetto al contesto processuale attuale, completamente diverso da quello vigente al momento della loro introduzione, susciti continuamente problematiche interpretative e applicative spesso complesse, rispetto alle quali la prassi giurisprudenziale non sempre ha prospettato soluzioni soddisfacenti o chiare.
1 Cfr. Cass., Sez. VI, 4.11.2009, n. 5447, in CED Cass., n. 23418.
2 In tal senso, cfr. Cass., Sez. VI, 4.11.2009, n. 5447, cit.
3 Cass., Sez. V, 14.10.1987, n. 1727, in CED Cass., n. 177556
4 Cass., Sez. VI, 4.11.2009, n. 5447, cit.
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