Pignoramenti tributari: il cittadino non può difendersi in toto

Tante sono le procedure di espropriazione forzata nei confronti dei contribuenti morosi che la nuova Agenzia delle Entrate/Riscossione (detta AGER) dovrà proseguire in sostituzione della ormai ex Equitalia entrato in vigore il D.L. 193/2016.

Seppure la riforma sulla riscossione pubblica sembra, da una parte, aver accelerato le procedure e potenziato gli strumenti di pignorabilità, dall’altra parte, rimangono e permangono seri dubbi di interpretazione giuridica oltreché di chiarezza e giustezza delle norme disciplinanti la materia(contenute nel DPR 602/73) soprattutto avuto riguardo delle concrete possibilità di difesa del cittadino.

Si abbia presente che l’art. 57, co. 1, DPR 602/73 prescrive Non sono ammesse: a) le opposizioni regolate dall’articolo 615 del codice di procedura civile, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni; b) le opposizioni regolate dall’articolo 617 del codice di procedura civile relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo”.

 

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La suddetta norma si palesa radicalmente incostituzionale atteso che il cittadino/esecutato subisce una ingiustificata (in termini di logica giuridica) limitazione rispetto al diritto sacrosanto di ottenere una tutela giurisdizionale tipica in ordine alla cognizione vera e propria della sua posizione debitoria o meno.

Atteso il tenore della norma speciale in esame occorre riflettere davvero su quale sia (nell’ordinamento italiano vigente) lo strumento sostitutivo tributario dell’opposizione all’esecuzione prevista dall’art. 615 cpc laddove il cittadino contesti espressamente il diritto della Pubblica Amministrazione (come parte pretendente del credito fiscale).

La detta norma, quindi, si radica e pone in assoluto contrasto innanzitutto con gli artt. 3, 24 e 111 della Cost. anche in via derivata per una semplicissima ragione di natura temporale atteso che l’ultima modifica dell’art. 57 DPR 602/73 risale al 1999 allorquando il Governo dell’epoca, con il D.Lgs. del 26 febbraio n. 46, riformò la riscossione pubblica tramite “ruolo” una volta ottenuta la delega del Parlamento (art. 1 della legge n. 337/1998). Successivamente, lo stesso Parlamento, questa volta chiamato alla revisione della Carta fondamentale, tramite la legge costituzionale n. 2 del 23 novembre 1999, introdusse i principi di “Giusto Processo” di cui all’art. 111 Cost.

Che non si trascuri, quindi, in tale ragionamento che la norma speciale in questione, cioè il DPR 602/1973 come modificato dal D.Lgs. 46/99, sarebbe affetta da incostituzionalità derivata e successiva atteso che la legge (di integrazione e modifica costituzionale) n. 2/1999 è intervenuta nel sistema giuridico posteriormente consacrando il cosiddetto “Giusto Processo”.

Orbene, oggettivamente la successione delle due leggi nel tempo (il D.lgs. 46/99 e la legge Cost. 2/99), di rango e fonte giuridica naturalmente diversi, devono far pensare e ritenere che nel sistema giuridico italiano si sia creato e generato un vero e proprio cortocircuito di difesa in materia espropriativa tributaria se non altro per alcune questioni di vitale importanza per la posizione soggettiva del contribuente esecutato.

Per arrivare a tale conclusione, però, occorre spostarsi su un altro profilo di analisi e partendo da una riflessione che deve aver inizio considerando il recentissimo orientamento nomofilattico della Corte di Cassazione a SS.UU. tramite la sentenza n. 13913/2017, la quale ha illuminato la strada, sin’ora impervia e piena di buche giuridiche, del predetto sistema normativo (e si ricordi che la Suprema Corte ha il mero compito di interpretare ed applicare le norme tenuto conto del diritto vigente cercando, al contempo, di assicurarne omogeneità).

Tuttavia, l’intervento nomofilattico di cui sopra è sembrato una vera e propria bacchettata al legislatore affinché prendesse contezza dell’assurdità sistemico-giurdica nella quale vive il contribuente italiano.

La sentenza in questione, in sostanza, traccia una via più adeguata da percorre per il cittadino esecutato allorquando voglia difendersi dalla pretesa erariale.

In particolare la Cassazione individua il discrimine tra giurisdizione tributaria ed ordinaria nel caso in cui ci si debba opporre all’atto di pignoramento di cui alla norma speciale DPR 602/73.

Per la Suprema Corte l’esecutato (cittadino):

  • deve adire la CTP competente se contesta l’inesistenza o l’illegittimità dei titoli esecutivi (riguardanti ad esempio la notificazione della cartella di pagamento) quali atti prodromici all’espropriazione ex art. 49 e ciò in ragione del combinato disposto ex artt. 2 e 19, co. 3, D.Lgs. 546/92 ed art. 57, co. 1 lett. b), DPR 602/73;
  • deve adire il Tribunale Ordinario (cioè il G.E.) allorquando sollevi altro tipo di contestazioni che interessino l’atto di pignoramento nella sua forma essenziale od altri atti dell’esecuzione impugnabili ex art. 617 c.p.c.

Ciò detto, rimarrebbe oggettivamente preclusa ogni azione riguardante l’azione tipica di cui all’art. 615 c.p.c. e cioè relativa all’accertamento del diritto a procedere all’esecuzione forzata (che è cosa diversa dall’accertamento della sussistenza ed esistenza del debito tributario).

Con le limitazioni previste dall’art. 57 DPR 602/73 non sarebbe consentito difendersi innanzi a qualsivoglia Autorità Giudiziaria (una volta per tutte e per sempre) in merito all’accertamento dell’esistenza del diritto di parte esecutante (cioè l’ADR di turno) all’azione espropriativo-esecutiva (implicando con ciò notevoli preclusioni anche in ordine all’interesse ad agire, alla legittimazione, ecc.).

Il cittadino-contribuente, stando a quanto afferma la recente Cassazione, una volta ricevuto il pignoramento da parte della Agenzia delle Entrate Riscossione, per tutelarsi da ogni singolo fatto dell’esecuzione tributaria dovrebbe esperire, comunque, una serie di azioni giudiziarie ai fini:

  • dell’accertamento reale di un eventuale debito tributario la cui competenza è esclusiva del Giudice Tributario (ex art. 2 D.lgs. 546/92);
  • dell’esistenza degli atti prodromici realmente posti in essere nei confronti del soggetto passivo d’imposta (ex art. 19, co. 3, D.Lgs. 546/92);
  • dell’accertamento delle illegittimità di tutto quanto afferente alla qualità e formalità dell’atto di pignoramento posto in essere ex artt. 49, 72, 72 bis DPR 602/73 (ricordandosi, tra l’altro, che i pignoramenti ex art. 72 e 72 bis hanno anche effetto di assegnazione delle somme con tutte le preclusioni in ordine di opposizione tardiva del cpc – Cassaz. n. 4801/2017 e 2857/2015) esulando ciò dalle limitazioni previste dall’art. 57, co. 1 lett.b), DPR 602/73 riguardanti il titolo esecutivo (ex art. 617 c.p.c.);
  • dell’accertamento effettivo del diritto della parte esecutante (ex Equitalia per intenderci) a riscuotere le somme tributarie ex art. 615 cpc pur con le limitazioni dell’art. 57, co. 1 lett. a), DPR 602/73 (e, quindi, già tenendo conto certa inammissibilità dell’azione seppure doverosa ed obbligatoria nell’architettura difensiva complessiva).

Fatta tale premessa, il cittadino esecutato si troverebbe innanzi ad una scelta obbligata: adire contestualmente e contemporaneamente due Autorità  Giudiziarie senza poter fare a meno l’una dell’altra in una sorta di regime pregiudiziale sopravvenuto.

Scelta incredibilmente ed apparentemente illogica sapendo che la pregiudizialità ammnistrativo-tributaria è venuta meno già da tanti anni nell’ordinamento italiano.

Assurdamente il cittadino che riceve un pignoramento tributario sarebbe tenuto a proporre (per ragioni logico-giuridiche) opposizione innanzi il Tribunale ordinario per far accertare l’illegittimità dell’atto di pignoramento a prescindere dalla regolarità formale e dalla notificazione degli atti prodromici che, invece, spetta alla Giurisdizione Tributaria tramite cosiddetto “ricorso al buio”.

Ciò perché l’art. 19, c. 3, D.Lgs. 546/92 prescrive precisamente che  Gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili autonomamente. Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”.

Sulla scorta delle considerazioni illustrate, pur ritenendosi azioni diverse con oggetto di accertamento differente (opposizione ordinaria e tributaria), è pur vero anche che il cittadino non può vedersi aggravata la sua qualità e la sua posizione legittima in termini di parità nei confronti della P.A. dovendo sobbarcarsi due costi giudiziari e quindi due processi per lo stesso fatto, lo stesso atto e la stessa pretesa. In questo si evidenzia una grande lacuna di sistema perché in tal maniera si pongono le due parti (pubblico e privato) su piani di tutela diversi ove l’uno risulta più protetto dell’altro in patente violazione dell’art. 97 Cost. e non solo. Velatamente si risconterebbe una violazione del principio del “ne bis in idem” e ciò contrasterebbe con i principi consolidati del diritto EuroUnitario che non  vanno trascurati in tal contesto.

Il cittadino deve ed ha diritto Costituzionalmente tutelato a difendersi con mezzi tipici rispetto alle pretese (ritenute ingiuste) della P.A. anche tenuto conto della tutela umanitaria che viene garantita in materia dalla CEDU  – Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo – tramite l’art. 6 per l’Equo processo e dall’art. 1 del protocollo addizionale di Parigi del 1952 il quale prevede che Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni”.

In ragione di ciò va considerato che il tributo per umana relazione è:

  • un bene sociale diretto apportato pubblicamente dal cittadino per il benessere proprio e della collettività;
  • un bene personale che consacra il rapporto di fedeltà Cittadino-Stato e rappresenta la effettiva compartecipazione contributiva;
  • è un bene che proviene direttamente dallo sforzo lavorativo dell’individuo nella sua dimensione umana ed in ragione delle sue capacità esistenziali (ecco perché l’U.E. utilizza il termine “rispetto”).

Se quanto su esposto risulta condivisibile in linea di principio, va anche tenuto conto, proprio per ricollegarsi alla disarmonia di sistema illustrato, che il contribuente deve (per potersi effettivamente difendere da ogni aspetto di illegittimità della relativa pretesa tributaria) ragionare nell’ottica di una previsione d’esito processuale che, anche sotto il profilo della tempistica, risulta assurda ed irragionevole.

Praticamente, nell’ipotesi di un pignoramento basato su una pretesa tributaria di cui mai il contribuente è stato posto a conoscenza legalmente, si dovrà:

  • proporre, comunque, opposizione ex art. 617 cpc per non vedersi maturare i termini preclusivi dei 20 gg dal momento di conoscenza del pignoramento;
  • successivamente, proporre ricorso ex art. 19, co. 3, D.lgs. 546/92 in Commissione Tributaria per quanto concerne la regolarità formale e notificatoria dei titoli presupposti all’espropriazione esecutiva (i quali ultimi, attenzione, non vanno confusi con quanto previsto ai fini dell’inizio dell’espropriazione tributaria ex art. 49 DPR 602/72 attesa la differenza strutturale e nativa tra ruolo formato, ruolo sottoscritto, ruolo esecutivo, cartella di pagamento e titolo esecutivo nella sua accezione civilistica).

Sicché, per assurdo, ci si ritrova a dover fare i conti con un ritorno giuridico della c.d. pregiudiziale, seppure in forma sopravvenuta, di natura esclusivamente processuale, che non riguarda il merito perché (leggendo attentamente il testo motivazionale della sentenza di Cassazione a SS.UU. summenzionata) il cittadino-esecutato dovrà attendere la decisione della CTP di turno, adenda successivamente rispetto al Giudice dell’esecuzione, poiché il termine di impugnazione è di 60gg.

Logicamente risulta davvero complicato ed arduo il compito dei Giudicanti in quanto quest’ultimi:

  • dovranno, ai fini dell’art. 617 cpc, procedere all’esame delle eccezioni ed all’accertamento delle illegittimità dell’atto di pignoramento in sé pur dovendo attendere il giudizio di competenza della Commissione Tributaria (se adita in ragione delle relative contestazioni) per poter emettere una sentenza completa dal punto di vista motivazionale atteso il tenore dell’art. 111, co. 6, Cost.;
  • dovranno, ai fini dell’art. 615 cpc, sospendere obbligatoriamente i processi esecutivi (ove proposta opposizione in tale direzione) per l’evidente incostituzionalità della norma ex art. 57, co. 1 lett. a), DPR 602/73 nella parte in cui non consente l’azione tipica per far sì che il cittadino esecutato possa contestare il diritto a procedere all’esecuzione forzata in materia tributaria;
  • dovranno sospendere i processi per pregiudizialità oggettiva ex art. 295 cpc (solo in presenza di espressa contestazione, eccezione e richiesta da parte del cittadino ricorrente) atteso che per accertare l’insistenza del diritto di cui all’art. 615 cpc occorre che preliminarmente si possa esprimere la Commissione Tributaria in ordine all’esistenza giuridica effettiva dei titoli presupposti e prodromici necessari all’esecuzione ex art. 49 DPR 602/73 considerato, tra l’altro, che solo il ruolo portato a conoscenza nelle forme di legge costituisce titolo esecutivo.

In conclusione si crede che il vigente art. 57 del DPR 602/73 sia illegittimo costituzionalmente poiché, quale norma speciale in materia tributaria, non consente al cittadino esecutato di difendersi con mezzo tipico processuale ex art. 615 cpc dalle pretese erariali rispetto all’eventuale diritto sotteso (atteso che per altro tipo di pretesa come quella previdenziale tale limitazione non pare esistere) e non consente altresì di adire un’unica Autorità Giudiziaria per esclusiva competenza.

I profili di incostituzionalità pertanto si ravvedono rispetto ad:

  • 3 Cost. – parità ed eguaglianza dei cittadini innanzi alla legge;
  • 10 Cost. – conformazione dell’ordinamento italiano a quello internazionale;
  • 24 Cost. – diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento e processo;
  • 97 Cost. – imparzialità della P.A. e principio di economicità della giustizia (intesa come apparato amministrativo) ;
  • 111 Cost. – Giusto processo e motivazione puntuale dei provvedimenti giurisdizionali;
  • 117 Cost. – potestà legislativa in conformità con gli obblighi comunitari.

Mentre le violazioni di natura comunitaria si riscontrano relativamente ad:

  • 6 CEDU – equo processo;
  • 1 del protocollo addizionale CEDU siglato a Parigi nel 1952 in ordine al rispetto dei beni della persona.

 

Lì, 31.07.2017.

Angelo Lucarella

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