La regola che impone di radicare il pignoramento presso il luogo di residenza del debitore consente di concentrare più esecuzioni in un unico foro (c.d. simultaneus processus), evitando di notificare diversi atti di precetto, allorché vi siano più terzi chiamati a rendere la dichiarazione (D’Alessandro).
Ciò consente di deflazionare anche il contenzioso civile, perché con il vecchio criterio il debitore avrebbe dovuto esperire tante opposizioni quanti erano i fori di residenza dei terzi.
Con il nuovo criterio, inoltre, dovrebbe consentirsi al debitore di rendersi meglio conto dell’ammontare delle pretese del creditore, anche al fine di chiedere la riduzione del pignoramento, ai sensi dell’art. 546 c.p.c. (Sassano).
Ci si può chiedere cosa fare nel caso in cui il debitore risieda all’estero.
Questo profilo, a parere di molti pratici del diritto, costituisce il vero tallone di Achille della novella legislativa.
A questo proposito, possono sostenersi almeno quattro teorie: i) il giudice italiano è incompetente per territorio; ii) come proposto dalle Istruzioni operative del Tribunale di Forlì, si applica l’art. 32, comma 2, Convenzione di Le modifiche del d.l. n. 132/2014 225 Bruxelles del 27 settembre 1968, ratificata dall’Italia con l. 21 giugno 1971, n. 804, a mente del quale la competenza spetta al giudice del luogo dell’esecuzione, ossia di residenza del terzo; iii) il modo di localizzare il foro competente per l’esecuzione è il luogo ove l’obbligazione è sorta o deve eseguirsi, a mente di quanto disposto da Cass. civ., 5 novembre 1981, n. 5827 (Sassano); iv) si possono applicare analogicamente le norme che regolano la competenza del processo civile di cognizione, ossia gli artt. 2 ss. del regolamento comunitario n. 44 del 2001 (D’Alessandro).
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Occorre capire, in altre parole, se l’art. 26-bis sia solo una norma sulla competenza territoriale, oppure anche una norma sulla giurisdizione.
Se si declina la competenza del giudice italiano sulla base del criterio del foro del debitore, lo si utilizza come una norma di diritto internazionale privato, ossia per dirimere un problema di giurisdizione.
Se invece si ritiene che il legislatore italiano abbia inteso gli artt. 26 e 26-bis solo come norme sulla competenza e non sulla giurisdizione, in ciò confortati dalla Relazione al decreto legge, allora si deve concludere, come pure si è fatto (D’Alessandro) che la novella legislativa non ha inteso minimamente modificare le regole che determinano la competenza della giurisdizione esecutiva.
Naturalmente, i pratici del diritto sono portati a cercare un criterio di collegamento per radicare l’esecuzione in Italia, dunque privilegiano la lettura che ritiene le dette norme come determinative della competenza territoriale e non della competenza giurisdizionale.
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