Pignoramento presso terzi: la falsa dichiarazione ex art. 547 cpc.

L’art. 2740 CC dispone che il debitore risponde esclusivamente con i propri beni presenti e futuri. Tale norma configura lo stato di assoggettamento del patrimonio del debitore medesimo al potere del creditore, il quale ha la possibilità, ex art. 2910 CC, di conseguire quanto gli è dovuto attraverso la espropriazione dei beni del primo, secondo le regole stabilite dal Codice di Procedura Civile. Tra queste vanno in particolare ricordate quelle che stabiliscono limitazioni all’esercizio del potere espropriativo, le quali sono espressamente stabilite dalla legge e per questo insuscettibili di applicazione analogica.

Si pensi, ad esempio, alle cose assolutamente impignorabili, di cui all’art. 514 c.p.c., ed ai vincoli di destinazione delle stesse (es. fondo patrimoniale).

La regola è, dunque, quella, di un generale potere del creditore di soddisfarsi sui beni del proprio debitore attraverso le forme dell’esecuzione forzata mobiliare, immobiliare, presso terzi.

Quest’ultima è uno dei mezzi più usati dal creditore, allorché il proprio debitore possa vantare la titolarità di cespiti per svolgere un rapporto di lavoro retribuito o per essere creditore a sua volta di altro soggetto (terzo) per i più disparati motivi: questi possono individuarsi, ad esempio, nel credito , di cui il debitore  stesso è titolare, derivante da un deposito a risparmio o da conto corrente bancario o postale, da una fattura per lavori o prestazioni effettuate a favore del  proprio committente o da una quietanza da presentare ad una compagnia assicurativa per la liquidazione di un danno personale, dai canoni di locazione da riscuotere alle singole scadenze da parte del conduttore al quale sia locato un proprio bene immobile, ecc..

La recente novella del codice di rito, attuata con la legge del 10/11/2014 n° 162, preceduta da altre misure previste dalla L.24/12/2012 n. 228, ha apportato importanti modifiche al procedimento esecutivo, con particolare riguardo alla espropriazione presso terzi allo scopo di meglio razionalizzarne lo svolgimento e nel tentativo di fornire maggiori garanzie per una più spedita soddisfazione del credito.

In tale direzione si muovono alcune misure introdotte dalle richiamate novità normative, quale quella di radicare la competenza presso il Giudice del luogo ove si trova il credito, quella di rendere più facile la dichiarazione di terzo ex art. 547 cpc, mediante una raccomandata o pec al creditore procedente in tutti i casi di esistenza presso il terzo di un credito del proprio debitore, compreso quello relativo agli emolumenti afferenti un rapporto di lavoro, quella di accelerare la fase di accertamento del credito in caso di mancata dichiarazione del terzo (art. 548 CC) o laddove intorno alla dichiarazione  stessa sorgano contestazioni(art. 549 c.p.c.) .

Ed invero, il generale obbligo di procedere ad un giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, con necessaria sospensione del processo esecutivo fino alla sentenza  con efficacia di giudicato, così come previsto nella precedente disciplina, non aveva fatto altro che determinare lungaggini processuali, con un effetto di allungare di molto la realizzazione del credito. Inconveniente cui il legislatore ha cercato di porre rimedio, con le citate disposizioni normative, che svolgono contemporaneamente anche una funzione deflattiva del processo, laddove si consideri il meccanismo previsto negli artt. 548 e 549 c.p.c., che, a questo punto occorre esaminare. Senza prima, però, aver detto che il pignoramento presso terzi, secondo un principio più volte espresso dalla Corte Regolatrice (v. Cass. 1149/2009, Cass. 5529/2011, Cass. 4380/2015) costituisce una fattispecie complessa ovvero a formazione progressiva, per il cui perfezionamento non è sufficiente (rectius: era sufficiente in base alla precedente disciplina) la sola notificazione dell’atto introduttivo, occorrendo anche la dichiarazione positiva non contesta del terzo o la sentenza emessa all’esito dello svolgimento del giudizio di accertamento ex art. 548 c.p.c.: sentenza, invero, idonea ad acquistare autorità di giudicato tra le parti del rapporto avente ad oggetto il credito del debitore esecutato (v. in tal senso Cass. S.U. 18/02/2014 n° 3773).

Il pignoramento presso terzi è caratterizzato, per così dire, da un percorso processuale che si evolve per specificazione, ossia nasce con la notifica dell’atto di espropriazione e termina con la dichiarazione di terzo o con la sentenza emessa all’esito del giudizio di accertamento ex art. 548 c.p.c..

Ciò comporta, secondo i principi tratti dalla giurisprudenza di legittimità (v. es. Cass. 23/04/2003 n° 6449; Cass. 26/08/2005 n° 15615; Cass. 19/10/2015 n° 21081), che l’esistenza del credito pignorato deve essere vantata non con riferimento al momento della notifica del pignoramento, ma avendo riguardo all’epoca della dichiarazione positiva del terzo o all’accertamento giudiziale ex art. 549 c.p.c..

In questo senso, ad esempio, se sono state pignorate tutte le somme esistenti presso un conto corrente bancario aperto dal debitore, nel caso in cui vengano depositati denari dopo la notifica del pignoramento ma prima della dichiarazione di terzo, tali importi restano vincolati e soggetti al pignoramento. Tanto si desume dall’art. 547 I° comma c.p.c. secondo cui il terzo, all’esito della notifica dell’atto di pignoramento e con dichiarazione resa tramite raccomandata o pec “deve specificare di quali cose e di quali somme è debitore o si trova in possesso” così dando rilievo al momento della dichiarazione stessa e non a quello dell’atto di pignoramento.

Ciò posto, e ritornando alla disamina degli artt. 547, 548 e 549 c.p.c., sulla base della importante modifica legislativa operata con le citate leggi 162/2014 e 228/2012, il meccanismo di accertamento del credito presso terzi, da sottoporre ad espropriazione , è profondamente mutato per le dedotte ragioni di economia e di celerità processuale, idonee a garantire una più spedita tutela dei diritti del creditore, pur rimanendone immutate le caratteristiche di procedimento a formazione progressiva. Un procedimento  che si conclude con la dichiarazione positiva alla quale è equiparabile la mancata dichiarazione secondo il paradigma dell’art. 548 cpc ed, in caso di dichiarazione contestata ,attraverso l’ordinanza prevista dall’art. 549 c.p.c. che risolve le questioni relative.

A differenza però della sentenza nel precedente sistema, gli effetti della ordinanza de qua, rimangono confinati ai fini del procedimento in corso e della esecuzione forzata del provvedimento di assegnazione: in altro senso, la verifica deformalizzata introdotta dalla novella del 2012, spiega, per espressa disposizione, esclusivamente effetti endoesecutivi (v., in questo senso, ex multis Tribunale di Latina 26/04/2014; Tribunale di Milano 03/03/2015, Corte di Appello de L’Aquila 04/06/2015 in Red. Giuffrè De Jure 2014/2015).

Punto nodale del complesso procedimento in discussione è, dunque, la dichiarazione di terzo che segna in un certo senso i limiti della espropriazione presso terzi condizionandone il successo.

Nulla quaestio, quando la dichiarazione di terzo ex art. 547 c.p.c. sia positiva: infatti essa è assimilabile alla confessione e costituisce un riconoscimento avente la valenza di un accertamento costitutivo.

Nel caso di omessa dichiarazione, l’accertamento della esistenza del credito è subordinata alla effettuazione di un duplice incombente (previsto dall’art. 548 I° co. c.p.c.).

Nell’ipotesi in cui il creditore procedente dichiari di non aver avuto la dichiarazione del terzo, il Giudice fissa una udienza successiva con ordinanza che deve essere notificata al terzo, almeno 10 giorni prima. Se quest’ultimo non compare alla nuova udienza o, comparendo, si rifiuti di fare la dichiarazione, il credito pignorato ed il possesso del bene di appartenenza del debitore, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione forzata del provvedimento di assegnazione.

E ciò (N.B.) soltanto (in ossequio, per quanto specificato nel DL 83/2015) se l’allegazione del creditore consente l’identificazione del credito o dei beni di appartenenza del debitore ed in possesso del terzo.

È questa la parte più importante del procedimento de quo, che ha innovato il precedente quadro normativo attraverso la previsione di una fictio iuris rappresentata dal fatto costitutivo dell’accertamento dell’esistenza del credito  derivante da una condotta omissiva, del tutto antigiuridica nel procedimento in questione.

Pur non essendo parte processuale, sul terzo pignorato gravano doveri di collaborazione a favore del creditore procedente idonei, in caso di violazione, a fondare ipotesi di responsabilità aquiliana, in capo al terzo, che infra tratteremo  e su cui è intervenuta la Corte Regolatrice con la sentenza in commento (5037/2017).

A tal riguardo, del tutto innovativa, in particolare, appare la previsione di far decidere allo stesso Giudice dell’Esecuzione, con ordinanza, in una prospettiva di celerità ed economia processuale, tutte le contestazioni sulla dichiarazione forzata del terzo e quelle relative alla possibilità della esatta identificazione del credito o dei beni in possesso del terzo medesimo.

Il modello di riferimento può essere rappresentato dall’art.512 cpc  che , per l’appunto, demanda al giudice della esecuzione il compito di dirimere eventuali controversie che sorgono in sede di distribuzione , provvedendo con ordinanza, impugnabile con la opposizione agli atti esecutivi, previo espletamento degli accertamenti ritenuti necessari-

Nell’attuale disciplina di cui all’art. 549 c.p.c., dunque, non è più prevista l’instaurazione di un autonomo giudizio a cognizione ordinaria per l’accertamento dell’obbligo del terzo che sarà affermato, in simmetria, come già accennato, con l’art. 512 c.p.c. sulla base di necessari mezzi istruttori che il Giudice ritenga all’uopo utili per  dirimere la controversia, senza essere limitato dalle richieste probatorie delle parti.

Ed, invero, il potere inquisitorio direttamente utilizzabile dal  Giudice della Esecuzione, quale quello deputato a dirimere le contestazioni sulla dichiarazione di terzo ,  è ricavabile sulla base dell’art. 185 disp. att. C.p.c., secondo il quale nelle udienze di comparizione delle parti davanti il GE si applicano le norme sui procedimenti in Camera di Consiglio e, tra queste, l’art. 738 c.p.c. che prevede la facoltà del Giudice stesso di chiedere informazioni. Trattasi di un potere ampio, esercitabile anche oltre i limiti della assunzione delle informazioni (v. Cass. 3180/1982) con conseguente deroga alle regole generali sull’onere della prova (Cass. 6087/1996).

Può accadere, e spesso accade nella pratica forense, che il terzo pignorato renda invece una dichiarazione elusiva, reticente o ingannevole, tale da allontanare nel tempo la realizzazione del credito fatto valere nel procedimento esecutivo.

A fronte della evidenza di una dichiarazione reticente che abbia potuto favorire il debitore, arrecando pregiudizio al creditore istante, a carico del terzo sussiste non una responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c. (dato che egli al momento di quella dichiarazione non ha ancora la qualità di parte) ma una responsabilità per illecito aquiliano, ex art. 2043 CC, in relazione alla lesione del credito altrui per il ritardo nel conseguimento del soddisfacimento provocato con quel comportamento doloso o colposo, avendo violato il dovere di collaborazione nell’interesse della giustizia quale ausiliario del Giudice.

Dunque, quando il terzo si sottragga a tale dovere di collaborazione nell’interesse della giustizia , attraverso una condotta artatamente reticente ed elusiva,  che allontani nel tempo la definizione del procedimento esecutivo rendendo indispensabile la spendita di una ulteriore attività processuale a carattere incidentale e cognitivo, e quando questo ritardo sia direttamente foriero di un consequenziale pregiudizio aggiuntivo per il creditore esecutante, ricorrono i presupposti in presenza dei quali è dato al Giudice di merito di applicare i principi sulla lesione del diritto di credito da parte del terzo.

Tali, per l’appunto, i principi affermati dalla recente decisione della Corte Regolatrice 28/02/2017 n. 5037, in continuità con un più risalente decisione della S.C. 18/12/1987 n° 1407 (ma vedasi anche più recentemente Cass. 04/03/2015 n° 4380).

La sentenza in commento precisa, peraltro, che “ la  peculiare posizione del terzo pignorato, quale collaboratore od ausiliario del Giudice della esecuzione, e parte di un rapporto sostanziale esistente con il proprio creditore, non anche con il creditore procedente, comporta, non solo che la sua responsabilità, per aver reso una dichiarazione ex art. 547 c.p.c. che si assume falsa o reticente,  si configuri come illecito aquiliano a norma dell’art. 2043 CC, e non come responsabilità processuale aggravata da far valere, ai sensi dell’art. 96 c.p.c. nel giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, ma anche che la  instaurazione del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo (oggi la contestazione della dichiarazione del terzo ex art. 549 come sostituito dalla L. 2012 n° 228),  non costituisce condizione di proponibilità della domanda risarcitoria che può essere esperita con giudizio autonomo e distinto dal processo di espropriazione presso terzi.”

Il creditore procedente che voglia agire per il risarcimento danni provocato da una falsa o reticente dichiarazione del terzo pignorato, può farlo attraverso un giudizio autonomo e distainto da quello esecutivo in cui la stessa dichiarazione è stata rilasciata.

 

Giugno 2017

 

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