Pmi e rischio di discriminazione nelle gare d’appalto

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SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Il favor partecipationis per le PMI – 2.1 I criteri di partecipazione, di selezione e di aggiudicazione – 3. La giurisprudenza più recente: sentenza n. 1895 del 13 ottobre 2020 del T.A.R. Lombardia (Milano)

1.      Premessa

In materia di contratti pubblici, uno dei principali obiettivi delle norme di matrice europea e di diritto interno è la massima apertura alla concorrenza, tale da garantire la più vasta partecipazione possibile di offerenti ad una gara d’appalto. In questo senso, non solo emerge l’interesse comunitario alla libera circolazione di prodotti e servizi, ma anche l’interesse della stazione appaltante nel poter disporre di una ricca scelta circa l’offerta più vantaggiosa e più rispondente ai bisogni della collettività interessata[1].

Tuttavia, all’interno di uno scenario in cui le amministrazioni aggiudicatrici devono rispettare principi di libera concorrenza, trasparenza, pubblicità, proporzionalità, si aggiunge un ulteriore ed autonomo obiettivo di politica economica e sociale: la tutela delle piccole e medie imprese che, spesso, soffrono di uno svantaggio competitivo.

Non basta, dunque, imporre un generale divieto di discriminazione per sostenere lo sviluppo delle PMI; il legislatore europeo ha anche chiesto agli Stati membri di introdurre misure al fine di facilitare ed incoraggiare[2] la partecipazione delle imprese di dimensioni contenute al mercato degli appalti pubblici, cercando di rendere quanto più eguali le condizioni di partenza delle piccole e medie imprese a quelle delle macro-imprese.

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Le responsabilità della pubblica amministrazione

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Giuseppe Cassano, Nicola Posteraro (a cura di) | 2019 Maggioli Editore

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Il favor partecipationis per le pmi

Specifici parametri dimensionali qualificano tre differenti categorie di imprese: la micro, la piccola e la media impresa. La definizione di ciascuna di esse è contenuta nella raccomandazione n. 2003/361/CE del 6 maggio 2003 (recepita dall’ordinamento italiano con il D.M. 18 aprile 2005) che considera il numero dei dipendenti come criterio principale, affiancato da un criterio finanziario. Dunque, sono individuate come microimprese quelle che contestualmente hanno meno di dieci occupati e realizzano un fatturato annuo e/o un totale di bilancio annuo non superiore a due milioni di euro.

Si qualificano, invece, piccole imprese quelle che occupano meno di cinquanta persone e hanno un fatturato annuo e/o un totale di bilancio annuo non superiore a dieci milioni di euro.

Infine, avere contestualmente meno di duecentocinquanta occupati e un fatturato annuo non superiore a cinquanta milioni di euro oppure un totale di bilancio annuo non superiore a quarantatré milioni di euro comporta la qualifica di medie imprese.

Tanto premesso, la Commissione europea e il Consiglio europeo – nel sottolineare come la capillare presenza di PMI rafforzi la competitività e lo sviluppo del mercato nel contesto economico europeo – hanno chiesto agli Stati membri di adottare una serie di politiche che incoraggino la partecipazione di tali imprese al mercato del public procurement[3]. Ciò che si è reso necessario, tuttavia, non è stato tanto imporre modifiche legislative in materia di appalti pubblici, quanto introdurre un cambiamento nella cultura delle autorità aggiudicatrici[4].

Queste ultime, infatti, sono chiamate ad operare equamente e senza discriminazione, semplificando l’accesso alle informazioni pertinenti, accelerando le procedure e alleggerendo gli oneri amministrativi a tutti gli operatori economici con dimensioni contenute che, in quanto tali, necessitano di un trattamento differenziato, proprio in virtù del principio di parità di trattamento, al fine ultimo di evitare le distorsioni alla concorrenza.

Le principali soluzioni proposte per rendere il mercato degli appalti pubblici più accessibile alle PMI sono molteplici: la suddivisione dei contratti in lotti, la possibilità di raggruppamento o il subappalto, nonché strumenti di e-procurement o certificazioni standardizzate che sgravino da eccessivi oneri burocratici e, da ultimo, ma non per importanza, la determinazione di criteri di partecipazione e di aggiudicazione ragionevoli.

I criteri di partecipazione, di selezione e di aggiudicazione

Fissare livelli di capacità e di competenza eccessivamente elevati porterebbe all’esclusione di un’altissima percentuale di PMI dalla partecipazione alle gare pubbliche.

Pertanto, i criteri relativi alle competenze tecniche devono essere connessi all’oggetto dell’appalto, oltre che appropriati e proporzionati per il tipo di acquisto in questione e per il suo valore[5]. Diversamente, le gare sarebbero riservate solo a pochi grandi operatori economici, individuabili sempre in quelli già detentori di posizioni consolidate di mercato[6].

In Italia, con il Codice degli Appalti (d.lgs. 50 del 18 aprile 2016) – in seguito il Codice – risulta evidente come la funzione pro-concorrenziale delle regole di evidenza pubblica sia divenuta il baricentro del sistema, accogliendo positivamente il monito europeo. Il principio del favor partecipationis è stato scolpito a chiare lettere nella disciplina legislativa[7].

L’articolo 30, comma 1, del Codice specifica che le stazioni appaltanti rispettino i principi di libera concorrenza, di non discriminazione, di trasparenza, di proporzionalità nonché di pubblicità. Il successivo settimo comma dello stesso articolo 30 dispone che “i criteri di partecipazione alle gare devono essere tali da non escludere le microimprese, le piccole e medie imprese”.

L’autorità aggiudicatrice, di conseguenza, è chiamata ad optare per chiari criteri di partecipazione che le consentano di determinare se l’offerente possieda o meno le capacità richieste per il contratto in questione. L’obiettivo è quello di formalizzare un principio di non discriminazione delle PMI in merito a tali criteri, volto ad escludere tutti quei requisiti palesemente irrilevanti la cui formulazione implica solo un restringimento della concorrenza.

L’articolo 83 del Codice, attinente invece ai criteri di selezione e limiti di fatturato (enunciati alla lettera b) e c) del primo comma), prevede che i requisiti delle capacità economico-finanziaria e tecniche-professionali siano proporzionali e attinenti all’oggetto dell’appalto, “tenendo presente l’interesse pubblico ad avere il più ampio numero di potenziali partecipanti, nel rispetto dei principi di trasparenza e rotazione”.

Per quanto riguarda i requisiti di capacità economica finanziaria, la richiesta di possesso di una determinata soglia di fatturato dev’essere attentamente ponderata, oltre che motivata negli atti di gara. Per gli appalti di servizi e forniture, la richiesta deve risultare coerente al valore dell’appalto e non può mai essere superiore al doppio del valore dell’appalto stesso, salvo comprovate circostanze. Nel caso di lotti, il fatturato è coerente al valore del lotto (o della somma del valore di più lotti se è prevista la possibilità di aggiudicazione di più lotti ad un solo operatore e la prestazione dev’essere eseguita contestualmente). Il principio sotteso è che il fatturato non possa essere determinato arbitrariamente con il solo obiettivo di escludere possibili offerenti.

Al momento della selezione dei candidati, l’amministrazione aggiudicatrice è tenuta a verificare tali requisiti sulla base di mezzi di prova, ai sensi dell’Allegato XVII al Codice, costituiti da idonee dichiarazioni bancarie o comprovata copertura assicurativa contro i rischi professionali. Costituiscono ulteriori mezzi di prova la presentazione sia di bilanci o estratti di esso sia la dichiarazione concernente il fatturato globale e il fatturato del settore di attività oggetto dell’appalto nella misura in cui tali informazioni siano disponibili.

Per quanto concerne i requisiti di capacità tecnica, invece, i più diffusi mezzi di prova sono l’elenco delle prestazioni analoghe nei tre (o cinque) anni precedenti, la descrizione delle attrezzature tecniche, l’organico medio annuo, le certificazioni legate a norme tecniche o campionature in caso di forniture.

In attuazione del considerando n. 63 della Direttiva 2014/23/UE, il Codice prevede che la scelta di criteri di selezione proporzionati, non discriminatori ed equi riguardino unicamente la capacità tecnica, professionale, finanziaria ed economica dei candidati. Ad essi, tuttavia, si concede la possibilità di affidarsi alle capacità di altri soggetti, indipendentemente dalla natura giuridica dei loro rapporti.

Tramite l’avvalimento, quindi, si garantisce l’effettivo accesso alle opportunità economiche offerte dalle concessioni, proprio per evitare che garanzie e requisiti troppo severi costituiscano un ostacolo ingiustificato per le PMI[8].

È opportuno precisare, tuttavia, che a differenza dei requisiti di capacità disciplinati alle lett. b) e c) del comma 1, l’idoneità professionale – lett. a) – non attiene tanto alla competenza ed esperienza concreta dell’operatore economico dimostrata nel settore di riferimento, quanto piuttosto alla titolarità di un requisito abilitativo comprovato dall’iscrizione in appositi registri e albi professionali. Pertanto, la giurisprudenza è costante nel ritenere che la carenza del requisito di idoneità professionale non possa essere colmata mediante il ricorso all’avvalimento[9].

La giurisprudenza piu’ recente: sentenza n. 1895 del 13 ottobre 2020 del t.a.r. lombardia (milano)

Le politiche in favore della partecipazione delle PMI agli appalti coinvolgono sempre più frequentemente anche la giurisprudenza nazionale. Recentemente, il T.A.R. Milano, con la sentenza del 13 ottobre 2020 n. 1895, si è pronunciato sulla corretta esperibilità di una gara indetta da un Comune per la concessione del servizio di gestione, accertamento e riscossione (anche coattiva) dell’imposta comunale sulla pubblicità e dei diritti delle pubbliche affissioni per gli anni 2020-2022.

La società ricorrente lamentava la violazione di norme e principi fondamentali a presidio della libera concorrenza – quali gli artt. 3, 41, 97 della Costituzione, l’art. 83 del Codice Appalti oltre che una pluralità di articoli del TFUE e della Carta di Nizza – tale da rendere impossibile la partecipazione alla gara da parte delle imprese di dimensioni contenute.

Specificatamente, la parte attorea sosteneva che il requisito di capacità tecnica e professionale fosse illogico e sproporzionato, imponendo al partecipante di avere in organico, alla data di pubblicazione del bando, un numero minimo di quindici unità, a tempo pieno ed indeterminato, tra cui almeno un dirigente e un dipendente con qualifica di ufficiale della riscossione.

Il giudice, nell’accogliere il ricorso, sottolinea come l’esigenza di tutela della libertà di concorrenza e di non discriminazione delle imprese sia un elemento fondamentale della normativa vigente.

Nel caso di specie, il servizio da svolgere appare complessivamente standardizzato, ripetitivo oltre che senza particolari difficoltà tecniche nell’esecuzione della concessione, considerate le dimensioni ridotte dell’amministrazione comunale appaltante.

Oltremodo, fissare il numero minimo di dipendenti (per altro a tempo indeterminato) proprio a quindici unità implica l’automatica esclusione delle microimprese. Infatti, non solo la predetta raccomandazione n. 2003/361/CE qualifica come microimprese quelle che contestualmente hanno meno di dieci occupati, ma anche l’articolo 35 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300 del 1970) fissa il limite occupazionale per l’applicazione di una serie di disposizioni della legge medesima proprio a quindici unità. Il dettato normativo dimostra, quindi, che la soglia di quindici dipendenti necessariamente escluda – illogicamente – le microimprese dalla possibilità di partecipare alla gara di cui è causa.

A giudizio del T.A.R., appare manifestatamente restrittiva anche la condizione che uno di questi dipendenti abbia la qualifica di dirigente, non essendo necessaria ai fini dell’esecuzione del servizio richiesto.

Sulla nozione di “dirigente” si è espressa la Corte di Cassazione[10], la quale definisce il dirigente d’azienda, ai sensi dell’art. 2095 c.c., come la figura che ha notevole autonomia e discrezionalità nelle scelte decisionali, tanto da essere qualificato come “alter ego” dell’imprenditore. C’è di più: la figura del dirigente non è neppure prevista in strutture aziendali medie o piccole, confermando la condotta discriminatoria dell’Amministrazione Comunale che ha indetto la gara impugnata.

Pertanto, coerentemente con la ratio normativa che spinge ad allargare la competizione quanto più possibile, il giudice ha annullato la lex specialis in quanto, di fatto, essa ha impedito la partecipazione delle imprese di ridotte dimensioni, ha ristretto indebitamente il mercato, violando il principio di favor partecipationis.

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Note

[1] Cfr. ex multis: sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Quarta Sezione, 23 dicembre 2009 nel procedimento C-305/08.

[2] Direttiva 2012724/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, considerando 2 “[…] la normativa sugli appalti adottata ai sensi della direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (4) e della direttiva 2004/18/CE del Par­ lamento europeo e del Consiglio (5) dovrebbe essere rivista e aggiornata in modo da accrescere l’efficienza della spesa pubblica, facilitando in particolare la partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici e permettendo ai committenti di farne un miglior uso per sostenere il conseguimento di obiettivi condivisi a valenza sociale”; considerando 124 “Dato il potenziale delle PMI per la creazione di posti di lavoro, la crescita e l’innovazione, è importante incoraggiare la loro partecipazione agli appalti pubblici, sia tramite disposizioni appropriate nella presente direttiva che tramite iniziative a livello nazionale. Le nuove disposizioni della presente direttiva dovrebbero contribuire al miglioramento del livello di successo, ossia la percentuale delle PMI rispetto al valore complessivo degli appalti aggiudicati. Non è appropriato imporre percentuali obbligatorie di successo, ma occorre tenere sotto stretto controllo le iniziative nazionali volte a rafforzare la partecipazione delle PMI, data la sua importanza”; considerando 78 “E’ opportuno che gli appalti pubblici siano adeguati alle necessità delle PMI. Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero essere incoraggiate ad avvalersi del Codice europeo di buone pratiche, di cui al documento di lavoro dei servizi della Commissione del 25 giugno 2008, dal titolo «Codice europeo di buone pratiche per facilitare l’accesso delle PMI agli appalti pubblici», che fornisce orientamenti sul modo in cui dette amministrazioni possono applicare la normativa sugli appalti pubblici in modo tale da agevolare la partecipazione delle PMI. A tal fine e per rafforzare la concorrenza, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero in particolare essere incoraggiate a suddividere in lotti i grandi appalti. Tale suddivisione potrebbe essere effettuata su base quantitativa, facendo in modo che l’entità dei singoli appalti corrisponda meglio alla capacità delle PMI, o su base qualitativa, in conformità alle varie categorie e specializzazioni presenti, per adattare meglio il contenuto dei singoli appalti ai settori specializzati delle PMI o in conformità alle diverse fasi successive del progetto”.

[3] Consiglio europeo, Risoluzione sul programma di azione per le PMI, GU 1986 n. C287/1; Commissione Europea, Bozza di risoluzione del Consiglio sul programma di azione per le PMI, COM (86) 445).

[4] Cfr. Codice Europeo di buone pratiche per facilitare l’accesso delle PMI agli appalti pubblici”, SEC (2008)2193.

[5] Articolo 44, paragrafo 2, comma terzo Direttiva 2004/18/CE.

[6] Consiglio di Stato, sentenza n. 1038 del 6 marzo 2017.

[7] T.A.R. Lazio, sentenza n. 1345/2017; T.A.R. Lazio, sentenza n. 9441/2016; T.A.R. Toscana, sentenza n. 1755/2016.

[8] S. Gallo, 2014: “Le nuove Direttive Europee in materia di appalti e concessioni”, pag. 643.

[9] Consiglio di Stato, sentenza n. 1667 del 9 marzo 2020; Consiglio di Stato, sentenza n. 3698 del 28 luglio 2015.

[10] Corte di Cassazione, sentenza n. 18482 del 19 settembre 2005; Corte di Cassazione, sentenza n. 8064 del 27 aprile 2004; Corte di Cassazione, sentenza n. 12860 del 28 dicembre 1998.

Sentenza collegata

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Elena Zanibelli

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