Polifunzionalità del danno punitivo in USA e ricadute in termini di insurability

Redazione 26/09/18
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Nel sistema liberale statunitense l’ideologia che sovente si profila è di primo acchito chiara: il danno si assicura, la pena no. Muovendo da tale prospettiva la censura che si è a lungo proposta, e quasi in via automatica, alla possibilità di assicurare il danno punitivo è che tale copertura verrebbe a spezzare l’esigenza di ricostituire l’ordine sociale che ha sublimato la vendetta in sanzione civile trasformandola, in particolare, in punitive damages. Tuttavia, si vedrà subito come questa risposta resti oggi vera solo sul piano teorico e mal si concili con l’attuale realtà fenomenica statunitense, di talché anche la conseguente risposta in chiave di assicurabilità di ciò che gli americani chiamano oggi “danno punitivo” è molto meno univoca. Le corti americane, infatti, collocano sotto la voce “punitive” non solo ciò che è pena civile, a fronte di un comportamento riprovevole. La fotografia delle condanne punitive che circolano fuori casa – e specialmente in Europa – è in altre parole ormai poco aderente all’identikit attuale di punitive damages maturi e dai molti fronti applicativi con i quali si trovano a confrontarsi i litigation counselors americani. Se è vero, infatti, che i punitive damages mantengono, nel loro stesso nome, il marchio della componente punitiva (quasi un equivalente del criminal behaviour), in realtà oltre cent’anni di storia e prassi giudiziarie assai differenziate, anche da Stato a Stato, hanno fatto sì che essi siano, in definitiva, ormai applicati in un numero molto diversificato di situazioni che divergono notevolmente e per il comportamento del diretto responsabile, e per il ruolo che questi assume, nella dinamica risarcitoria, come soggetto meramente pagatore (della vittima) (1).

L’elemento soggettivo dell’illecito

Quanto all’individuazione dell’elemento soggettivo dell’illecito che sorregga un danno punitivo, esso è assai articolato: esso comprende, sicuramente, casi di comportamenti illeciti realizzati con dolo “qualificato” (o “egregious conducts”) e identificati, pertanto, come intentional wrongs sorretti da malicious behaviour, evil motive, malice: “Punitive damages are assessed to penalize the wrongdoer or to make an example to others. As a general matter, the purpose of awarding punitive or exemplary damages, which are imposed in addition to sums to compensate the injured party for actual loss, is to punish and deter blameworthy conduct. Exemplary or punitive damages … are authorized to be inflicted when the wrong done partakes of a criminal character, though not punishable as an offense against the State, or consists of aggravated misconduct or a lawless act” (2). Le richiamate locuzioni lasciano chiaramente intendere come ci si trovi di fronte ad atti illeciti di particolare gravità e riprovevolezza che possono essere realizzati all’interno di dinamiche aquiliane ma anche, in alcuni casi, contrattuali (3). Sovente, però, la condanna all’ultracompensazione sfugge al giudizio di riprovevolezza che censura l’atto intenzionale, essendo sufficiente che vi sia un reckless behaviour, ma anche una gross negligence, ossia comportamenti particolarmente sbadati o caratterizzati da colpa grave. Ma vi è di più. Altrettanto numerosi – ed anzi sempre più frequenti – sono i casi nei quali le corti nordamericane riconoscono fondamento alla richiesta di condanna a punitive damages in situazioni nelle quali la componente più marcatamente punitivo-afflittiva cede il passo alla mera deterrence come esigenza sociale, ossia alla necessità di indurre un determinato soggetto – o, ancor più correttamente, altri soggetti che possano a loro volta provocare danni – a porre in essere azioni di prevenzione. Altresì ricorrente è l’attribuzione di danni punitivi al solo scopo di garantire una maggior tutela – economica – della vittima, che può contare sulla valvola di sfogo dei punitive damages, sottratto alla logica compensativa ed evidentemente della prova rigorosa, anche per coprire costi che tradizionalmente il modello di litigation nordamericano non fa gravare sulla parte soccombente in giudizio. Se si tiene conto, inoltre, che spesso una parte della somma che il responsabile deve pagare a titolo di danno punitivo è versata (in base a norme statuali) a enti che tutelano interessi identici o affini a quello leso dalla condotta sanzionata, appare chiaro anche il motivo per il quale i danni punitivi sono talora definiti come social redistribution, ossia una sorta di redistribuzione di secondo livello (non alla vittima diretta ma a enti, collettività o soggetti terzi) (4). Non infrequente è, infine, la transazione, estranea al percorso giurisdizionale, che definisca una somma omnia includente anche i punitive damages. Si comprende, dunque, come la definizione ancora proposta nel Restatement on Torts (Second), così come nei più classici law dictionaries (che rimangono spesso il primo approdo per i law students) appaia, a questo punto, limitante se comparata con la law in action. Ad esempio, in molti casi di responsabilità per danni da prodotto difettoso, anche ove si discute di design defects, ossia difetti di progettazione, la prova dello standard richiesto (in base a legge statale o alla case law) per la condanna a punitive damages è spesso oscurata nella law in action. Ciò ha varie spiegazioni: spesso le corti accettano di conoscere azioni basate genericamente su strict liability (dunque responsabilità oggettiva) anche se la domanda sconfina nella richiesta di danni punitivi; inoltre a fronte di una giurisprudenza non del tutto chiara ed univoca nell’identificare la sussistenza di un elemento soggettivo qualificato e dell’alto valore che possono raggiungere i punitive awards, accade sovente che una volta ammessa la domanda della parte attrice (spesso in dinamiche di class actions) ad ottenere un quid pluris a titolo di danno punitivo, come indicato nel summons (la citazione) in base a presunta fraud e/o gross negligence, la causa giunge poi a transazione prima del verdetto: l’effetto è così raggiunto perché la transazione indentifica anche una censura tombale sui danni punitivi. Questi casi si risolvono generalmente con danni punitivi non esorbitanti, proprio perché la loro funzione non è (davvero) punitiva ma implica piuttosto il riconoscimento di un “bonus” similcompensativo nella più complessa dinamica risarcitoria. In fondo, a ben guardare, pure la vicenda relativa alla società italiana Axo Sport – che ha interessato la nostra Cassazione nella decisione 16601/2017 e che noi discutiamo, anche oggi in questa sede, per il ruolo che ha avuto nell’affermare la legittimità del riconoscimento di sentenze straniere comminatorie di danni punitivi da parte di una corte americana – si colloca in questo solco: oltreoceano, nessuna fraud o gross negligence è stata mai provata a carico dell’impresa produttrice del casco: nel conflitto con il danneggiato finale prima, così come nelle successive decisioni di condanna di Axo Sport che si sono avute in USA a seguito della transazione con lo stesso danneggiato, la decisione era stata raggiunta in base ad una c.d. potential liability del produttore. Ne deriva che l’inclusione di una componente punitiva nell’importo che Axo Sport è stata chiamata a versare sia rimasta, in tal caso, solo presunta e solo per un “incidente” giudiziale la nostra Corte si è pronunciata in merito alla compatibilità dei danni punitivi con l’ordine pubblico… Ciò non significa che il diritto nordamericano proclami una indifferenza della condotta rispetto alla possibilità di comminare danni punitivi; anzi, non è per nulla infrequente che le istruzioni date dal giudice alla giuria, ove chiamata a pronunciarsi, ribadiscano la necessità che la stessa giuria si convinca dell’esistenza di una condotta “egregious” (5); altresì vi sono esempi di leggi statali che circoscrivono espressamente la possibilità di attribuire danni punitivi individuando gli elementi soggettivi che devono sussistere. Tuttavia, il danno punitivo, come già detto, è poi nella prassi comunque riconosciuto in molti casi nei quali manca del tutto l’accertamento di tale condotta qualificata (6). ovviamente, gli esiti finali di tale processo di snaturamento della funzione dei punitive damages (che, è bene ricordarlo, pur essendo comminati in un numero di casi che può sembrare alto in valore assoluto rappresenta una percentuale molto bassa della litigation nordamericana) possono non essere del tutto desiderabili né efficienti sul piano giuseconomico (7). Non per nulla, i danni punitivi sono al centro del dibattito sulla riforma della tort law che guarda più ai risultati della law in action e del suo impatto sulle dinamiche sociali e del mercato e non si limita alla valutazione della law in the books. In conclusione, si deve constatare come oggi la condanna al pagamento di punitive damages sia, in USA, uno strumento polifunzionale o “multicausale”. È, infatti, più che evidente come per i giuristi del sistema nordamericano, notoriamente poco inclini a privilegiare le tassonomie, il dato linguistico che pur continua ad indicare come “punitiva” una certa componente della somma che il responsabile deve versare si riduca sovente a mero strumento utile non tanto per introdurre un momento veramente punitivo, quanto piuttosto per mantenere la possibilità di applicare, nel conflitto, tutte quelle ormai sedimentate formule e regole in termini di quantificazione e prova che si collegano nella prassi ai punitive damages stessi e che deviano rispetto alle regole che governano l’attribuzione del danno compensativo. Formulato tale chiarimento, si comprende agevolmente perché il sistema nordamericano si presenti come una sorta di jigsaw puzzle rispetto alla possibilità di coprire, mediante la formula assicurativa, il danno punitivo, che pur continua ad essere chiamato tale per distinguerlo dalla mera componente compensativa della posta risarcitoria finale. I casi di inassicurabilità, riconosciuti tali dalle corti o direttamente da leggi statali, sono legati prevalentemente a quel “sottotipo” di danno punitivo dipendente da comportamenti dolosi posti in essere dallo stesso assicurato (e che sarebbero, anche per tale connotato, quasi sempre esclusi dalla possibilità di copertura secondo le regole tradizionali del diritto contrattuale assicurativo). In questi casi l’inassicurabilità si fonda, in particolare, su due principali argomenti, di egual peso nel sistema nordamericano, ossia la public policy issue, da un lato, e la contractual issue, dall’altro lato.

Public policy issue

La locuzione “public policy issue” è riconducibile, grosso modo, all’ordine pubblico. Leading case resta Northwestern Nat’l Cas. Co. v. McNulty, 307 F.2d 432 (5th Cir. 1962): “Where a person is able to insure himself against punishment he gains a freedom of misconduct inconsistent with the establishment of sanctions against such misconduct. It is not disputed that insurance against criminal fines or penalties would be void as violative of public policy. The same public policy should invalidate any contract of insurance against the civil punishment that punitive damages represent.… punitive damages are awarded for punishment and deterrence would seem to require that the damages ultimately rest … on the party actually responsible for the wrong. If the person were permitted to shift the burden to an insurance company, punitive damages would serve no useful purpose. In actual fact, of course, and considering the extent to which the public is insured, the burden would ultimately come to rest not on the insurance companies but on the public, since the added liability to the insurance companies would be passed along to the premium payers. Society would then be punishing itself for the wrong committed by the insured”. Gli Stati nei quali si consente, anche mediante previsione legislativa, la copertura di punitive damages per eventi realizzati con dolo la limitano all’ipotesi di vicarious liability dell’assicurato, chiamato a sopportare l’intero carico risarcitorio. Ad esempio, sempre nel caso “McNulty”, la Corte osservò che “A different situation is present where the sole liability of the insured arises out of the relation of master and servant. In this situation where there was no direct or indirect volition upon the part of the master in the commission of the act, no public policy is violated by protecting him from the unauthorized and unnatural act of his servant. Public policy is not violated by insurance in such a situation …” (8). E, prosegue Justice Gewin ricollegandosi all’elemento contrattuale: “the most appropriate basis upon which to hold that public policy prohibits insurance against liability is the nature of the conduct of the wrongdoer – not the nature of the damages awarded. If the defendant acted willfully, intentionally, maliciously or fraudulently, coverage should be denied; because, in such circumstances, he should not be able to avoid punishment by shifting the penalty to an insurance carrier. I doubt that such protection is ever afforded by insurance, because the companies who are experienced in such matters and who write the contracts, expressly exclude such conduct from the protection afforded by the policy”. E, ancora, la Corte Suprema dell’oklahoma indicò che “In almost all jurisdictions which disallow insurance coverage for punitive damages, an exception is recognized for those torts in which liability is vicariously imposed on the employer for a wrong of his servant. In that class of litigation, public policy does not inhibit a shift in liability incidence to the insurer unless the employer’s volition was either directly or indirectly an element in the commission of the harm. We are in accord with this view and hold that public policy against insurance protection for punitive damages does not preclude recovery of indemnity from the insurer by an employer to whom either willfulness or gross negligence of his harm–dealing employee became imputable for imposition of liability under the Oklahoma application of the respondeat superior doctrine (9). In alcuni Stati l’assicurabilità del danno punitivo è ancora più ampia, in quanto il legislatore stabilisce espressamente che la copertura per danno punitivo non è contraria a public policy in assenza di comportamento doloso del responsabile (10). In definitiva, la possibilità di assicurare i danni punitivi risulta spaccare lo scenario federale, poiché, sebbene in misura diversa, oltre la metà degli Stati sono giunti a consentirne, in giurisprudenza o per legge, la copertura. Ciò riporta il problema nel teatro contrattuale: occorrerà allora verificare se, anche in mancanza di espressa esclusione (laddove ad esempio la garanzia sia estesa a “all damages”), la copertura del danno punitivo si possa comunque escludere, in base alle regole di construction of contract, o ancora in base ad esclusioni più generali sempre di natura contrattuale.

Si consideri, infine – ma non v’è in questa sede tempo per articolare oltre tali notazioni – che gli studiosi di analisi economica del diritto hanno in più occasioni motivato l’efficienza di una possibile copertura assicurativa dei danni punitivi, seppur sulla base di differenti argomentazioni (11).

Note

(7) g. Ponzanelli, I punitive damages nell’esperienza nordamericana, in Riv. Dir. Civ., 1983, I, p. 435 ss.;

(2) Winn & Lovett Grocery Co. v. Archer, 126 Fla. 308, 171 So. 214 (1936), che pur giungeva nel caso specifico a escludere il fondamento per l’attribuzione di punitives da parte della giuria.

(3) Mazza v. Medical Mut. Ins. Co. of N.C., 319 S.E.2d 217 (N.C. 1984); così già, ex multis, Lazenby v. Universal Underwriters Ins. Co., 383 S.W.2d 1 (Tenn. 1964); “The misconduct we have in mind is intentional or malicious wrongdoing …”; ancora, Northwestern Nat’l Cas. Co. v. McNulty, 307 F.2d 432 (5th Cir. 1962).

(4) Per un approfondimento cfr. C.m. shaRkey, Punitive damages as societal damages, in The Yale law Journal, Vol. 113, 2003, p. 347 ss.

(5) Il termine, come intuibile, appartiene alla categoria linguistica dei c.d. false friends, in quanto l’aggettivo egregious assume il significato di straordinario, in quanto fuori dalla norma, ma in ottica decisamente negativa.

(6) v. RoDDy, Punitive damages in strict products liability litigation, in William and Mary Law Review, Vol. 23, 2, p. 357 in particolare. Si veda anche Kolstad v. American Dental Association, the United States Supreme Court, 22 June 1999, decisione nella quale la Corte ha individuato lo standard per il riconoscimento di danni punitivi in caso di discriminazioni nei confronti del lavoratore in base al Civil Rights Act of 1964 (Title VII).

(7) Cfr. s. gaRbeR, Economic effects of product liability and other litigation involving safety and effectiveness of Pharmaceuticals, 2013, in particolare p. 44. Si vedano le sempre puntuali ed ancora attuali riflessioni di D.g. owen, sul tema, oltre che nel suo Owen’s on product liability law, ult. ed., 2015, in A punitive damages overview: functions, problems and reforms, Villanova Law Leview, Vol. 39, 2 (1994), p. 362 ss., peraltro con tutte le critiche alle soluzioni spesso tratte dalle corti americane.

(8) Northwestern Nat’l Cas. Co. v. McNulty, 307 F.2d 432 (5th Cir. 1962).

(9) Dayton Hudson Corp. v. American Mut. Ins. Co., 621 P.2d 1155 (okla. 1980).

(10) Cfr. Virginia Code, Section 38.20227: “It is not against public policy of the Commonwealth for any person to purchase insurance providing coverage for punitive damages arising out of the death or injury of any persons as the result of negligence, including willful and wanton negligence, but excluding intentional acts”.

(11)The economic analysis of law, as known, does not reach a univocal solution on the insurability of punitive damages, even if large part of the scholars seem to lean towards the admissibility of the coverage: see a.m. Polinsky – s. shavell, Punitive Damages: An Economic Analysis, Harvard Law Review, Vol. 111, No. 4 (Feb.), 1998, pp. 869962. For a punctual analysis of the different reasons expressed by the m.i. testa, Non-insurability of punitive damages in Argentina: an Economic Analysis of Law explanation, in Revista para ed analisis del derecho – InDret 3/2011.

 

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