Pornografia minorile ed internet

Redazione 28/09/03
di Leo Stilo
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Sommario: 1. Premessa; 2. La pornografia minorile in rete: origini di un fenomeno di criminalità transnazionale; 3. La normativa italiana: un importante strumento di lotta contro le nuove forme di riduzione in schiavitù; 4. Pornografia minorile: un reato che oscilla tra “cessione e divulgazione”; 5. Pornografia minorile tra chat, email e p2p; 6. I sintomi di un reato (una sintesi); 7. Pedofilia e p2p tra roghi telematici e gogne mediatiche.

1. PREMESSA.

L’aumento del numero di notizie di reati perpetrati attraverso lo sfruttamento sessuale di minori ha profondamente sconvolto in questi ultimi anni l’opinione pubblica[1] provocando un aumento dell’attenzione della stessa verso un problema che appare sempre meno consumato nel buio di una solitaria e personale deviazione sessuale e sempre più un fenomeno di vaste dimensioni che vede coinvolte organizzazioni criminali complesse e fornite di strutture “cellulari” a carattere transnazionale[2].

Al fenomeno di violenza diretta sui minori (dal singolo episodio criminale al “turismo sessuale” verso paesi ricchi di povertà e miseria) si affianca quello concernente il mercato clandestino di materiale pornografico realizzato attraverso lo sfruttamento sessuale di minori; ed è proprio tale mercato a destare particolare interesse alla luce dell’enorme volume d’affari che riesce a generare attraverso l’utilizzo della Rete Internet e delle nuove tecnologie informatiche.

Appare necessario, prima di procedere oltre, premettere e circoscrivere l’oggetto di questo breve scritto: il commento di alcune “forme” di delitti contro minori consumati, principalmente, attraverso l’uso delle nuove tecnologie informatiche e comunemente ricondotte all’interno della definizione “pedofilia telematica”.

2. LA PORNOGRAFIA MINORILE IN RETE: ORIGINI DI UN FENOMENO DI CRIMINALITA’ TRANSNAZIONALE.

L’enorme diffusione delle reti telematiche, tra tutte Internet, sempre più intese come insostituibili strumenti di lavoro e utili momenti di distrazione, ha favorito la nascita di organizzazioni criminali dedite a diversi tipi di attività illecite di carattere transnazionale[3].

Tra queste attività un ruolo rilevante è occupato dalla commercializzazione di materiale pedo-pornografico. La possibilità di scambiare informazioni in modo veloce, riservato e per molti versi anonimo, infatti, ha costituito l’elemento chiave che ha persuaso diverse organizzazioni criminali, a preferire come fonte privilegiata di reperimento e commercializzazione del materiale illecito la Rete delle reti.

“Su Internet sarebbero oltre 30.000 i siti a contenuto pedofilo denunciati alle polizie di tutto il mondo negli ultimi tre anni, ma secondo le ultime stime ne nascerebbero più di 3000 al mese. L’epicentro della pedofilia in rete – secondo il Telefono Arcobaleno – è rappresentato dagli Stati Uniti, che ospitano il 55% dei server con immagini pedofile. Seguono, nell’ordine, il Giappone (20%), i Paesi dell’Est (13%) e quelli europei. Più indietro i Paesi mediorientali (5%)”[4].

Dalle dimensioni citate si può facilmente dedurre che lo sviluppo delle nuove tecnologie consente di distribuire il materiale incriminato con estrema facilità e con costi irrilevanti in rapporto al giro d’affari del mercato della pedofilia.

Da tale ragionamento deriva il motivo per il quale imponenti organizzazioni criminali, articolate e ben attrezzate, si siano decise ad interessarsi a tale settore e ad acquisire in esso posizioni di vertice[5]. A questa considerazione si deve aggiungere l’estrema facilità, sotto il profilo tecnico ed economico, con cui è possibile creare e gestire siti web dislocati in qualsiasi luogo della Terra e attraverso cui cedere o semplicemente scambiare materiale pornografico realizzato con lo sfruttamento di minori.

Con quanto detto non si vuole affermare l’attuale inesistenza di un mercato che può essere definito, in rapporto a quello on-line, cartaceo; semplicemente, si vuole evidenziare come oggi questa seconda “fonte” sembra destinata ad esaurirsi o comunque a divenire un fenomeno estremamente marginale rispetto all’oceano di materiale reperibile “comodamente” e in modo anonimo on-line.

La Rete è un luogo in cui i c.d. “pedofili” di tutto il mondo possono, anche grazie all’uso di un vero e proprio linguaggio convenzionale che si è andato formando nel corso del tempo, scambiarsi materiale in forma più o meno riservata: tra i tanti canali spiccano quelli rappresentati dalle “chat ” o da altri canali di discussione in cui non solo è possibile inviare e ricevere materiale pedo-pornografico, ma tentare di adescare le future giovani vittime.

3. LA NORMATIVA ITALIANA: UN IMPORTANTE STRUMENTO DI LOTTA CONTRO NUOVE FORME DI RIDUZIONE IN SCHIAVITU’.

La legge del 3 agosto del 1998, n. 2696, intitolata “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”, introduce nel tessuto del codice penale nuove figure di reato tese a reprimere in modo specifico quello che comunemente, ed impropriamente, è definito il reato di “pedofilia”.

Prima di analizzare gli aspetti “autenticamente” giuridici della questione si riportano alcune definizioni “cliniche” del fenomeno al fine di affrontare l’argomento partendo da una descrizione, il più possibile scientifica, di una patologia conosciuta (nella gran parte dei casi) solo attraverso le notizie di cronaca divulgate dai mezzi di informazione di massa, spesso non corrispondenti alla situazione concreta del soggetto attivo coinvolto nella vicenda enfaticamente pubblicizzata:

“Il termine pedofilia è la categoria assegnata generalmente ai maschi adulti attratti da individui giovani e considerevolmente più giovani di loro: la definizione più usata è comunque “attrazione sessuale per individui in età pre-puberale” (FEIERMAN, 1994). Essa si distingue dalla efebofilia, che significa “attrazione sessuale per individui in età puberale”. In ogni caso, pedofilia e efebofilia sono esempi di parafilia, cioè “una condizione, che si verifica in uomini e donne, di compulsiva ed obbligata dipendenza da uno stimolo personalmente e socialmente inaccettabile, percepito o immaginato, per il conseguimento ed il mantenimento dell’eccitazione sessuale e/o dell’orgasmo” (MONEY, 1986)” [7];

“Letteralmente il termine pedofilia significa amore per i bambini (pais = bambino, filia = amore) ma già da tempo è stata definita come una perversione, una deviazione dal normale atto sessuale. Da un punto di vista nosografico, la collocazione della pedofilia nei trattati psichiatrici più recenti, come il DSM IV (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, 1996), è all’interno delle parafilie. Secondo i criteri dl DSM IV, per potere parlare di pedofilia è necessario che il minore coinvolto nell’attività abbia meno di tredici anni, che sia prepubere, mentre il soggetto con pedofilia deve avere almeno cinque anni più del bambino…(omissis)…” [8].

Dopo aver esaminato la definizione “clinica” di “pedofilo” è necessario ora ritornare sul terreno del fatto empiricamente tangibile e parlare di diritto penale e di fatti previsti dalla legge come reato. Le diverse fattispecie contenute nel codice penale, è necessario ricordarlo, non rappresentano delle liste di patologie sanzionate penalmente (sarebbe un’eresia giuridica ed un triste ritorno al temibile diritto penale d’autore) ma piuttosto una puntuale descrizione di fatti e circostanze che il legislatore ha ritenuto “tipici” e meritevoli di pena[9].

Il diritto penale non è diretto a punire il “pedofilo”, quale soggetto portatore di particolari patologie (psicologiche o addirittura genetiche) ma è volto a tutelare i minori attraverso la predisposizione di idonei meccanismi giuridici contro terribili forme di violenza e di sfruttamento[10].

In ossequio, infatti, ad una logica di politica criminale più attenta a reprimere e prevenire fenomeni criminali che vedono coinvolti minori, si è avvertita l’esigenza di istituire nuovi dispositivi atti a combattere questo particolare tipo di delitti sul terreno che più di altri oggi sembra essere una fertile e feconda fonte di illeciti guadagni: Internet.

“Internet è sicuramente un potente mezzo di comunicazione che se da un lato può migliorare la qualità della vita, dall’altra espone i piccoli utenti ad alcuni rischi che non possono e non devono essere sottovalutati. Intanto, l’anonimato che la rete è in grado di fornire può favorire soggetti con pedofilia che spacciandosi per coetanei dei “piccoli”, possono ottenere foto, raccogliere informazioni e, a volte, organizzare incontri con le potenziali vittime”[11].

Per tale ragione il legislatore italiano ha deciso di creare, ritagliandole dalle classiche istituzioni di polizia, strutture investigative ed organi tecnici di coordinamento altamente specializzati[12]. Sul piano dell’investigazione e della ricerca della prova, inoltre, si sono raggiunti traguardi importanti e considerevoli; basti pensare all’istituzione, mutuata dalla lotta contro altri fenomeni criminali, del c.d. agente provocatore: figura che consente agli agenti di polizia di poter procedere all’acquisto simulato di materiale pornografico o perfino di poter creare dei siti “civetta” al fine di procedere all’arresto di quanti hanno, con esso, preso contatto e scambiato materiale; il tutto allo scopo di poter precostituire delle prove spendibili, con profitto, in un eventuale processo[13].

La predetta legge diviene così un fondamentale momento di “adattamento” dell’ordinamento italiano al contenuto della Convezione sui diritti del fanciullo firmata nel 1989 a New York e ratificata con la legge 27 maggio 1991, n. 176, in cui si è messo in evidenza il diritto del bambino ad essere protetto contro ogni forma di comportamento atto a colpire il suo onore, la sua reputazione; inoltre, con la stessa Convenzione gli Stati si sono impegnati ad impiegare mezzi e strutture (legislative, amministrative e sociali) per impedire e perseguire ogni forma maltrattamento di minori e in particolare ogni forma, diretta o indiretta, di sfruttamento sessuale degli stessi.

4.PORNOGRAFIA MINORILE: UN REATO CHE OSCILLA TRA CESSIONE E DIVULGAZIONE (diffusione)[14].

Con il primo comma dell’art. 600 ter[15] il legislatore ha inteso punire, con la reclusione da sei a dodici anni e la multa da lire cinquanta milioni a lire cinquecento milioni, chiunque sfrutti i minori degli anni diciotto al fine di: 1. realizzare esibizioni; 2. produrre materiale pornografico.

La differenza tra le due condotte risiede essenzialmente nel fatto che:

1. per “realizzazione di esibizioni” appare corretto intendere che si voglia indicare la realizzazione di una sorta di spettacolo dal vivo di fronte ad un pubblico;

2. per “produzione di materiale pornografico” si intende, invece, la trasposizione di detto materiale su supporti di varia natura (riviste, fotografie, video, immagini in forma digitale…).

In altre parole, nel primo comma dell’art. 600 ter c.p. il legislatore vuole sanzionare il momento della realizzazione dello sfruttamento che consiste sia nell’esibizione fine a se stessa, sia nella riproduzione su supporti di varia natura e genere della violenza perpetrata sui minori.

In particolare, questa seconda ipotesi si configura come condizione imprescindibile per la stessa creazione del materiale che poi potrà essere commercializzato, diffuso o detenuto.

“La condotta è stata indicata in termini ampi e generici, in modo da poter ricondurre all’ambito di rilevanza penale una vasta gamma di comportamenti che vengono socialmente percepiti come fortemente negativi, e che sono alla base della successiva attività, descritta nei commi terzo e quarto del medesimo”[16].

Procedendo nell’analisi dell’art. 600 ter c.p. si deve ora affrontare il contenuto del secondo comma: “Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al primo comma”.
Il legislatore equipara chi fa commercio del materiale incriminato allo sfruttatore; tale previsione costituisce, così, una disposizione di carattere generale rispetto a quelle dei commi successivi ed idonea ad inglobare, costituendo una sorta di norma di chiusura, le diverse realtà riconducibili all’interno della categoria “fare commercio”.

Il successivo comma, il terzo dell’art. 600 ter c.p.[17], è rivolto a sanzionare le condotte di soggetti che, anche se non producono direttamente il materiale pornografico, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica:

1. distribuiscono, divulgano (diffondono) o pubblicizzano materiale pornografico;

2. distribuiscono o divulgano (diffondono) notizie o informazioni finalizzate ad adescare o sfruttare sessualmente minori di 18 anni.

La distribuzione, la divulgazione (la diffusione) o la pubblicizzazione, rappresentano differenti condotte nell’economia della struttura della norma, ognuna delle quali penalmente sanzionata.
Le prime due si riferiscono ad attività che non presuppongono una consegna o una qualche modalità di acquisizione o di scaricamento.
Più semplicemente, la comunicazione sembrerebbe tendere ad indicare un’attività tesa alla diffusione dell’informazione, pura e semplice, dell’esistenza del materiale e della fonte di reperimento, mentre la pubblicizzazione sembrerebbe presupporre un’attività tesa, in un certo senso, alla promozione dello stesso materiale.

“In merito a tale fattispecie, la giurisprudenza della Cassazione si è pronunciata affermando che, ai fini della configurabilità del reato di distribuzione, divulgazione o pubblicizzazione del materiale pornografico, non basta la cessione di detto materiale a singoli soggetti, ma occorre che la condotta sia destinata a raggiungere una serie indeterminata di persone attraverso un mezzo di diffusione accessibile ad una pluralità di soggetti, quale ad esempio Internet”[18].

L’ultimo comma dell’art. 600 ter[19] dispone che commette reato chiunque, fuori delle ipotesi previste nelle suddette disposizioni, consapevolmente cede (anche gratuitamente) ad altri il materiale pornografico.
L’irrilevanza del titolo della cessione, oneroso o gratuito, determina il fatto che qualunque passaggio consapevole di materiale pedo-pornografico, indipendentemente dal mezzo utilizzato, determina la venuta in essere del reato di cui all’art. 600 ter, quarto comma, c.p..
L’idea di cessione presuppone una dinamica che coinvolga due o più soggetti determinati: il cedente e il ricevente.

5. PORNOGRAFIA MINORILE TRA CHAT, EMAIL E P2P [20].

Di particolare interesse al fine di chiarire alcune linee interpretative in tema di cessione e divulgazione (diffusione) di materiale pedo-pornografico attraverso Internet è la sentenza della Cassazione n. 4900 del 3 febbraio 2003 [21].

La vicenda trae origine da un’attività di distribuzione e divulgazione, attraverso Internet, di materiale pornografico avente ad oggetto minori di anni diciotto ritratti nel corso di rapporti sessuali tra loro e con adulti.

L’imputato, operante on-line con il nickname “tcbsx”, ha ceduto il suddetto materiale ad ufficiali di polizia giudiziaria, appartenenti alla polizia postale e delle telecomunicazioni, durante un’operazione sotto copertura.

La condotta incriminata si è realizzata all’interno di una “chat”, tramite la cessione diretta di materiale illecito da “tcbsx” agli agenti della polizia postale e delle telecomunicazioni.

Questa cessione verso un soggetto determinato, individuato attraverso un “nickname”, è stata però intesa dal Tribunale non incompatibile con il concetto di divulgazione “atteso che in detto colloquio “privilegiato” l’interlocutore è sconosciuto… può essere potenzialmente costituito nella realtà fisica (non virtuale) da un gruppo di persone …”.

Le richieste del ricorrente, di ricondurre il fatto in esame all’interno della fattispecie prevista dall’art. 600 ter, quarto comma, e non nella diversa prevista all’art. 600 ter, terzo comma, trovano fondamento nella stessa natura della trasmissione avviata tra i soggetti coinvolti nella vicenda e ravvisabile in un dialogo “privilegiato” atto ad escludere la venuta in essere di un’attività configurabile come “divulgazione o distribuzione” di materiale pornografico ai sensi dell’art. 600 ter, terzo comma.

La Suprema Corte puntualizza, anche in questa occasione, che l’uso dello strumento Internet non è sufficiente da sé ad integrare, sempre e comunque, una comunicazione ad un numero indeterminato di persone, essendo, al contrario, necessario analizzare di volta in volta il singolo caso concreto per poter rilevare ed accertare il tipo di comunicazione, “aperta o chiusa”, che il soggetto interessato ha posto in essere.

Quando la cessione di materiale pornografico è avvenuta attraverso una c.d. chat-line bisogna soffermarsi a verificare attentamente la caratteristica del programma in esecuzione al fine di determinare in quale delle ipotesi dell’art. 600 ter c.p. sia riconducibile.

Per utilizzare le parole della Corte di cassazione:
“…è da escludere che tale trasmissione diretta tra due utenti, i quali devono essere necessariamente d’accordo sulla trasmissione del materiale, configuri senz’altro una divulgazione o distribuzione ai sensi del terzo comma della norma citata. Ed invero tali attività implicano la comunicazione con un numero indeterminato di persone (Cassazione 2842/00, CED 216880; 2421/2000, CED 217214; 5397/2002, CED 221337), quale l’uso del veicolo internet non vale di per sé ad assicurare. Né ad integrare il numero indeterminato di persone è sufficiente la considerazione che esso possa annidarsi in un nickname, perché – anche a prescindere dall’onere della prova, che l’accusa non può assolvere con la mera evocazione di tale possibilità – altrimenti verrebbe ad ipotizzarsi il delitto in esame – piuttosto che, come ritenuto da Cassazione ult. cit., quello più lieve, di cui al quarto comma – anche nel caso dell’invio della foto, allegata ad un messaggio di posta elettronica, ad un indirizzo determinato, dietro il quale ugualmente potrebbe allocarsi una pluralità di persone. Perché vi sia divulgazione o distribuzione occorre, invece, che l’agente inserisca le foto pornografiche minorili in un sito accessibile a tutti, al di fuori di un dialogo “privilegiato”, o le invii ad un gruppo o lista di discussione, da cui chiunque le possa scaricare, o le invii bensì ad indirizzi di persone determinate ma in successione, realizzando cioè una serie di conversazioni private (e, quindi, di cessioni) con diverse persone (come nella specie contestato all’indagato, ma da questi negato)”.

6. I SINTOMI DI UN REATO (una sintesi).

Il punto di partenza per orientarsi nell’interpretazione pratica dell’art. 600 ter è quello illustrato dalla Suprema Corte, nella sentenza n. 5397 del 2002 (Pres. Malinconico, Rel. D’Amelio): non è sufficiente per la realizzazione del reato di cui al terzo comma dell’art. 600 ter c.p. il semplice fatto che il materiale pedo-pornografico sia “veicolato” attraverso Internet.

La Rete, infatti, è costituita da una gamma eterogenea di modalità di interconnessione e la necessità di determinare l’esatta natura di quella in concreto utilizzata deriva dall’esigenza di discriminare tra fattispecie penali di diversa gravità.

Naturalmente, il problema dell’esatta individuazione delle caratteristiche tecniche nel caso concreto e la loro riconduzione entro la corretta fattispecie penale non dovrebbe sorgere nei casi più evidenti, come ad esempio:

1) quando il materiale illecito (immagini, video) è contenuto in un sito liberamente accessibile da un numero indeterminato di persone che può scaricarne il contenuto, con relativa certezza, si può affermare che la fattispecie penale chiamata in causa è quella prevista dall’art. 600 ter, terzo comma, c.p.;

2) quando il materiale è allegato ad una e-mail inviata ad una o più persone determinate, invece, è l’art. 600 quater c.p. “Detenzione di materiale pornografico ad entrare in causa.

Il problema sorge, purtroppo, in quelle zone di confine in cui la costante e tumultuosa evoluzione informatica rende difficile l’identificazione del caso concreto e la corretta interpretazione della norma interessata.
Quando il materiale, ad esempio, è inviato attraverso gruppi di discussione, chat, o software p2p[22] si deve, infatti, ulteriormente indagare se la cessione è avvenuta nei confronti di uno o più soggetti determinati oppure se lo strumento utilizzato si presenta aperto e fruibile da un numero indeterminato di persone .
Di particolare interesse, al fine di individuare una prima chiave interpretativa per orientarsi in queste mutevoli realtà informatiche, è la parte della motivazione in cui la Corte indica come “sintomi” della realizzazione di una cessione di materiale pornografico (ex quarto comma dell’art. 600 ter c.p.), anziché dell’ipotesi più grave prevista dal terzo comma dell’art. 600 ter c.p., i seguenti elementi:
a) l’instaurazione di una comunicazione diretta e in qualche modo “privata o privilegiata” tra colui che cede il materiale incriminato e colui che lo riceve;
b) la presenza di un “meccanismo informatico” utilizzato dal soggetto cedente, capace di operare una efficiente selezione dei soggetti che con esso vengono in contatto in modo da poter controllare e dominare le singole cessioni.

7. PEDOFILI E P2P TRA ROGHI TELEMATICI E GOGNE MEDIATICHE.

Un breve cenno, alla luce di quanto in precedenza affermato, deve essere fatto ad un argomento molto discusso in Rete che ha creato non pochi dubbi e paure tra gli internauti.

Il problema attiene alla possibile realizzazione dei reati di cui all’art. 600 ter, terzo o quarto comma, c.p. e 600 quater c.p. attraverso l’utilizzo del software P2P (peer to peer); vale a dire attraverso quei programmi che permettono di condividere tra diversi utenti il materiale (di qualunque natura e genere) presente all’interno dei computers.

La soluzione, in linea generale, deriva dall’applicazione dei principi in precedenza descritti: l’utente che decide di mettere a disposizione materiale pornografico realizzato attraverso lo sfruttamento di minori in modo che chiunque possa accedervi e prelevarne i contenuti commette il reato di distribuzione e divulgazione (diffusione) di materiale pedo-pornografico (art. 600 ter, terzo comma) a prescindere dai mezzi utilizzati.

E’ altrettanto ovvio che non commette reato chi, utilizzando programmi P2P (Kazaa, Morpheus o altri cloni Napster), per reperire e condividere materiale lecito, inavvertitamente e inconsapevolmente scarica materiale pedo-pornografico sul proprio computer (anche a causa della non corrispondenza tra il titolo ingannatorio e il tipo di contenuto illecito in esso veicolato).

Naturalmente, una volta che il soggetto prende coscienza del tipo di materiale “scaricato” e nonostante ciò decide, consapevolmente, di conservarlo… in quel momento le cose cambiano drasticamente e potranno venire in essere i seguenti reati:

1. il reato di detenzione di materiale pornografico previsto dall’art. 600 quater c.p., essendo presenti tutti gli elementi oggettivi e soggettivi: la detenzione e la consapevolezza di ciò che si detiene;

2. il reato di cui all’art. 600 ter, terzo comma, c.p. se il materiale è mantenuto nella lista di files messi in comune dal software p2p, dando ad altri la possibilità di scaricarli senza alcun controllo o mediazione selettiva;

3. il reato di cui all’art. 600 ter, quarto comma, c.p. se il materiale è mantenuto nella lista di files messi in comune dal software p2p, dando ad altri la possibilità di scaricarli solo dopo un controllo selettivo concretamente realizzato con l’ausilio di specifici accorgimenti tecnici.

LEO STILO

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NOTE

[1] SARZANA, Informatica, internet e diritto penale, II edizione (riveduta, corretta ed ampliata), Milano, 2003, 379: “La pubblicizzazione dei gravissimi reati commessi nell’ambito sessuale nei confronti dei minori ha rinfocolato in Italia e nel mondo il dibattito sul perseguimento di comportamenti di tipo pedofilo nelle reti telematiche. A questo proposito va ricordato che l’argomento relativo alla diffusione di contenuti illegali o dannosi su Internet, è da tempo, con specifico riguardo alla pornografia minorile per via telematica, all’attenzione delle maggiori organizzazioni internazionali (Unione Europea, OCSE, Consiglio d’Europa, Nazioni Unite) che si sono occupate o si stanno occupando attivamente del problema”.

[2] STILO, L’influenza delle nuove tecnologie informatiche sull’originale archetipo “criminalità organizzata”, in Diritto della Gestione Digitale delle Informazioni, “Il Nuovo Diritto”, n. 4, 2003, 17: “Le tecnologie informatiche, influenzando la vita dei soggetti comuni che in esse trovano nuovi modi di comunicare e lavorare, hanno contribuito a mutare sostanzialmente i vecchi archetipi organizzativi delle strutture criminali. Gli effetti di queste influenze si sono avvertiti, in modo immediato, sul piano della realizzazione e della messa in atto dell’intento criminoso e, in modo mediato, sulla stessa struttura organizzativa che si è dovuta adattare alle diverse “urgenze” create dall’esigenza di perseguire e ottenere nuovi e più incisivi risultati. Per quanto riguarda il primo aspetto, si assiste ad una rivoluzione copernicana del classico rapporto che lega la criminalità organizzata al territorio, classico oggetto di dominio diretto e tangibile. Per quanto riguarda il secondo punto, si assiste all’abbandono delle vecchie e monumentali strutture verticistiche non più idonee, in una società in cui tutto si muove ad estrema velocità e dove le stesse forze dell’ordine controllano in modo efficace le principali autostrade dell’informazione, a garantire la sopravvivenza del gruppo criminale. La criminalità organizzata, nelle sue varie e mutevoli forme, si è, necessariamente, adattata ad un nuovo tessuto sociale ed economico che pone al centro dei propri interessi una nuova fonte di ricchezza, simbolo essa stessa di nuova era: l’informazione”.

[3] Di particolare interesse sul punto appare il capitolo XII “Criminalità organizzata e computers”, dell’opera di CARLO SARZANA DI S. IPPOLITO, Informatica, internet e diritto penale, op.cit., 83. In particolare l’insigne Autore sottolinea che : ” da tempo negli Stati Uniti esperti e studiosi hanno richiamato l’attenzione del pubblico sul fatto che la criminalità organizzata sta rivolgendo la sua attenzione all’area dei computers. (omissis) La tesi svolta dagli investigatori è che il crimine organizzato deve entrare nell’area dell’elettronica se vuole mantenere i suoi profitti. Almeno in California il computer crime, infatti, era divenuto “the most lucrative form of theft” con una percentuale media di guadagno di 450.000 dollari per crimine. Va segnalato inoltre che la criminalità organizzata sta informatizzandosi sia allo scopo di gestire meglio i propri affari (traffico di droghe, scommesse illegali, prestiti usurari, sfruttamento della prostituzione, riciclaggio di denaro, pornografia e pedofili, ecc.) sia allo scopo di eludere le indagini di polizia”.

[4] BOEZIO – D’ALESSIO, Internet e responsabili penali, in AA.VV., Internet e responsabilità giuridiche (a cura di VACIAGO), serie Nuove voci del diritto (a cura di CASSANO), Piacenza, 2002, 282.

[5] POMANTE, Internet e Criminalità, Torino, 1999, 226: ” Per comprendere appieno l’interesse che le organizzazioni criminali hanno cominciato a rivolgere all’informatica, è sufficiente riflettere sulla circostanza che, nel decennio 1982-1992, l’attività della criminalità organizzata ha subito un deciso spostamento dai settori tradizionali verso i nuovi settori dell’informatica e della telematica. La mafia, anch’essa terziarizzata, è divenuta una società di servizi finanziari che ha adeguato le proprie logiche a quelle economiche della società dell’informazione…(omissis)…la criminalità organizzata ha dunque assunto una nuova fisionomia, sovranazionale e informatizzata.”.

[6] SARZANA, Informatica, internet e diritto penale, op.cit., 382; BOEZIO – D’ALESSIO, Internet e responsabili penali, op.cit. 283.

[7] ZAPPALA’, Pedofilia e Internet, in AA.VV., Sessualità, diritto e processo (a cura di GULLOTTA- PEZZATTI), Milano, 2002, 242.

[8] BONIFAZI – MACRI’, Pedofilia: aspetti clinici e psicosociali, in AA.VV., Proposte di criminologia applicata 2002, (a cura di CARLO SERRA), Milano, 2002, 269.

[9] CAMMARATA, Internet, il bambino e l’acqua sporca, pubblicato il 10 settembre 1998 sulla rivista telematica Interlex (www.interlex.it): “Essere pedofilo non è (o non dovrebbe essere, in uno Stato di diritto) un reato. La pedofilia, come qualsiasi altra inclinazione socialmente disapprovata, diventa reato quando danneggia un’altra persona. …(omissis)… Altra cosa è lo sfruttamento sessuale dei minori a scopo di lucro. Qui siamo di fronte a un crimine orrendo, che desta un forte allarme sociale. Questo allarme si riflette, fra l’altro, nel suggestivo titolo della nostra recente legge anti-pedofilia, con l’immagine colorita della “riduzione in schiavitù”. Il losco trafficante di bambini non dovrebbe essere confuso col pedofilo, ma purtroppo il colpevole sensazionalismo dei mezzi di informazione non aiuta la collettività a comprendere i termini del problema e le sue reali implicazioni”.

[10] MONTI, Non si proteggono i minori creando nuovi mostri, pubblicato il 18 marzo del 2003 sulla rivista telematica Interlex (www.interlex.it): ” Sarebbe innanzitutto da ricordare che la legge 269 punisce a vario titolo la diffusione (impropriamente definita divulgazione, che in italiano significa altro) di immagini pornografiche prodotte mediante lo sfruttamento sessuale dei minori. Viceversa, quando ci si riferisce a casi del genere, si utilizza il termine “pedofilia”, che ha tuttaltro significato e che riguarda la sfera delle psicopatologie sessuali. In altri termini si opera un pericoloso ribaltamento dei criteri di imputazione della responsabilità, per cui non è sanzionato il provocare un fatto tipico e antigiuridico (come è regola nel codice penale), ma la pura e semplice “colpa per tipo d’autore””.

[11] BONIFAZI – MACRI’, Pedofilia: aspetti clinici e psicosociali, in AA.VV., Proposte di criminologia applicata 2002, (a cura di CARLO SERRA), Milano, 2002, 284.

[12] Per un approfondimento in merito alla nascita, alla struttura, ai compiti ed alle operazioni più rilevanti del servizio di polizia postale e delle comunicazioni si rinvia al VI capitolo di una delle pietre angolari dell’attuale cultura giuridica penalistica e criminologica delle nuove tecnologie informatiche: GIANLUCA POMANTE, Internet e criminalità, Torino, 1999, 234 e ss.

[13] POMANTE, Internet e Criminalità, op. cit, 21: ” L’art. 14 della citata legge n. 269 del 1998, infatti, fornisce alla Polizia giudiziaria strumenti organizzativi ed investigativi già adottati con successo nella lotta al traffico di sostanze stupefacenti, a conferma del particolare rigore con il quale è stata disciplinata la materia e della rilevanza data al bene giuridico tutelato. Le Forze dell’ordine(in particolare, vertendosi in materia di crimini informatici, il Servizio di Polizia Postale e delle Comunicazioni) possono procedere, mediante utilizzo di sistemi informatici o telematici, all’acquisto simulato di materiale pornografico, all’effettuazione di opera di intermediazione, all’apertura di siti contenente materiale pornografico, ecc., con il preciso fine di individuare i soggetti autori di tali reati”.

[14] STILO, Pornografia Minorile e chat: un reato che oscilla tra “cessione e divulgazione” in Diritto della Gestione Digitale delle Informazioni (suppl. della Rivista “Il Nuovo Diritto” n. 6, 2003).

[15] Art. 600 ter, primo comma, c.p.: “Chiunque sfrutta minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da lire cinquanta milioni a lire cinquecento milioni”.

[16] PARODI – CALICE, Responsabilità penali e Internet, Milano, 2001, 382.

[17] Art. 600 ter, comma terzo, c.p.: “Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire cinque milioni a lire cento milioni”.

[18] BOEZIO – D’ALESSIO, Internet e responsabili penali, op. cit., 285.

[19] Art. 600 ter, comma quarto, c.p: ” Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, consapevolmente cede ad altri, anche a titolo gratuito, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire tre milioni a lire dieci milioni.”

[20] STILO, Pornografia minorile tra chat, email e p2p in Diritto della Gestione Digitale delle Informazioni, “Il Nuovo Diritto” n. 6, 2003.

[21] Per un commento della sentenza si rinvia a: GALDIERI, Solo cessione per chi preleva le foto dei minori dopo aver dato il consenso in un contesto privato, “Guida al Diritto” (IlSole24ore) del 3 maggio 2003, n. 17, 60 ss.

Redazione

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