Anna Costagliola
La sentenza di divorzio di un Tribunale straniero che non decide sull’affidamento e sul mantenimento dei figli non è contraria all’ordine pubblico e dunque può essere riconosciuta nell’ordinamento italiano. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 13556 del 30 luglio scorso, ha dato il via libera al riconoscimento di una sentenza emessa da un Tribunale degli Stati Uniti, che aveva dichiarato il divorzio di una coppia di cittadini statunitensi approvando l’accordo sottoscritto nell’occasione dai coniugi stessi, con il quale essi avevano anche diviso il patrimonio comune familiare e rimesso alla giurisdizione italiana le decisioni sull’affidamento e mantenimento dei loro figli. La Corte d’Appello di Venezia aveva riconosciuto detta sentenza pienamente efficace in Italia, non ritenendo ostativi al riconoscimento i motivi di ordine pubblico invocati da uno dei coniugi per il fatto che essa non contemplasse alcuna disposizione in merito all’affidamento ed al mantenimento della prole. Osservava infatti la Corte di merito come l’assenza di disposizioni sulla prole non potesse di per sé costituire motivo di contrarietà all’ordine pubblico, essendosi i coniugi espressamente accordati per rimettere alla giurisdizione italiana ogni statuizione in merito ai figli ed essendo stato un tale accordo espressamente richiamato nella sentenza di divorzio, sicché doveva presumersi che il giudice straniero, nell’omettere di provvedere sui figli, avesse implicitamente rinviato al giudice italiano di occuparsene, come concordemente richiesto dalle parti.
I giudici della Cassazione hanno ritenuto, sul punto in discussione, di avallare le argomentazioni della Corte d’Appello. Questi osservano, in particolare, come la sentenza di divorzio pronunciata dal giudice straniero fra cittadini non italiani, anche se non indica le condizioni di affidamento e di mantenimento inerenti alla prole minirenne degli ex coniugi, non possa essere ritenuta contraria all’ordine pubblico, dal momento che nessun principio costituzionale impone che la definitiva regolamentazione dei diritti e dei doveri scaturenti da un determinato status sia dettata in un unico contesto. D’altra parte, rilevano ancora gli Ermellini, nel nostro ordinamento è prevista la sentenza non definitiva di divorzio, con possibile rinvio al prosieguo anche per l’adozione dei provvedimenti definitivi relativi all’affidamento dei figli e al contributo per il loro mantenimento.
Né la Corte di legittimità ha ritenuto di condividere la censura relativa all’erronea applicazione dell’art. 64 L. 218/1995 in luogo dell’art. 66 della medesima legge, atteso che la sentenza del Tribunale degli Stati Uniti doveva considerarsi assimilabile ad un provvedimento di volontaria giurisdizione, in quanto emesso all’esito di un accordo privato tra i coniugi concernente lo scioglimento del loro matrimonio. Osserva, in proposito, il Giudice delle Leggi come la Corte territoriale abbia ineccepibilmente recepito le regole riservate dall’art. 64 al riconoscimento delle sentenze straniere in luogo di quelle previste dall’art. 66 per il riconoscimento dei provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria, non potendosi ricondurre a tale ambito la pronuncia straniera che, anche se riproduttiva del contenuto di un accordo tra le parti, è sempre espressione di un potere giurisdizionale che comporta l’applicazione delle condizioni fissate nell’art. 64. I giudici di merito, pertanto, hanno anche accertato che il giudice straniero avesse la competenza in base ai principi dell’ordinamento italiano.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento